La Lettura, 8 gennaio 2023
Biografia di Katherine Mansfield
«Io ho bisogno di diventare limpida come cristallo», annota Katherine Mansfield nel suo diario. È il 1922 e, insoddisfatta come sempre della sua scrittura, sta lavorando ai racconti di Garden Party, raccolta per cui non ci può essere altra definizione che capolavoro. Eppure non è appagata.
La fertile insoddisfazione che la anima si fa sempre più incalzante, come si può leggere negli appunti e nelle lettere di quegli anni, ricchissimo giacimento di grande qualità letteraria dove ogni frammento è un lampo di racconto. L’ha raccolto e pubblicato il secondo marito, il critico letterario John Middleton Murry a cui la lega un’altalena di intimità e raffreddamenti.
Sono ormai passati 5 anni da quando, non ancora trentenne, le è stata diagnosticata la tubercolosi polmonare che la costringe a una vita vagabonda tra stazioni climatiche e sanatori d’Europa. La fine arriverà il 9 gennaio di cent’anni fa all’«Istituto per lo sviluppo armonico dell’uomo» di Fontainebleau, in Francia, una scuola per la crescita spirituale in cui il misterioso ed ipnotico teosofo russo-armeno George Gurdjieff fonde esoterismo, buddhismo, induismo per aprire la strada alla ricerca dell’essenza, all’unità tra anima e mondo. Circondata da capre, maiali, galline, cavalli, conigli, asini, cani, K. M. (così amava siglarsi), dopo avere inutilmente cercato di curare il corpo con le scoperte mediche e scientifiche più all’avanguardia, si mette in testa di curare l’anima.
Quel 9 gennaio 1923, secondo alcuni testimoni, ricevuta la visita del marito, «Katherine salì le scale dell’Istituto con troppo slancio, dimentica di ogni cautela, senza reggersi al corrimano, felice di poter mostrare a Murry quanto si sentisse bene. Un improvviso e violento attacco di tosse la colse mentre faceva gli ultimi scalini. Appena il tempo di arrivare sulla soglia della camera, e un fiotto rosso di sangue le uscì dalla bocca, togliendole il respiro. “Credo… che sto per morire”»: così racconta la vita che le scivola dai polmoni Sara De Simone in Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virgina Woolf: storia di un’amicizia, volume che Neri Pozza manda in libreria proprio il 9 gennaio, in occasione dell’anniversario della morte della scrittrice.
L’importanza di questa gigantessa della letteratura, considerata erede di Cechov, con un posto nel pantheon del modernismo tra James Joyce e Virgnia Woolf, è nel dettaglio, nella cura stilistica, nel certosino lavoro di lima, nelle drastiche potature che si intuiscono dietro ogni frase, nella capacità di cogliere l’attimo e di fissarlo con poche immagini. Pietro Citati, nel suo Vita breve di Katherine Mansfield, lo spiega meglio di tutti: «Far fluire l’inchiostro sui fogli di carta era, per lei, come fare fluire il sangue nelle proprie vene».
Nata a Wellington, in Nuova Zelanda, il 14 ottobre 1888, da una famiglia benestante, Katherine Mansfiel dava l’impresione di essere «più delicata degli altri esseri umani: una ceramica d’Oriente, che le onde dell’Oceano avevano trascinato sulle rive dei nostri mari» (sono ancora parole di Citati). Eppure diceva: «Ho sempre avuto una furia isterica di vivere, l’isteria è una grande ispiratrice. Detesto le ore grigie, amo i giorni che passano all’orizzonte come nubi di tempesta».
Nel 1903 K. M. lascia la Nuova Zelanda per frequentare il Queen’s College di Londra, come si usava nelle famiglie perbene delle colonie e vi resta fino a 18 anni respirando l’aria di rivolta verso le convenzioni, sociali ed artistiche, che cominciava a diffondersi. Vi tornerà anche in seguito, con il suo bagaglio di talento ed eccentricità, aperta a esperienze e amori, propensa a una vita di instabilità e nomadismo sentimentale. Fa molti lavori che lasciano traccia nei suoi racconti: attrice ambulante, cantante, insegnante privata, addirittura controfigura per un film americano dove, sfruttando le sue doti di nuotatrice, si lancia dal Battersea Bridge.
Il suo destino di scrittrice è strettamente legato a quello di Virginia Woolf e nella sua approfondita analisi basata su fonti e materiali inediti in Italia, Sara De Simone ricostruisce quel legame così importante nella storia della letteratura, sfrondandolo dell’enfasi eccessiva posta sulla rivalità tra le due. Sarà Lytton Strachey ad abbozzare, per Virginia, il primo ritratto di K. M., che De Simone riporta in Nessuna come lei : «Ha per faccia una brutta maschera impassibile, intagliata nel legno, capelli castani e occhi marroni molto distanti l’uno dall’altro; e dietro la maschera un intelletto acuto e fantasioso in una maniera un po’ volgare». Virginia risponderà con una punta di snobistico compiacimento: «Katherine Mansfield mi tampina da tre anni, sono sempre sul punto di incontrarla, o di leggere i suoi racconti, ma non sono riuscita a fare nessuna delle due cose». Alla fine sarà costretta a cedere e l’incontro con quella «farfalla che brucia in un lampo, presa dal fuoco appiccato alle sue ali» (così Virginia la definirà) avviene. Mansfield che, come Virginia, metteva la scrittura al primo posto, sarà in assoluto la prima autrice stampata dalla Hogarth Press, il marchio fondato da «i Lupi», Leonard e Virginia Woolf, prima di T. S. Eliot, Christopher Isherwood, Sigmund Freud.
Nasce così Preludio, uno dei suoi racconti più celebri, rielaborazione di un primo nucleo narrativo intitolato L’aloe a cui si era dedicata con fervore dopo la morte improvvisa del fratello, Leslie, arruolato nell’esercito britannico durante la Prima guerra mondiale, racconto che ora, in occasione del centenario della morte, viene ripubblicato – con altre due short story di tema famigliare neozelandese, Alla baia e La casa delle bambole — negli Oscar Mondadori a cura di Franca Cavagnoli. «Ho lanciato il racconto ai Lupi e loro l’hanno mangiato. E mi hanno servito così tante lodi in una coppa dorata che non posso fare a meno di sentirmi gratificata», racconterà K. M. in una lettera all’amica pittrice Dorothy Brett.
Non passerà molto tempo prima che E. M. Forster in una sala gremita, ribatta a un uomo che dichiara di disprezzare le scrittrici contemporanee, affermando che Preludio di Katherine Mansfield e La crociera di Virginia Woolf sono «le migliori opere di quegli anni». Virginia, riporta De Simone, non esita a riferirlo per lettera a Katherine, in quel momento in Francia. Chiosando, ironicamente: «Dannazione, Katherine! Perché non posso essere l’unica donna che sa scrivere?». La rivalità, peraltro tutta scherzosa, contenuta in queste parole viene contraddetta a più riprese e quando Virginia apprende della morte di Katherine scrive:«Quando mi sono messa a scrivere mi è sembrato che non avesse alcun senso. Katherine non lo leggerà. Katherine non è più la mia rivale».