la Repubblica, 8 gennaio 2023
Il segreto dell’antica Roma: il cemento
Svelato il segreto che ha permesso a ponti e acquedotti romani di sopravvivere cosi a lungo. Lo annuncia il Mit di Boston. Dietro questa scoperta c’è un gruppo di scienziati sparsi tra Usa, Svizzera, Italia, coordinati da un ex profugo bosniaco che si è laureato a Torino. Si chiama Admir Masic ed è professore associato di ingegneria civile e ambientale al Massachusetts institute of technology, tra le università più prestigiose del pianeta. Il segreto della resistenza delle strutture dell’antica Roma è una formula a base di calce viva che permette al calcestruzzo di ripararsi da solo. E di durare più a lungo. L’autorevole rivista Science Advances ha appena pubblicato lo studio chimico-archeologico di Masic, confermandone la valenza scientifica. «Dal 2017 con il mio team al Mit studiamo il calcestruzzo romano, chiedendoci come mai strutture magnifiche come Pantheon e Colosseo, ma anche porti, acquedotti, ponti e terme, siano sopravvissute affrontando intemperie, terremoti, incurie» spiega Masic. «Il procedimento usato dagli antichi si chiama Hot mixing, consiste nell’aggiungere alla miscela di calcestruzzo anche calce viva, che, reagendo con l’acqua, riscalda la miscela. Questo procedimento porta alla formazione di “granelli” di calce: sono loro a permettere l’autoriparazione».
Come funziona? «Quando il calcestruzzo moderno si fessura, entrano acqua o umidità e la crepa si allarga e si propaga nella struttura. Con la nostra tecnologia, la fessura si autoripara. I granelli di calce, inglobati nel calcestruzzo al momento della presa, con l’infiltrazione dell’acqua si sciolgono e forniscono gli ioni di calcio che “cicatrizzano” e riparano le crepe».
Dalla scoperta di Masic, brevettata anche dal Mit, è nata una startup italiana: Dmat. Sede a Udine, fondatori italiani. Oltre a Masic, c’è Paolo Sabatini, esperto di affari internazionali con un passato alle Nazione unite e poi all’Expo di Milano, grande appassionato di innovazione. I due si incontrano a Boston e si chiedono: come possiamo trasformare questo studio in un prodotto utile per l’umanità? Dopo anni di studi e ricerche, ottengono le certificazioni industriali dell’Istituto svizzero diMeccanica dei materiali. E fondano la startup che sviluppa la tecnologia per creare calcestruzzi durevoli e sostenibili. «Puntiamo a dematerializzare l’ecosistema del calcestruzzo», aggiunge Sabatini. Materiale economico, disponibile ovunque, semplice da utilizzare, ha però due grandi problemi: sostenibilità e durabilità. «Il mercato del calcestruzzo vale circa 650 miliardi di euro. E i suoi processi produttivi sono tra i più impattanti del Pianeta. La sua filiera industriale è responsabile dell’8% delle emissioni di CO2» continua Sabatini. «Grazie alla tecnologia che abbiamo sviluppato, potremo creare prodotti del 50% più durevoli, con una riduzioni delle emissioni del 20% e a un prezzo più basso della metà rispetto ai prodotti oggi comparabili sul mercato». Il primo calcestruzzo di nuova generazione a entrare sul mercato è D-Lime: questo prodotto allungherà la vita delle costruzioni.Nessuna differenza in termini di procedimenti. Si continuerà a costruire nello stesso modo ma utilizzando ricette innovative.
Che nel calcestruzzo ci fossero qua e là questi granelli era noto da tempo, ma nessuno prima di Masic aveva mai pensato che potessero essere i responsabili dell’autoriparazione. La storia ancora una volta ci insegna a costruire, in questo caso non solo come metafora, il futuro.
«Noi la chiamiamo paleo inspiration, significa focalizzarsi completamente nell’antichità, estrarre l’essenza di ciò che i nostri predecessori hanno costruito in migliaia di anni con il metodo tr ial and error. E portarla nel mondo moderno», spiega Masic. La sua è una meravigliosa storia di riscatto. E di amore per il nostro Paese. Ex profugo bosniaco, scappato dalla guerra a 14 anni, ha vissuto nei campi profughi a Fiume. Qui scopre il suo talento per la chimica. Arrivato a Torino con i volontari del collettivo Azione Pace che aveva conosciuto quando assistevano i profughi dell’ex Jugoslavia, si laurea in chimica: 110 e lode. Prende un dottorato, poi crea un’impresa. Nel 2008, l’Italia gli nega il permesso di soggiorno e lo costringe a emigrare in Germania. Da qui arriva al Mit. E da Boston lancia un programma gratuito (Mit Refugee Action Hub ), per far studiare computer science e imprenditoria ai profughi di talento di tutto il mondo. «In Italia porto spesso i miei allievi a studiare l’antichità, tra Pompei e il Museo Egizio di Torino. Qui ho connessioni, amicizie, una casa. Siete un Paese bellissimo e non c’era posto più autorevole al mondo per avviare una startup ispirata agli antichi romani. L’Italia mi ha negato il permesso di soggiorno? Ma questa è la vita. E torno in Italia per creare una nuova impresa».