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 2023  gennaio 08 Domenica calendario

Il mondo di Blackwater

La mattina di Pasqua del 1919 la cittadina Perdido, in Alabama, è quasi sommersa da una piena: invasa dall’acqua dei due fiumi, il Perdido e il Blackwater, alla cui confluenza sorge. In questo scenario apocalittico e desolato, la presenza di un essere umano sembra un miracolo. È così, come un’apparizione salvifica, che Elinor Dammer fa il suo ingresso nella saga letteraria Blackwater. «L’acqua nera lambiva languida i muri di mattoni del municipio e dell’Osceola Hotel, ma per il resto era immobile e silenziosa». Lì, in una camera d’albergo risparmiata dal disastro, Elinor è seduta sul letto, aspettando (forse) di essere salvata. «La prima volta che ho guardato dalla finestra lei non c’era. La stanza era vuota». Osserva il suo salvatore, gettando una luce ambigua sulla scena. «Ero qui», risponde Elinor. L’apparizione della donna segna la rinascita del paese e cambia il destino della famiglia Caskey da cui viene accolta. Bastano poche pagine allo scrittore americano Michael McDowell (1950-1999) per gettare l’esca della storia al lettore che non può fare altro che abboccare all’amo.
Elinor è una donna «alta, magra e pallida», i capelli «di un rosso ruggine» e «la postura eretta e molto bella», è arrivata in città per fare l’insegnante ma è stata colta di sorpresa dalla piena e non ha sentito l’invito a lasciare il paese per mettersi in salvo: si capisce che nasconde misteri legati al suo passato, alla sua persona, alla sua storia; e si intuisce che sembra avere un rapporto speciale con gli elementi della natura, in particolare l’acqua...

Personaggio ammaliante e dalla forza magnetica è lei, Elinor, che incolla il lettore alla pagina prima, al romanzo poi, e infine alla saga che si compone di sei libri. La serie Blackwater esce ora per la prima volta in Italia a quarant’anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti, dove apparve nel 1983; e forte del successo inaspettato ottenuto l’anno scorso in Francia, dove ha venduto 360 mila copie in tre mesi. L’edizione italiana rispecchia i desiderata dell’autore: sei volumi in edizione economica, facili da portare con sé, da maneggiare e con un costo alla portata di tutti. «Sono uno scrittore commerciale e ne sono orgoglioso – diceva di sé —. Sto scrivendo cose da mettere in libreria il mese prossimo. Penso che sia un errore provare a scrivere per i secoli».
L’autore è scomparso prematuramente nel 1999 a 49 anni per una patologia derivante dall’Aids dopo che gli era stato diagnosticato l’Hiv; le sue citazioni sono tratti da interviste e dichiarazioni.
L’edizione italiana, nella traduzione dall’inglese di Elena Cantoni per Studio editoriale Littera, esce da Neri Pozza, nella collana «Beat» per il pubblico giovane (ma non solo): volumi in brossura in un formato speciale, più piccolo, tascabile (cm 10,8 x 16,5). A caratterizzare e impreziosire ogni romanzo in maniera diversa è la copertina, scintillante, con lamine metallizzate e rilievi in cui figurano elementi centrali del relativo capitolo della saga. Le cover, comuni all’edizione francese, sono opera dell’illustratore spagnolo Pedro Oyarbide, il cui stile fa propri elementi del fumetto, del tattoo e del mondo dei bikers (richiama la decorazione di motociclette e caschi).
Peculiari sono anche la tempistica di uscita, quasi da romanzo a puntate, e le modalità di promozione: la prima prevede la pubblicazione di un volume ogni 15 giorni a partire da martedì 17 (in America uscì invece un volume al mese da gennaio a giugno); ciascuna uscita sarà, inoltre, accompagnata da un apposito video su TikTok per promuovere i titoli tra giovani potenziali lettori che frequentano il social network.
Il primo volume, La piena, si apre con una Nota dell’autore che precisa: «La città di Perdido esiste davvero, in Alabama, e nel punto esatto in cui l’ho collocata, anche se né oggi né mai ha avuto gli edifici, la geografia o gli abitanti che le ho attribuito nel racconto. I fiumi Perdido e Blackwater, inoltre, non confluiscono l’uno nell’altro. Ciò nonostante, oso dire che i paesaggi e le persone che descrivo non sono del tutto immaginari».

Un’avvertenza che regala al lettore un effetto di spiazzamento: l’azione si svolge in un luogo vero, ma al tempo stesso reinventato; l’intreccio narra di personaggi di fantasia, ma non così lontani dal reale e non del tutto improbabili. Il risultato alla lettura è una sensazione straniante, talvolta sconfinante nel disagio e nella paura, che risulta essere un elemento di forza dell’intera storia. Nella trama alla dimensione realistica se ne affianca talvolta una soprannaturale, magica, che fa accadere ciò che non ti aspetti o viceversa non fa accadere ciò che ti aspetti.
Il mondo di Blackwater si muove nell’arco di alcuni decenni – il primo libro si apre nel 1919, l’ultimo nel 1958 – e racconta la vita di una famiglia, i Caskey, e di una comunità, quella di Perdido, radicate nel profondo Sud degli Stati Uniti, tra regole, rispetto della morale, divisione in classi tra bianchi e neri. Siamo nell’Alabama dove il colore della pelle fa la differenza tra giusto e sbagliato, già raccontato da Harper Lee nel Buio oltre la siepe.
In McDowell i motori dell’agire sono amore, odio, rivalità e vendetta. Dice al riguardo: «La vendetta è un’emozione molto importante, ma funziona realmente solo nei libri, non nella vita. Il che probabilmente spiega perché è così piacevole vederla accadere in un romanzo».
Le spinte verso il cambiamento in un orizzonte che sembra immobile partono e passano in prevalenza dalle figure femminili: oltre a Elinor, ci sono la matriarca Mary-Love, poi Sister, Queenie, Grace, Miriam, Frances (tutte con vincoli di parentela tra loro) che insieme compongono una galleria di donne formidabile per varietà, ricchezza di sfumature e profondità psicologica. Sulla centralità dei legami nell’architettura della saga ha fatto osservazioni preziose lo scrittore gothic horror Poppy Z. Bride nell’introduzione alla riedizione americana di Blackwater nel 2015, intanto divenuta cult: la serie è «come una bracciata di strani fiori tenuti insieme da un’unica radice che li nutre ma li contorce: la famiglia». Che è in linea con quello che lo stesso McDowell diceva dei legami parentali: «Trovo che le famiglie siano violente, oppressive, manipolatrici... e per tutti questi motivi sono anche particolarmente interessanti».

Quando McDowell pubblica Blackwater è già uno scrittore riconosciuto, le sue letture e i suoi modelli erano Eudora Welty, sottile indagatrice di relazioni e pregiudizi, e H. P. Lovecraft: «Mi ha insegnato molte cose, quella che ho fatto più mia è l’importanza dei luoghi, delle regioni».
McDowell è nato e cresciuto in Alabama, luogo che è stato fonte di ispirazione e anima della sua narrazione. Ad affascinarlo in particolare è stato il rapporto dei suoi abitanti con il mistero, il soprannaturale e l’occulto. Lo definì «uno Stato emotivamente impegnativo: lì, devi affrontare tutto; lì, l’intensità della morale colpisce tutti». L’esordio è con il romanzo The amulet (1979) su un «portafortuna» maledetto, che lo candida a essere una voce di rilievo del Southern gothic horror, creatore di atmosfere capaci di trasmettere inquietudine e insieme ironia. Lo stesso McDowell di suo coltivava un lato oscuro e macabro che lo portava a collezionare oggetti a tema – spille funerarie, fotografie di cadaveri, targhe di bare e altro: materiali oggi conservati alla Northwestern University di Chicago – e a scegliere quale argomento per la tesi di dottorato in Letteratura inglese e americana alla Brandeis University, nel Massachusetts, un’indagine sul rapporto degli americani con la morte nel XIX secolo. Del resto per McDowell la morte «non era qualcosa di cui aver paura o da evitare, ma qualcosa da esplorare», ha scritto nel necrologio sul «Boston Phoenix» l’amico e collega Lloyd Schwartz, poeta e docente all’Università di Boston. Un lato oscuro e un sentire profondo che percorrono anche la saga di Blackwater in cui è ben viva una dimensione ancestrale e si fa sentire potente l’idea di una natura indifferente al destino e ai dolori degli uomini.

Dalla letteratura McDowell, prolifico autore che in un paio di decenni firma oltre una trentina di titoli (alcuni con pseudonimi, alcuni scritti a quattro mani con altri autori), approda con merito al cinema: lavora con George Romero per la serie tv horror fantasy Un salto nel buio e collabora con Stephen King.
McDowell è un estimatore di King con cui condivide la capacità di una «scrittura visiva» e la costruzione sulla pagina di scene quasi cinematografiche. Spiega: «Sono effetti che si ottengono allungando o restringendo le parole e le frasi, con il ritmo. È una cosa che impari scrivendo molto».
L’autore di Blackwater diviene amico, personale e di famiglia, di King, che lo definirà «il miglior autore di paperback originali degli Stati Uniti». Firmerà la sceneggiatura di L’occhio del male (1996) dal libro di King e sarà la moglie del maestro del brivido, Tabita King, a portare a termine uno progetto di McDowell, il romanzo Come candele che bruciano (Sperling & Kupfer) uscito postumo nel 2006. Fruttoso, stimolante e, poi, contrastato fu invece il sodalizio di McDowell con Tim Burton iniziato con l’episodio Il vaso (1985) della serie tv di Alfred Hitchcock presenta, e proseguito con la collaborazione per i film Beetlejuice -Spiritello porcello e Nightmare Before Christmas.
Acuta è, infine, l’osservazione di Fernanda Pivano che recensendo sul «Corriere della Sera» del 28 novembre 1995, un altro lavoro di McDowell, il romanzo a tinte horror L’inquilino senza nome (Frassinelli) scrive: «Mi sembra importante sottolineare il “tono” del libro, intriso dell’abile suspense che siamo abituati a vedere in certi cinema americani dove gli elementi orrorifici sono messi al servizio della sorpresa umana di fronte al mistero della vita e della morte. In questo tipo di narrazione “gli eventi precipitano” descritti con parole realistiche ma determinati da interventi misteriosi dei quali non ci si può neanche provare a dare una spiegazione». Che è una chiave di lettura utile e preziosa anche per entrare nel mondo di Blackwater.