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 2023  gennaio 07 Sabato calendario

Colloquio con il fotografo Vincent Peters

È una luce morbida, calda, che pare avvolgere il soggetto mentre, in realtà, lo scolpisce, quella che, nelle foto di Vincent Peters, definisce i personaggi ritratti. Star e celebrità. O meglio, idoli. Una accanto all’altra, le immagini finiscono per farsi specchio e misura dell’idea contemporanea di bellezza e del suo desiderio. Ed è proprio una sorta di Olimpo pop che si può ammirare nella mostra di Peters Timeless Time, prodotta da Palazzo Reale e Nobile Agency, curata da Alessia Glaviano, Curator & Head of Global Photo Vogue, che giovedì aprirà a Milano, a Palazzo Reale, dove sarà visitabile, con ingresso gratuito, fino al 26 febbraio. «La mostra poi arriverà a Roma - annuncia Gabriella Nobile, produttrice dell’esposizione e agente del fotografo - stiamo definendo luogo e date».
Da Monica Bellucci a Vincent Cassel, da Michael Fassbender e John Malkovich a Kim Basinger, Emma Watson e altri, sono novanta gli scatti esposti, tutti in bianco e nero e realizzati tra 2001 e 2021, dal maestro tedesco, classe 1969, che ha iniziato la sua carriera da fotografo di moda nell’agenzia di Giovanni Testino e, negli anni, ha lavorato per brand come Armani, Louis Vuitton, Miu Miu e molti ancora. Poi, si è concentrato sull’arte del ritratto, unendo la sensualità del fashion al glamour da film. Nel percorso, grazie a Cinecittà, anche i primissimi scatti del progetto Timeless Talent sugli artigiani degli Studios, tra falegnami, pittori, macchinisti e via dicendo.
L’INVESTIGAZIONE
«Penso che si possa dire che la fotografia è l’ossessione del nostro tempo. Nonostante velocità e disattenzione con cui vengono scattate oggi, le foto rivelano ancora qualcosa del fotografo - ci spiega Peters - Non fotografiamo le cose come sono, ma come siamo. L’inconscio incontra il conscio nel momento dello scatto. C’è una parte intuitiva che è fortemente rivelatrice. Si potrebbe dire che guardare le proprie foto è una sorta di indagine interna». E un’investigazione della società, con le sue fantasie, che nei divi, intesi quasi come moderne divinità laiche, trovano la loro concretezza. «Proprio come un tempo accadeva con i santi, le celebrità oggi definiscono il nostro desiderio di essere migliori. Sono una proiezione di ciò che vorremmo poter essere. Ecco perché nell’interpretazione perfetta la celebrità vive solo come immagine, come un dipinto rinascimentale. La bellezza è uno specchio cui ci avviciniamo da prospettive diverse. Ci sono persone che la vedono come competizione, altre come ideale lontano, altre ancora come minaccia. Questo rivela molto sul rapporto con la nostra immagine speculare».
LO SPETTATORE
Lo specchio, non a caso, ricorre anche come chiave di lettura di alcune foto: spezza l’immagine di Amanda Seyfried, di fatto moltiplicandola, e si fa cornice a guidare gli occhi nel ritratto di Scarlett Johansson. Il resto è storia, anzi storie che emergono da ogni scatto a regalare sguardi inusitati su personaggi noti, in un dialogo emotivo tra il soggetto e chi lo ritrae, ma anche, idealmente, con il successivo osservatore. «Credo che un’immagine non possa scoprire altro che l’immaginazione e il paesaggio emotivo dell’artista. So che ai fotografi piace dire che scoprono la verità sulla persona che ritraggono. Grazie a Dio, però, nessuna anima è mai stata fotografata, altrimenti ci sarebbe già una app su come ritoccarla», ironizza.
Qui, però, la luce, in un gioco di chiaroscuri, stratificazioni e carezzevoli ombreggiature, finisce per apparire proprio come riflesso dell’interiorità. «Uso la luce come la musica, influisce sullo stato delle emozioni, collega l’occhio al cuore. La comunicazione è molto emotiva. Non importa cosa c’è nella foto, ciò che conta è la sensazione che provi quando te ne allontani». Così Charlize Theron pare divenire una scultura grazie all’obiettivo di Peters. E Monica Bellucci incarna il desiderio che tale deve rimanere, sempre intenso perché non appagabile.
LA CULTURA PATINATA
Ecco la distanza dalle dive-divinità, che Peters immerge in un’atmosfera quasi onirica, figlia di una cultura patinata, da film, che della persona fa personaggio e poi icona. Ma ecco anche, per paradosso, una intima sensualità, costruita con la luce come seconda pelle, che pare colmare quella stessa lontananza. Così il sogno diventa desiderio. Anche di eternità. «Oltre alla fotografia direi che l’altra ossessione del nostro tempo è il tempo stesso», commenta Peters. «La fotografia sembra essere per molti versi una risposta a un tempo che sta vivendo troppe esperienze per potersi concentrare su di esse, scattiamo per viverle poi. Ma c’è un altro tempo che non controlliamo. Credo che la comprensione della vera bellezza si abbia proprio quando ricordiamo che ci sono cose senza tempo».