Tuttolibri, 7 gennaio 2023
Katherine Mansfield contro Virginia Woolf
Dunque non è vero che Virginia Woolf e Katherine Mansfield non potevano vedersi – in particolare che Virginia non poteva vedere Katherine, la giovane scrittrice giunta a Londra dalla remota Nuova Zelanda. Non è vero, ci spiega Sara De Simone nel suo saggio Nessuna come lei, un lavoro in cui l’ampiezza della documentazione si accompagna a una verve narrativa travolgente. Non sappiamo nulla di preciso del loro primo incontro. Sappiamo del secondo, che ebbe luogo nella casa di Lytton Strachey, nel febbraio del 1917, e a proposito del quale abbiamo una lettera di Virginia alla sorella Vanessa, in cui dice di avere scambiato qualche parola «con Katherine Mansfield, personaggio sgradevole ma energico e assolutamente privo di scrupoli». Forse si era lasciata influenzare dalla fama di accalappiatrice di uomini (e di donne) che la circondava; ma il punto non era il suo eventuale comportamento osé, era il suo valore di scrittrice.Il 24 aprile a Virginia e al marito Leonard Woolf era stata consegnata la pressa per la casa editrice a cui avevano dato vita, la Hogarth Press. Il 26 aprile Virginia andò a trovare Katherine nel minuscolo appartamento dove era andata ad abitare, non più nella Bloomsbury dei modernisti, ma a Chelsea, per chiederle di affidarle un racconto da pubblicare. Katherine le rispose di sì e subito dopo si mise al lavoro, riprendendo un testo scritto tempo prima, L’aloe, ma rivedendolo completamente e affidandolo a un tipo di «prosa speciale», anticipando così di qualche anno, scrive De Simone, le scelte che poi Woolf avrebbe fatto: «Katherine, più giovane ma più avanti nell’elaborazione di uno stile sperimentale, mostrava a Virginia nuove strade possibili, nuovi modi di raccontare».L’aloe era diventato Preludio, uno dei racconti più belli di Mansfield, che in una lettera all’amica pittrice Dorothy Brett, che le chiedeva a quale «genere» appartenesse, rispose: «Per quanto ne sappia è più o meno una mia invenzione». Subito dopo, racconta De Simone, fu soprattutto Katherine a cercare Virginia e ne nacque un rapporto profondo, di vicinanza artistica e di positiva «rivalità» letteraria, tra due donne diversissime per carattere, per formazione, per comportamenti, ma unite dalla loro vocazione di scrittrici.Nessuna come lei segue passo passo le vicende delle due donne nei mesi seguenti. Innanzitutto il lavoro; e poi la malattia. Quella di Virginia, che aveva «bisogno di riposo» e di prendere peso. E quella di Katherine, che si era «rifugiata» a Bandol non lontano da Marsiglia, alla vana ricerca del sole e del caldo (era febbraio). Fu nell’albergo di Bandol che, per la prima volta, ebbe uno sbocco di sangue. «La paura più grande», scrive De Simone, «fu quella che non avrebbe avuto abbastanza tempo per finire quello che aveva cominciato: i suoi racconti, i suoi libri. Non era solo, non era tanto la vita in sé che temeva di perdere, ma la corrente della vita, della sua vita: il tempo della scrittura».Il sostegno offertole dall’amica Ida Baker, che seppe starle vicino con dedizione generosissima, fu prezioso, senza riserve. Ida l’accompagnò nei suoi spostamenti alla ricerca di una qualche cura per la tubercolosi: prima a Crans-Montana, da uno specialista svizzero, poi a Parigi da un poco affidabile medico russo, Ivan Manoukin, infine, nell’ottobre del 1922, a Fontainebleau, presso l’Istituto di George Gurdjieff. Anche il marito, almeno a tratti, le fu vicino.Virginia era lontana. Ma aveva ovviamente notizia dei lavori di Katherine, salutati da ampi consensi di critica e di pubblico. E la cosa l’irritava non poco. Nel suo diario, dopo avere letto sulla Saturday Review una recensione che la proclamava «un genio», scrisse un commento sprezzante. «Che importa se K M spopola sui giornali e fa salire le vendite alle stelle? Ho trovato un ottimo sistema per metterla al suo posto: più la elogiano, più mi convinco che non vale nulla».Poco prima di partire per Fontainebleau Mansfield trascorse un breve periodo in Inghilterra. Woolf non la cercò: non aveva mai risposto a una sua lettera dell’anno prima. Un’occasione d’incontro ci sarebbe stata; ma non ne approfittò. La notizia della morte di Katherine colpì fortemente Virginia, colta da una depressione profonda. «Quando mi sono messa a scrivere mi è sembrato che non avesse alcun senso. Katherine non lo leggerà. Katherine non è più la mia rivale». Ma era una rivalità, spiega De Simone, che le aveva fatte essere vicine, dalle rivoluzionarie scrittrici che erano. Scrisse più tardi Virginia: «sento che in qualche modo, l’amicizia perdura. Ci sono ancora cose sulla scrittura che penso e che voglio dire a Katherine». L’amicizia perdura. L’amicizia, ce lo dichiara Virginia stessa. L’amicizia per una donna, confessò, «che a modo mio, credo di avere amato».