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 2023  gennaio 06 Venerdì calendario

Padre Georg attacca Papa Francesco

Si è avvicinato lentamente. Ha aiutato a sistemare il Vangelo sulla bara. Si è inginocchiato. E, prima di andar via, ha baciato il legno di cipresso. Lo ha dato così monsignor Georg Gänswein l’ultimo saluto a Joseph Aloisius Ratzinger: per tutti il Papa emerito, per lui l’uomo con cui ha condiviso le amarezze della vita dopo il ritiro.
Lui, che nel lontano 2003 era stato scelto come segretario personale dall’allora cardinal Ratzinger, era ora la «famiglia» di Ratzinger, assieme alle quattro memores domini che ieri, in prima fila, visibilmente commosse, hanno presenziato alla cerimonia fino alla parte più privata della tumulazione. Ma Gänswein era anche il detentore dei suoi segreti che ora nel libro in uscita Nient’altro che la verità annuncia di voler, in parte, distruggere: «La fine è segnata». «I fogli privati di ogni tipo devono essere distrutti. Questo vale senza eccezioni e senza scappatoie», gli avrebbe ordinato il Papa emerito. Aggiungendo «precise istruzioni, con indicazioni di consegna che mi sento in coscienza obbligato a rispettare, relative alla sua biblioteca, ai manoscritti dei suoi libri, alla documentazione relativa al Concilio e alla corrispondenza». Il cardinale esclude che fra questi ci sia anche un dossier su Emanuela Orlandi: «Non è mai esistito».
E ora? Gänswein si definisce un «prefetto dimezzato» alludendo al congedo ricevuto da papa Bergoglio: «Mi disse: lei rimane prefetto ma da domani non torni al lavoro. Restai scioccato e senza parole». Rivela il vano tentativo di Ratzinger di intercedere. E la sua battuta: «Penso che papa Francesco non si fidi più di me e desideri che lei mi faccia da custode...». E se viene descritto sempre di più come punto di riferimento per la corrente conservatrice, quella più in contrasto con papa Francesco, è lui stesso a descrivere questo scenario: il problema, racconta, non è stato «tanto quello della coesistenza dei due Papi, uno regnante e uno emerito, quanto la nascita e lo sviluppo di due tifoserie». Col tempo, dice, «ci si rese conto sempre di più che effettivamente c’erano due visioni della Chiesa» e che «queste due tifoserie» creavano una «tensione» spesso fondandosi su affermazioni o atteggiamenti di Francesco e Benedetto «talvolta con invenzioni». Una faglia che si allarga a ogni dichiarazione di padre Georg: l’ultima sul «cuore spezzato» di Ratzinger per lo stop di Francesco alla messa in latino. E si fa più profonda anche grazie a blog e siti. Fra questi quello descritto in sintonia con Gänswein è Silere non possum che ieri titolava: «Saltano gli altarini sul non detto di questi anni». Rimproverava a Bergoglio di aver «sempre temuto» il predecessore e aver voluto per lui «un funerale come ogni altro cardinale». E precisava che «nell’ovile cattolico ci sono anche quelli che non vogliono una chiesa alla “volemose bene”, ma una seria istituzione di Cristo che vuole la salvezza dell’anima».
Nel libro padre Georg ripercorre le tappe di quel crescendo di incomprensioni. A partire dal «no» di Francesco all’Appartamento papale. «Di solito dormo come un sasso. Ma nel pensare all’Appartamento non ho chiuso occhio», gli disse Bergoglio. «Motivi psichiatrici», aveva detto il Papa scherzando, racconta Georg, a un gruppo di gesuiti. Ricorda come lui provò a far notare che «per tutti quelli che passavano di sera davanti alla Basilica vaticana era un punto di riferimento la luce accesa nell’Appartamento pontificio e che ci sarebbe stata sicuramente nostalgia se si fosse modificata la residenza». «Però ebbi l’impressione che le migliaia di chilometri di distanza da Roma non lo avevano reso partecipe di tale sensibilità», conclude.

In un altro passo dell’intervista, assicura che fra i due Papi il rapporto era «affettuoso», con scambi di vino e dulce de leche argentini e dolci tirolesi delle memores e limoncello.
Tuttavia, morto Ratzinger le insidie per Francesco non mancheranno. Pure a causa delle voci di sue possibili dimissioni per le condizioni di salute, alimentate anche strumentalmente. La prima sfida sarà gestire le richieste dei fedelissimi di Benedetto XVI di una procedura fast di beatificazione, già manifestate ieri in piazza con lo striscione «Santo subito». Gänswein dice: «Personalmente non ho dubbi sulla sua santità, però, ben conoscendo anche la sensibilità espressami da Benedetto XVI, non mi permetterò di fare alcun passo per accelerare il processo canonico».