Corriere della Sera, 6 gennaio 2023
Chi c’era al funerale di Benedetto XVI
L’insolita nebbia romana e la sua umidissima coltre gelano il settore degli ospiti illustri. Non è un funerale di Stato, chi è qui è per un sincero legame con Benedetto XVI: il dolore e il lutto sono veri. Però fa freddo. Lo si vede dai rari movimenti del Presidente Sergio Mattarella nel suo cappotto nero e sciarpa blu notte: oggi è solo, non ha accanto la figlia Laura. Parla molto spesso con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, alla sua destra in tailleur pantalone scuro e cappotto nero chiuso da una cinta morbida, sotto ha una camicia bianca. Poi anche lei ricorre a uno scialle nero e grigio ferro.
Alla sinistra, secondo il protocollo, il capo dello Stato (che guida una delle due sole delegazioni ufficiali invitate dal Vaticano con quella tedesca) ha il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher, dunque autorità diplomatica della Santa Sede e qui non religiosa: altro dialogo fitto. Scambio di opinioni, prima della cerimonia, tra l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, già suo ministro dello Sviluppo economico: immagine subito rilanciata da Dagospia tra mille interrogativi: il ministro ha seguito la cerimonia con un rosario tra le mani. In rappresentanza di Roma c’è il sindaco Roberto Gualtieri. Dietro Mattarella, il segretario generale del Quirinale, Ugo Zampetti.
Poco più in là, sempre nei banchi in prima fila sul settore destro rispetto all’altare e al feretro, poco dopo il capo del governo federale Olaf Scholz (in seconda fila) ecco il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier (di fede evangelica) accanto alla moglie Elke Büdenbender (invece cattolica) cappotto scuro e filo di perle, unico gioiello consentito nei lutti formali. Presidente e Capo del governo, quindi al massimo livello, come la delegazione italiana. Perle anche per la regina Mathilde del Belgio, un collare di quattro giri: è l’unica a indossare il tradizionale velo di pizzo nero. Accanto c’è suo marito re Filippo, che qui è a casa sua perché è mezzo romano, figlio della regina madre italiana Paola Ruffo di Calabria, bellezza pariolina che incantò suo padre Alberto di Liegi nel remoto 1958 proprio a Roma all’insediamento di papa Giovanni XXIII. C’è la regina madre di Spagna, Sofia, moglie dell’ex sovrano Juan Carlos, auto-esiliato ad Abu Dhabi dopo mille scandali: lei nasce greco-ortodossa, figlia di Paolo I di Grecia, ma dal matrimonio spagnolo a 24 anni è di profonda fede cattolica.
A fine cerimonia si rivede un pezzo di antica Europa: alcuni dignitari le presentano tre ragazze che si inchinano secondo l’etichetta di corte. La saluta il principe Mariano Hugo di Windisch-Graetz, gentiluomo di Sua santità e marito di Sofia d’Austria, imparentato con i reali belgi attraverso sua sorella Christiana. Dietro due Savoia: Clotilde, moglie di Emanuele Filiberto, e la primogenita Vittoria, dichiarata futura erede a un trono assai più che immaginario ma conteso anche dal ramo Aosta.
Sempre nel settore italiano il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, col vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri che rappresenta il presidente Ignazio La Russa, influenzato. Numerosi i ministri: Antonio Tajani, Guido Crosetto, Gennaro Sangiuliano, Carlo Nordio, Anna Maria Bernini, Alessandra Locatelli. C’è anche l’ex ministro Giulio Tremonti. Tra i nomi internazionali, sempre a titolo personale, il presidente polacco Andrzej Duda, quello portoghese, Marcelo Nuno Duarte Rebelo de Sousa (baciamano alla regina Sofia), quello lituano Gitanas Nauseda. E, ancora, la presidente della Slovenia Natasa Pirc Musar, il presidente dell’Ungheria, Katalin Novák. Manca, ma lo si sapeva dall’inizio, il presidente cattolico americano Joe Biden, rappresentato dall’ambasciatore presso la Santa Sede, Joe Donnelly.
Significative le delegazioni delle altre fedi: la comunità ebraica romana guidata dalla presidente Ruth Dureghello, per il mondo musulmano il presidente dell’Ucoi, Yassine Lafram, e il vicepresidente della Coreis, Yahya Pallavicini. Poi i patriarchi orientali: Louis Raphael Sako di Babilonia dei Caldei da Baghdad e il maronita Bechara Boutros Rai da Beirut. Le diverse realtà ortodosse, la Chiesa anglicana, quelle luterana ed evangelica. I saluti sono fitti e continui, anche della presidente Meloni. A scanso di ogni equivoco, da Palazzo Chigi faranno poi sapere in tarda mattinata che non ci sono stati incontri o vertici particolari con le personalità straniere, come può avvenire in questi casi. La bara di Benedetto XVI si allontana tra gli applausi. Anche loro, i potenti, battono le mani, proprio come la folla in piazza. Tutti uguali nell’addio.