Corriere della Sera, 7 gennaio 2023
«Il Celeste», un docu che non si sostituisce ai tribunali
Doverosa premessa: non ho mai amato Roberto Formigoni, mi hanno sempre infastidito le commistioni di potere e religione, le sue frequenti manifestazioni di arroganza, alterigia e vanità, l’atteggiamento di una ipocrisia irritante, spocchiosa e vana.
Il suo sbaglio più grande, ma forse l’avrebbe commesso chiunque dopo il plebiscito alle elezioni europee del 1984 e i quattro mandati alla presidenza della regione Lombardia, è stato un peccato di tracotanza, la hybris dei Greci, la violazione della norma della misura cioè dei limiti che l’uomo deve incontrare nei suoi rapporti con gli altri uomini, con la divinità.
Però ora Formigoni è tornato con i piedi per terra, ha pagato il suo conto con la giustizia, merita il rispetto di tutti. Il documentario «Il Celeste – Roberto Formigoni», scritto da Carmen Vogani con Danilo Chirico, Marco Carta e Lorenzo Avola, regia di Giulia Cerulli, è molto interessante perché non è un atto d’accusa, non è un regolamento di conti, non è un’inchiesta stile «Report» o «Iene»: non alza mai il ditino per rinfacciare a Formigoni gli sbagli commessi (Nove e Discovery+). In più, il racconto è arricchito da materiale d’archivio scovato nelle teche di Telelombardia (dove Formigoni era spesso presente), che si aggiunge al repertorio privato messo a disposizione dallo stesso ex governatore. «Il Celeste» non ha nulla dell’agiografico o del riparatorio. A Formigoni non vengono risparmiate critiche da Ferruccio Pinotti, Giuseppe Civati, Marco Cappato, David Parenzo e soprattutto da Carla Vites, moglie di Antonio Simone, il migliore amico di Formigoni finito anche lui in carcere (parole che raccontano la fine di un’amicizia, di un mondo, di una ristretta comunità), però il tono è quello giusto, la tv non si sostituisce ai tribunali. E poi Formigoni ha la possibilità di raccontare la sua verità, di ricostruire i fatti avendo finalmente perso una maschera poco evangelica.