Corriere della Sera, 7 gennaio 2023
Intervista a Filippo Timi
Il BarLume per Filippo Timi rappresenta molte cose, alcune delle quali insospettabili. Ad esempio, spiega, «è un modo per stare vicino a mia mamma». Dal 9 gennaio (alle 21.15), «I delitti del BarLume» torna con tre nuove storie su Sky Cinema Uno e Sky Cinema 4K (e alle 21.45 anche su Sky Cinema Comedy) e in streaming su Now.
Ma che c’entra la mamma?
«I miei genitori sono cresciuti pensando che quello che si vede in tv è la verità: è faticoso far capire a mia mamma che quello che vede non è la realtà. Insomma, ancora le fa impressione quando mi vede in qualche film dove mi succede qualcosa di brutto o se faccio il cattivo: mi chiama subito per essere rassicurata. Per questo ha un amore particolare per il Bar Lume: le storie sono divertenti, e poi io sono un bel personaggio. Mette la serie anche solo di sottofondo, per sentire la mia voce in casa».
Si immaginava di arrivare alla decima stagione?
«No. Era la prima volta che mi proponevano una serie, ma mi sono sentito subito in famiglia. Con me c’è anche Lucia Mascino, mia migliore amica anche nella vita. In questi anni, non bastasse, ho potuto incontrare tantissimi grandi attori, un privilegio».
Ad esempio chi?
«Per me è stato un regalo lavorare con Carlo Monni, una bestia rara. Chi non lo ha conosciuto non sa che incarnava la vita, il teatro selvaggio».
Nel cast c’è anche Corrado Guzzanti.
«Beh, semplice: Corrado Guzzanti uguale mito. Talmente lo amavo, da sempre, che le prime volte che andavamo a cena nessuno dei due parlava. Io continuavo a guardargli le scarpe, talmente ero in soggezione. Ora le cose sono cambiate. Ha dei tempi che non acchiappi, inventa molto però è precisissimo, pazzesco».
Una grande famiglia dove però ci sono parecchi delitti.
«Prima che morisse Angela Lansbury ho implorato il regista di farle fare una puntata... sarebbe stato un sogno».
Si sente un «signore in giallo»?
«No, no. I signori in giallo sono i bimbetti. I vecchietti del bar. Sono loro le nostre Jessica Fletcher. Ma resto convinto che la nostra sia una serie femminista: c’è una bellissima emancipazione dei personaggi femminili, primo fra tutti quello di Lucia che interpreta una detective. E poi il regista, Roan Johnson, dice a tutti “brava”. Le prime volte rispondevo: “Bravo”. E lui: “Eh sì, scusa, brava”. Questo perché sua mamma e le sue zie, sin da piccolo gli dicono, per qualche ragione, “brava”».
L’ambientazione è una Toscana che non esiste.
«Ma anche se cambi il panorama, trovi comunque quel quartetto di vecchietti. Quella Toscana è come se riprendesse la tradizione di Amici miei: c’è quella cattiveria, anche se meno feroce, perché altrimenti non reggerebbe da dieci anni».
Gli amici possono diventare una famiglia?
«Io sono single e la mia famiglia sono le mie amiche. C’è una condivisione reale, intima. E una profondità che auguro a tutti dopo due anni di Covid. E se ci sembra che il mondo sia peggiorato, forse dovremmo gioire, perché magari siamo migliorati».
È un ottimista?
«Più che altro non credo alla strategia. Vanno fatte le cose credendoci davvero. E lavorando con disciplina».
Il talento non basta?
«La dote è l’1 per cento, il resto è duro lavoro. Io ad esempio balbetto: mi costringo ad andare in scena proprio per questo. Ad ogni modo, non pensavo di fare l’attore, non credevo fosse possibile guadagnarsi la vita così».
E lei che dote ha?
«La voce? Ma, anche qui, ci ho lavorato. Ho fatto dieci anni di canto armonico».
Sarà anche il protagonista di «Dostoevskij», la prima serie di Damiano e Fabio D’Innocenzo.
«Incontrandoli, per me è stato come essere davanti alle Piramidi, a qualcosa di monumentale, con delle segrete, un universo sconosciuto. Ho girato scene davvero toste».
Lo ha detto a sua mamma?
«Ecco, no, devo prepararla. Quando vede la prima inquadratura sviene... magari la faccio venire a Roma e la guardiamo assieme».