Corriere della Sera, 7 gennaio 2023
Perché Cina ed Europa litigano su tamponi e Dna
È un noto meccanismo della mente umana quello in base al quale tendiamo a prevedere che gli altri si comportino come vorremmo fare noi: così ci capita di accusare il prossimo di avere intenzioni tipiche del nostro modo di essere. Un po’ di psicologia tornerebbe utile per comprendere la reazione di Pechino all’annuncio di vari Paesi europei che sottoporranno a test sul Covid chiunque arrivi dalla Cina. Martedì una portavoce del governo ha detto che i tamponi su chi sbarca dalla Repubblica popolare sono «inaccettabili», minacciando «contromisure». Paradossale, per un governo che per anni ha imposto quarantene durissime agli europei in arrivo. Si capiscono meglio però i timori del regime di Xi Jinping, se si pensa a ciò che rivela la recente visita di Olaf Scholz a Pechino: per non essere sottoposto a test all’arrivo, il cancelliere tedesco si è fatto fare un tampone sull’aereo di Stato da un medico tedesco. Il problema non era l’affidabilità, ma il rischio che i cinesi conservassero e analizzassero il Dna del leader tedesco. Perciò Scholz non voleva medici di Pechino vicino a sé.
Ingenuamente invece il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si è prestato a un prelievo ad opera dei cinesi. Del resto da anni Xi Jinping fa imporre test continui, con identificazione tramite passaporto, alle migliaia di europei nel Paese. Senz’altro il regime ha costruito un’immensa banca dati di patrimonio genetico europeo, buono per misurare il rischio di malattie o altri usi oggi imprevedibili. Infatti le obiezioni della Cina ora non riguardano i test in sé su chi viaggia verso l’Europa, ma a quelli fatti all’arrivo: alla partenza dalla Cina vanno bene, perché i campioni di Dna restano nel Paese. Un regime autoritario che spia persino il codice genetico dei suoi sudditi e ospiti pensa sia normale che anche una democrazia si comporti così. La psicologia umana, a volte, gioca brutti scherzi.