La Stampa, 7 gennaio 2023
Gli anni di Vialli alla Juventus
L acrime bianconere. Gianluca Vialli è stato un simbolo. Quattro stagioni, incastonate tra Samp e Chelsea, sono bastate per lasciare una traccia profonda, scrivere un capitolo splendido culminato nella Champions League strappata all’Ajax. L’ultima vinta dalla Juventus, ormai ventisette anni fa. «Ci lascia un campione - il ricordo del club bianconero -, anzi, una leggenda, un grande uomo, un pezzo di noi e della nostra storia».
Torino era nel destino dell’attaccante. I dirigenti di piazza Crimea - all’epoca la sede era lì, in precollina - l’avevano seguito già durante i primi passi a Cremona, ma i blucerchiati, nell’estate 1984, erano stati più decisi, spalancandogli le porte della Serie A e aprendo con lui e Roberto Mancini, Pietro Vierchowod e Toninho Cerezo, Gianluca Pagliuca e Attilio Lombardo un ciclo indimenticabile: scudetto e Coppa delle Coppe, il rimpianto d’una finale di Champions persa contro il Barcellona a Wembley nel ’92.
La resa a Koeman, autore del gol decisivo ai supplementari, pochi minuti dopo la sua sostituzione, tirò giù il sipario sull’esperienza doriana e riallacciò, dopo otto anni, il filo bianconero mai reciso: trattativa lunga, complessa, ma sbloccata e vidimata in un giorno, la mattina l’incontro con il presidente della Samp, Paolo Mantovani, al centro sportivo di Bogliasco, seguito da un ultimo allenamento con la faccia scura e senza una parola, e nel tardo pomeriggio il colloquio, seguito dalla firma, in un albergo del centro di Torino con Giampiero Boniperti. Pianse, Vialli, comunicando la scelta ai compagni, e piansero loro in un ristorante affacciato sul mare. La Juve investì 40 miliardi di vecchie lire, comprensivi dei cartellini di Mauro Bertarelli, Eugenio Corini, Michele Serena e Nicola Zanini, cifra record per l’epoca, da sommare a un ingaggio di 10 miliardi più premi distribuiti in quattro anni: punta di diamante di una campagna acquisti sfavillante completata da David Platt, Andreas Moeller e Dino Baggio, da Fabrizio Ravanelli che mai s’era affacciato in Serie A, dal gioiellino Luigi Sartor e da uno sconosciuto Moreno Torricelli, riuscito a stregare Giovanni Trapattoni durante un’amichevole con la Caratese.
Il primo anno fu complicato, condizionato da difficoltà d’ambientamento e metamorfosi tattiche discutibili: capitò di vedere Vialli dietro Roberto Baggio e Pierluigi Casiraghi, diligente nel pressing e generoso nell’assist però troppo lontano dalla porta, fiaccato dal sacrificio e quindi poco lucido al tiro. Nacque anche una diatriba con Arrigo Sacchi, all’epoca ct, per il quale Gianluca doveva finalizzare e non rifinire, mentre Trap insisteva con la regia e ricordava le riconversioni passate di campioni come Boniperti o Di Stefano. La stagione regalò alla Juventus la Coppa Uefa, ma il bilancio personale non fu positivo, Vialli si ribellò alla scelta del Trap dichiarandosi stanco di stare lontano dall’area e non sbocciò mai, comunque, con Roby Baggio quell’intesa magica che trovava in campo con Mancini. Le cose non migliorarono nella seconda stagione, segnata pure da una catena di infortuni, così si diffuse la sensazione di un acquisto sbagliato, d’un calciatore involuto sulla via del declino benché appena trentenne, ma nell’estate del 1994, con Trapattoni passato al Bayern Monaco e Marcello Lippi sulla panchina bianconera, cambiò tutto. Il nuovo allenatore lo collocò al centro del progetto e dell’attacco, restituendogli smalto e ruolo, rigenerandolo nello spirito e nel corpo – «Sembrava un tacchino grasso, cosa gli avete fatto?» chiese compiaciuto l’Avvocato Giovanni Agnelli nel ritiro di Villar Perosa - e lui ripagò appieno la fiducia, diventando leader e goleador, capace di non far rimpiangere il Divin Codino a lungo indisponibile per problemi fisici.
La Juve vinse lo scudetto e la Coppa Italia e lui organizzò una grande festa al Castello, la meravigliosa casa di famiglia a Grumello Cremonese: c’era tutta la dirigenza tranne Umberto Agnelli, impegnato all’estero per lavoro, c’erano Eros Ramazzotti, Idris e Paolo Belli, c’era Walter Veltroni e c’era tutta la squadra, anche Baggio che, si racconta, non incrociò a lungo lo sguardo di Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Roberto Bettega salvo poi appartarsi con loro e discutere il futuro.
La cessione ebbe impulso quella sera, lo corteggiava l’Inter ma preferì il Milan, così Vialli diventò capitano e perno di un attacco super con Ravanelli e il giovane Alessandro Del Piero, lo scudetto andò ai rossoneri ma i bianconeri sollevarono la Champions, Gianluca firmò due gol pesanti nelle semifinali con il Nantes ma, soprattutto, si distinse sempre come trascinatore. La alzò lui, ricorda ancora la Juventus, «intervallando con quell’attimo infinito un pianto dirotto che iniziò al momento del rigore decisivo. E quel pianto era il nostro: dolcissimo, inarrestabile». Quella dell’Olimpico fu la sua ultima apparizione con la Juventus, anzi l’ultima ufficiale. Perché prima di traslocare a Londra, da svincolato, nel Chelsea allenato da Ruud Gullit, ne vestì ancora la maglia in tournée ad Hanoi contro la nazionale vietnamita, segnando anche una rete nella vittoria per 2-1. I tifosi non lo hanno mai dimenticato tanto che mercoledì a Cremona, in una partita simbolo della sua vita, è comparso uno striscione commovente: «Luca Vialli segna per noi...». Non c’è stato tempo. È il giorno del dolore. «Grazie mio capitano» piange Marcello Lippi.