la Repubblica, 7 gennaio 2023
Quentin Tarantino ha scritto un saggio sul cinema
Nella copertina Cinema speculation Quentin Tarantino ha scelto di omaggiare Sam Peckinpah e Steve McQueen sul set di Getaway! . È sin troppo evidente che il regista sia nel suo pantheon ma la scelta di preferire uno dei suoi film più mainstream ai capolavori è rivelatoria: Tarantino non rispetta alcun canone accademico, sa individuare tesori nascosti in ogni tipo di film; attribuisce un’importanza fondamentale alla qualità del linguaggio e si sente affine a una visione del mondo romantica, violenta, pessimista, maschile e a tratti maschilista, che portò Pauline Kael a scrivere il memorabile The nihilist poetry of Sam Peckinpah . Focalizzato sulla Hollywood Renaissance, Cinema speculation (in Italia per La nave di Teseo) è un’appassionante raccolta di saggi, che si dilunga su capolavori indiscussi e film improbabili quali Black Gunn di Robert Hartford-Davis oTaverna paradiso con Sylvester Stallone.
Nulla di provocatorio, piuttosto uno sguardo assolutamente libero che gli consente di apprezzare ogni tipo di cinema, ovviamente a modo suo: quando venne a ritirare il premio alla carriera alla Festa del Cinema volle conoscere Marco Bellocchio e Paolo Taviani, di cui è sincero ammiratore. Al primo si presentò imitando il gesto che fa Lou Castel quando uccide la madre ne I pugni in tasca e al secondo disse che l’episodio Mal di luna diKaos è «il più bel film sui lupi mannari mai fatto». Questo approccio spiazzante è evidente quando definisce Taxi driverun remake di Sentieri selvaggi , aggiungendo di non credere che il protagonista sia un reduce del Vietnam. Si interroga quindi su come sarebbe stato se lo avesse diretto Brian De Palma, regista che ha ispirato una sequenza diKill Bill ,aggiungendo che quest’ultimo non avrebbe esitato a scritturare un attore di colore al posto di Harvey Keitel per il ruolo del magnaccia. A otto anni andò a vedere M*A*S*H , uscendone turbato, ma ricordando quell’emozione si lascia andare a una frecciata nei confronti di un altro gigante: «Credete davvero che Altman veda i film degli altri registi?».
Leggere questo libro divertentissimo e illuminante è come sentirlo parlare di cinema con l’entusiasmo di un bambino o vedere le sequenze costruite su dialoghi senza senso che rivelano, a sorpresa, il sapore e l’essenza dei suoi film. L’attenzione agli emarginati, che lo ha portato a rivitalizzare carriere che sembravano finite, come è avvenuto con John Travolta, Robert Forster e Pam Grier, e scoprire talenti come Christoph Waltz, è evidente nelle pagine dedicate a caratteristi quali John Saxon, attori scomparsi prematuramente come Barry Brown e film dall’esito disastroso come Daisy Miller .
Non mancano le tesi discutibili ma non c’è pagina in cui non riesca a condividere un’emozione che in primo luogo è divertimento e piacere: basterebbe mettere a confronto la sua lista di film preferiti, nella quale campeggia Il buono, il brutto e il cattivo , rispetto a quella, sconcertante, pubblicata di recente da Sight & Sound. Per sottolineare la passione per Sergio Leone, a Roma spiegò che quando deve girare un primissimo piano dice all’operatore “gimme a Sergio” e disse che il linguaggio di Peckinpah è composto da “balletti liquidi”, definizione utilizzata anche nel libro.
Ma insieme alle celebrazioni di cineasti diversi rimangono impresse le dissonanze con alcuni maestri, inparticolare Scorsese. Se quest’ultimo vede il cinema come la rappresentazione dell’esistenza concepita come una violenta Via Crucis, Tarantino vi individua invece la possibilità di un’autentica libertà: è questo il motivo per cui ha ripetutamente riscritto la storia, suscitando obiezioni etiche su cui bisogna riflettere alla luce di questa concezione anarchica. Il cinema arriva a essere superiore alla vita stessa ma all’interno di un’impostazione pop, efferata e lieve, riluce a volte una catartica esigenza di giustizia: solo così si può leggere la morte di Hitler in un attentato inBastardi senza gloria .E altrevolte affiora, più sorprendentemente, un anelito di tenerezza, come nel finale di C’era una volta a...Hollywood , in cui Sharon Tate, neanche sfiorata dalla famiglia Manson, invita i protagonisti a prendere un drink.
Tarantino è cosciente di rappresentare un punto di riferimento idolatrato e imitato e sa di essere l’artefice della più importante rivoluzione cinematografica degli ultimi trent’anni: il libro testimonia come tutto nasca dall’esperienza di commesso in un negozio di videocassette, dove parlava con lo stesso entusiasmo dei film da vedere, mettendo sempre al primo posto Arrivederci ragazzi di Louis Malle. Un cliente, dopo aver ascoltato per la terza volta la stessa raccomandazione, rispose che non ne poteva più di quel film, storpiandone l’originale “Au revoir” in “Reservoir” e aggiungendo la parola “dogs” per accentuare il disprezzo: nacque così il titolo evocativo e misterioso del suo esordio, offrendo un’ennesima prova di come ragiona questo formidabile uomo di cinema, di cui apprezziamo il talento di saggista ma al quale chiediamo con tutto il cuore che non mantenga la promessa di dirigere soltanto un altro film.