la Repubblica, 7 gennaio 2023
Margherita Laterza racconta le molestie subite sul set
Centinaia sono le storie emerse negli ultimi anni: registi, direttori della fotografia, produttori, approfittano del loro ruolo per mettere in atto molestie di natura sessuale su attrici, costumiste, assistenti alla regia. Nel coro di voci si solleva anche quella dell’attrice Margherita Laterza, 34 anni, figlia dell’editore Giuseppe: «La violenza nel nostro mondo — sottolinea — è stata normalizzata: lavorando con il corpo il confine tra lecito e illecito è sottile, se ti lamenti sei tu che hai capito male». Laterza ha lavorato con Pupi Avati, Luca Barbareschi, Claudio Collovà, Sergio Rubini.
L’esperienza che lei racconta è quella che lega un episodio recente a un trascorso di abusi subiti da un produttore durante le settimane delle riprese, anni fa.
«Di recente ha trovato il modo di molestarmi ancora, era di nuovo nel ruolo di produttore come cinque anni fa».
Cosa è accaduto?
«Dopo aver fatto un provino, il regista mi fa sapere che è andato molto bene e che c’è lui, nel suo ufficio, che vorrebbe che andassi a salutarlo. Gli faccio sapere di essere in ritardo per una lezione di canto. L’indomani quel produttoremi ha mandato un messaggio vocale in cui mi chiedeva se volessi davvero il ruolo oppure no, perché dal mio comportamento si capiva che non ci tenessi. Gli ho risposto che ci tenevo eccome: avevo fatto il provino, era andato bene, cosa mancava? Mi risponde che forse non ho capito come funziona».
Vi conoscevate già?
«Sì. Abbiamo lavorato insieme circa cinque anni fa ed è stato un calvario. All’inizio il suo era un corteggiamento pressante, ma romantico, anche se potevo essere sua figlia e, sopratutto, nonostante ci fosse un evidente squilibrio gerarchico. Nel senso, se siamo parigrado o se finisce la produzione, nulla ti vieta di approcciarti, ma mentre sei il mio capo è totalmente fuori luogo: non sono libera di dirti di no».
In cosa consisteva il corteggiamento?
«Mi diceva che era innamorato di me, che ero bravissima, mi elogiava davanti alla troupe. Poiquando ha capito che non basta spacciare per amore qualcosa che amore non è, si è arrabbiato e ha iniziato con i maltrattamenti che andavano da quelli psicologici, fatti di rimproveri eccessivi, a quelli fisici. Il contatto fisico non richiesto e l’esercizio di potere erano il suo modo di convincermi ad andare con lui».
In che modo esercitava potere?
«Una volta mi ha sbattuta contro un muro e sono riuscita ad allontanarlo. Penso lo abbia fatto per farmi capire che se avesse voluto andare oltre avrebbe potuto farlo anche senza il mio consenso. Per lui era un gioco. Un giorno mi ha toccata mentre stavamo girando. Un tocco viscido che ho riconosciuto e che mi ha fatto perdere la lucidità per qualche minuto. Nessuno ha detto niente e intorno a noi è calato il silenzio. Un’altra volta mi ha urlato che sono “l’unica attrice in Italia che non la dà”, cito testualmente.
Poi ha fatto un elenco di tutte le mie colleghe che invece la danno, sempre davanti a tutta la troupe che lo ascoltava».
Non ha pensato didenunciarlo?
«Oggi lo denuncerei, ma all’epoca ero meno consapevole di cosa sia una molestia. Credevo fosse in qualche modo normale, non giusto, ma consueto che si comportasse così. E di questo incolpo tutto l’ambiente che ha permesso a persone come lui di farla sempre franca facendo invece fuori chi, come me, alza la testa e, appunto, non la dà. Infatti, non mi ha più fatta lavorare con lui».
Tutti sanno e nessuno parla?
«Nessuno parla e, anzi, molti alimentano queste dinamiche. In un’altra produzione un regista aveva una personalità complessa e fragile, aveva bisogno di continui riconoscimenti. Era così nervoso che un collega è venuto a chiedermi di andarci a letto, mi ha detto: “Fallo per tutti noi”. Ed era serio. Siamo oggetti, noi donne, soprattutto in spazi prevalentemente maschili, come ancora sono il cinema e il teatro, di comportamenti predatori.
Sono stati normalizzati gli abusi psicologici, di potere e sessuali.
Oggi per denunciarlo è tardi, avrei dovuto farlo entro un anno dai fatti, in tal senso la legge non ci aiuta».