La Stampa, 5 gennaio 2023
Erri De Luca: «Io sto con gli eco-guerrieri»
«Apri la tua bocca in favore del muto». Cita una frase del libro dei Proverbi contenuto nella Bibbia, Erri De Luca, per esprimere quello che sente essere il suo «compito civile». Scrittore, poeta e traduttore, per De Luca l’impegno politico è da sempre centrale, dalla militanza in Lotta continua negli Anni Settanta alla battaglia contro la Tav, nell’ambito della quale è stato processato e assolto per le sue dichiarazioni a sostegno del sabotaggio dell’opera. Su vari fronti, dice, «oggi i muti sono quelli che gridano le loro ragioni» senza essere ascoltati. Dei blitz contro i palazzi del potere e contro l’arte che gruppi ambientalisti ripetono in questi mesi, e giorni, lo scrittore condivide «gli argomenti e la necessità di promuoverli».
Dai quadri di Leonardo e Van Gogh, protetti dal vetro, imbrattati fino alla vernice lavabile lanciata su Palazzo Madama, la protesta ambientalista ha alzato il tiro. Manifestare in piazza non basta?
«Definirle forme di protesta è per me riduttivo. Sono ordini del giorno che riguardano la vita del mondo che ci ospita e l’epoca presente. Le manifestazioni in piazza sono forme consumate di testimonianza politica. Servono gesti espliciti, comunicativi e innocui. Ne stiamo discutendo perché riescono a richiamare l’attenzione della cronaca».
Il bene di una causa giustifica qualsiasi forma di protesta, anche violenta, o ci sono limiti da non valicare?
«Non qualsiasi, ma quella adatta e calibrata. Sono stato incriminato e assolto dal reato di istigazione. Quella causa, la lotta della Val di Susa, andava difesa in quel modo. Oggi su queste forme di lotta politica di Ultima Generazione mi limito a constatare che sono ragionevoli e misurate sulla sensibilità attuale così attenta alle superfici. Schizzarle di vernice lavabile suona scandaloso alle epidermidi di chi non fa niente di niente per ridurre i danni ambientali».
La politica ha condannato il blitz al Senato e il vicepremier Salvini dice che «i vandali che lo hanno imbrattato rischiano una pena da 1 a 5 anni». Questi gesti ottengono l’obiettivo di risvegliare le coscienze sul tema climatico o sono controproducenti nell’opinione pubblica?
«I vandali fanno leggi che ostacolano i salvataggi di chi sta affogando in mare. C’è un vandalismo in corso sui rincari delle bollette energetiche. Invocare manette è una forma di impotenza. Ma gioca a favore delle ragioni dei gesti simbolici».
«Gli intellettuali cominciano a dare segnali di attenzione», ha detto un attivista di Ultima Generazione. È così?
«Gli intellettuali andrebbero identificati, si tratta di singole persone e non di una categoria. Non sono ottimista guardando in giro. Ma gli italiani sono imprevedibili. Si sono astenuti in massa alle politiche di settembre, sta a vedere che sta covando uno schieramento ambientalista che farà saltare il banco del Casinò politico».
«Per me, da scrittore e da cittadino, la parola contraria è un dovere prima di essere un diritto» ha scritto in La parola contraria (Feltrinelli), uscito poco prima del processo Tav. Che ruolo hanno o devono avere gli intellettuali nelle proteste del nostro tempo? E cosa sente di dover fare lei?
«Uno scrittore ha l’ambito della parola e allora il suo compito è difenderla dalle contraffazioni, dalle falsificazioni di chi per esempio dice che gli emigranti sono invasori. Un verso del libro dei Proverbi ordina: "Apri la tua bocca per il muto". Oggi i muti sono quelli che gridano le loro ragioni e nessuno li ascolta. Il mio compito civile è di amplificare il loro segnale, farmi strumento della circolazione delle loro parole, a Taranto per esempio dove una città subisce intossicazione volontaria e continuata. E poi c’è una guerra dentro questo piccolo continente europeo. Allora con un furgone e un amico faccio viaggi di rifornimento di quanto ci viene richiesto da lì. Prima di Natale abbiamo portato due generatori a orfanotrofi che erano al buio. Non è un’attività che raccomando come linea di condotta. È solo quello che personalmente credo di dovere al mio tempo, alla fortuna di esistere».
Paolo Cognetti, commentando il blitz al Senato, ha detto che «non riusciamo a vedere nella protesta un esercizio democratico: per noi la democrazia si esaurisce nell’urna. Invece prevede il diritto al dissenso e, per chi governa, il dovere di ascoltare».
«D’accordo con Cognetti, ma queste forme di pubblica testimonianza non le vedo rivolte alle autorità, che sono inerti, sorde, inattuali. Sono rivolte all’opinione pubblica degli italiani, servono a smuovere coscienze, non a contrattare una diminuzione di CO2».
Lei è un amante della montagna, che effetto le fa vedere lì le conseguenze dei cambiamenti climatici?
«La montagna è un luogo dove la nostra pressione umana scarseggia, si dirada, resta in minoranza. È il posto che per ora sopporta meglio l’alterazione climatica. Ci vado per la sua bellezza e per dimenticare quello che lascio a valle».
Pensa che i giovani stiano combattendo per i diritti e per il futuro?
«Sì, sono avanguardia di prossime generazioni che approfondiranno metodi e invenzioni per produrre economie di riparazione, stili di vita pubblica e privata».
In Iran i giovani che protestano mostrano un enorme coraggio, rischiando carcere e morte. Lasceranno un segno nelle nostre coscienze?
«Stanno lasciando testimonianza, stanno condannando all’infamia i teocrati loro aguzzini. Una generazione in Argentina negli Anni 80 fu sterminata dalla dittatura militare. Chiamata desaparecida, scomparsa, in verità ha fatto scomparire i suoi assassini. Succederà in Iran»