La Stampa, 5 gennaio 2023
Una giornata in trincea con un medico di famiglia
Il telefono del dottor Ivano Pondini, medico di medicina generale a Opera, nell’hinterland milanese, inizia a squillare prima delle otto, orario che ha dato ai suoi pazienti come riferimento. «Vado avanti almeno fino alle nove e mezza a rispondere. La cosa più frustrante è quando un paziente chiama solo per avere la prescrizione di un esame che gli ha indicato uno specialista, privatamente, senza che il medico di famiglia sia stato informato. Così il nostro diventa un lavoro di segreteria, si perde il rapporto medico-paziente». Il dottor Pondini cerca di non lamentarsi troppo ma il suo telefono continua a squillare anche quando, terminato l’orario «delle telefonate» inizia quello delle visite ambulatoriali. Che non vanno mai al di sotto delle cinque ore al giorno, «ma anche sei, se ho pazienti in studio senza appuntamento. In tanti anni, non ho mai mandato via nessuno».
Quando l’ambulatorio è finalmente chiuso - più o meno alle 20 - è il momento di rispondere alle mail - circa una trentina al giorno - e di dedicarsi alla burocrazia: «Le scartoffie sono la cosa che più ci fa perdere tempo: durante le settimane clou di somministrazione del vaccino antinfluenzale, ho chiesto a mia figlia che mi aiutasse a compilare i moduli di ciascun paziente. È una enorme perdita di tempo che moltiplicata per il numero degli assistiti diventa un vero e proprio lavoro aggiuntivo».
È alla burocrazia si somma di tanto in tanto qualche novità da parte di Ats «che per risparmiare, scarica su noi medici ulteriori obblighi. Per esempio compilare i piani terapeutici, che prima venivano redatti solo dallo specialista. Che senso ha farne quattro copie?». I piani terapeutici sono particolari prescrizioni per farmaci che possono essere prescritti solo da Centri specialistici autorizzati dalla Regione e devono contenere, oltre all’anagrafica del paziente, anche il nome del medico, la diagnosi, il farmaco prescritto, il dosaggio, le modalità e i tempi di assunzione. Secondo le nuove normative, vanno redatte in
quattro copie, di cui una spetta al medico di famiglia: «Molte volte capita che la compilazione da parte dello specialista sia errata o incompleta e quindi tocca rifarla daccapo». Ma il vero punto dolente è la mole di pazienti sommata al carico di ulteriori incombenze che esulano dal lavoro di medico. «Ho 1.650 pazienti e il mio massimale dovrebbe essere 1.500, ma con i ricongiungimenti familiari è inevitabile che quel tetto venga superato». Per ogni assistito, il compenso mensile è di 3.44 euro, per gli over 75 circa un euro in più. «Anche la burocrazia che svolgiamo ci viene retribuita, ad esempio i certificati di invalidità, quelli per la patente. Ma farei volentieri cambio: meno burocrazia, più pazienti, stesso stipendio. Avremmo il tempo di visitare le persone come una volta». L’accordo collettivo nazionale ritiene necessario un medico di medicina generale ogni mille abitanti sopra i 14 anni (al di sotto è di competenza pediatrica). Dunque, un rapporto uno a mille. E Regione Lombardia, che nel 2007 aveva alterato il rapporto portandol
o a uno a 1.300, venne condannata in tribunale dopo un ricorso presentato dalla Cgil. Esiste però un rapporto, ovvero il numero massimo di pazienti che un medico può assistere fissato a 1.500, alzato nuovamente a 1.800 dall’ultima convenzione che, con le deroghe previste, lo porta a 2.000. Il rapporto è destinato ad alterarsi ulteriormente, in particolare in Lombardia dove ci sono circa 9 milioni di cittadini over 14 e solo 5.500 medici di base, quasi tutti convenzionati al vecchio massimale di 1.500 e tutti in crescita di assistiti per via dei pensionamenti in corso. Ne mancano quindi all’appello 3.500 e secondo le stime ne mancheranno sempre di più visto che nei prossimi cinque anni ne andranno in pensione 2.500, la metà di quelli in servizio. Nel frattempo le scuole di formazione sfornano sempre meno medici di base. «Quale neo laureato vorrebbe uscire dall’Università, fare un corso abilitante che dura tre anni a 700 euro al mese e in più fare guardie mediche e altri lavoretti per arrotondare? È impensabile. E anche le condizioni in cui siamo costretti a lavorare non invogliano certo i giovani a intraprendere la strada della medicina di base. Non parliamo poi dei fondi che ogni anno vengono destinati alla sanità: fatta eccezione per i due anni di pandemia, ogni anno i governi ci danno sempre meno». Risultato: l’Italia ha la classe di medici di base più anziana al mondo.
La giornata del dottor Pondini, comunque, non finisce con mail e scartoffie: restano le visite domiciliari. «Cerco sempre di garantirle ma se ne ho due al giorno, questo vuol dire quasi due ore della mia giornata lavorativa. E poi dicono che dovremmo dare la disponibilità per lavorare nelle case di comunità: quando, di notte?». Pure le ferie, tasto dolente: «Non siamo dipendenti del Servizio sanitario nazionale, quindi non abbiamo vacanze retribuite. Siamo liberi professionisti pagati dallo Stato. Per cui, quando vogliamo andare in ferie le opzioni sono due: o paghiamo un sostituto circa 130€ al giorno, oppure ci accordiamo con un collega che prenda temporaneamente i nostri pazienti». Ma con il carico di assistiti individuale, l’opzione due si scarta da sola.