Avvenire, 5 gennaio 2023
Un anno senza Sassoli
Non è facile dire se David Sassoli manchi più all’Italia o all’Europa, più al filone dei cattolici democratici, cui fieramente apparteneva, o alla politica in generale, a corto di figure in grado di offrire dedizione al bene comune più che alle ragioni di parte. Di certo, a un anno dalla sua scomparsa, manca. E in qualche modo ritorna. Arriva in libreria oggi La saggezza e l’audacia. Discorsi per l’Italia e l’Europa.
Ritorna, l’ex presidente del Parlamento europeo, perché questo – come ricorda Claudio Sardo, curatore del volume edito da Feltrinelli (pagine 336, euro 19,00) – non è un libro “su”, ma “di” David Sassoli: suoi sono infatti gli interventi messi in fila e sua, probabilmente, sarebbe stata l’idea di metterli insieme in un libro, a fine mandato, sebbene non si possa nemmeno escludere, vista la diffusa stima di cui godeva, l’ipotesi di una sua rielezione, inedita e non richiesta come accaduto a Mattarella per il Quirinale, a cui qualcuno già segretamente lavorava. Un politico «mite e coraggioso». Portatore di «ideali, radicati nella fede e maturati nelle esperienze della vita», «aperto all’ascolto». Così lo descrive proprio il presidente della Repubblica, che firma la prefazione. Del giornalista stimato che è stato vicedirettore del Tg1 – si è portato dietro il pregio della propensione comunicativa. «Il suo sorriso era un tratto di gentilezza, che esprimeva una spontanea empatia, espressione della sua cultura», sottolinea Mattarella. Non c’è traccia invece della verbosità polemica che caratterizza spesso suoi ex colleghi una volta transitati nei Palazzi del potere. Al contrario i suoi due anni e mezzi di presidenza, in una delle fasi più difficili della storia europea, sono stati caratterizzati da grande concretezza e operatività. E se la risposta alla pandemia «è risultata significativamente diversa da quella che l’Unione aveva dato ai terremoti finanziari dei primi anni duemila», Sassoli, rileva ancora Mattarella, «è stato uno dei protagonisti di questa svolta, che ha indirizzato l’Europa sulla strada della solidarietà interna e di politiche economiche espansive». A conferma delmento «convinzione di Robert Schuman e di Jean Monnet che l’Europa si costruisce attraverso le crisi».
E proprio nella sintonia politicoculturale con l’attuale inquilino del Quirinale si può rinvenire, probabilmente, una spiegazione plausibile al mezzo miracolo realizzatosi la scorsa legislatura, che ha visto un Parlamento italiano partito con una maggioranza euro-scettica andare a sostenere due governi (il Contedue e quello guidato da Mario Draghi) che, in piena sintonia con le istituzioni europee, sono stati in grado di ottenere per l’Italia, al momento del bisogno, l’accesso a risorse finanziarie mai viste prima.
Sassoli ha sempre collocato la pace fra le fondamenta dell’Unione, ele- qualificante della sua stessa identità. E, da strenuo difensore dei diritti umani, negli anni della sua presidenza Sassoli ha lanciato svariati allarmi per le pressioni esercitate dal governo russo sugli Stati ex satelliti, come per le interferenze crescenti nella vita dei Paesi europei, con particolare attenzione, anche per motivi professionali, al tema della libertà di informazione minacciata anche da condizionamenti via web. Era stato lui a consegnare alla figlia di Aleksej Naval’nyj, leader dell’opposizione russa, il Premio Sacharov, il più alto riconoscimento dell’Ue per l’impegno in favore dei diritti dell’uomo. Era intervenuto anche sulle violazioni dei diritti umani in Cina e sulla repressiola ne scatenata in Bielorussia dopo le elezioni inquinate che hanno portato alla conferma di Alexandr Lukašenko, come sul conflitto tra Armenia e Azerbaigian, e infine sulle tensioni nelle regioni sudorientali dell’Ucraina, preludio dell’invasione russa. Questo impegno politico è stato certamente alla base della decisione del ministero degli Esteri di Mosca che dal 30 aprile 2021 aveva disposto per lui e altri sette esponenti politici europei il divieto di ingresso in territorio russo in quanto “persone non gradite”.
Un nuovo capitolo si è poi aperto, sul piano interno e continentale, e non sappiamo se, a fronte di una Europa che non è riuscita ancora a rivestire un ruolo di mediatore di pace, che spazio si sarebbe ritagliato un presidente del Parlamento che, come ricorda Sardo, aveva «respirato da giovane l’aria del Concilio, il suo spirito di dialogo e apertura, e si è formato nella solidarietà, in quel desiderio di libertà e uguaglianza che è stato proprio della sua generazione».
Pace e diritti umani. A Straburgo Sassoli si è ritrovato come l’uomo giusto al posto giusto: «In Europa nessun governo può uccidere, che il valore della persona e la sua dignità sono il nostro modo per misurare le nostre politiche», disse nel suo bel discorso di insediamento, intriso di riferimenti autobiografici: «L’Unione europea non è un incidente della storia. Io sono figlio di un uomo che a vent’anni ha combattuto contro altri europei, e di una mamma che, anche lei ventenne, ha lasciato la propria casa e ha trovato rifugio presso altre famiglie». L’Europa deve riprendere «lo slancio pionieristico dei padri fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza».
Intervenendo al Meeting del 2019 Sassoli mise in fila il pantheon a cui si era formato: da Giuseppe Dossetti ad Aldo Moro, da Giuseppe Lazzati a Costantino Mortati. Ma più di tutti, forse, guardava a Giorgio La Pira. Il costituente e l’operatore di pace, che seppe trasformare l’utopia cristiana in concretezza. «L’Europa nasce da tre signori che parlano una lingua materna comune, il tedesco, e pensano con categorie materne comuni, in cattolico», disse riferito ai padri fondatori Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi. «Sono loro a capire che non ci sarà nessuna garanzia di una pace duratura senza un’Europa che sappia essere pacificata e pacificante: una grande potenza di pace, messa in mezzo fra l’Atlantico e gli Urali», disse Sassoli, richiamando in un colpo solo la visione di La Pira e quella di Wojtyła. Che tanto ha da dire oggi a un’Europa che non riesce a riannodare i fili della pace