La Stampa, 4 gennaio 2023
Su "Misurare il razzismo. Vincere le discriminazioni" di Thomas Piketty (La nave di Teseo)
Più che una lotta, quella contro le discriminazioni nelle società contemporanee è diventata una crociata. In palio c’è il sacro Graal dell’uguaglianza sociale, ad oggi ancora una chimera. Colpa delle politiche attuate dai governi, inadatte o spesso disinteressate al problema, tanto da lasciare campo libero ai populismi più beceri. Per questo, Thomas Piketty nel suo Misurare il razzismo. Vincere le discriminazioni propone un modello «transazionale e universalista», destinato a riconoscere e correggere il razzismo in tutte le sue declinazioni. Da quelle legate alle origini fino ad arrivare all’istruzione, passando per il mondo del lavoro o le disparità economiche: un ampio spettro di ingiustizie che intralciano la strada verso il benessere della collettività.
L’economista francese, tanto caro alla gauche d’oltralpe, nel suo breve, intenso pamphlet torna su un tema già affrontato in passato partendo da una constatazione innegabile: «Nessun Paese, nessuna società ha messo a punto un modello perfetto per contrastare il razzismo e le discriminazioni». E questo nella più totale ipocrisia di molti governi. L’esempio è quello della scuola: nella maggior parte dei Paesi dell’Ocse «gli studenti provenienti da ambienti agiati hanno più opportunità di avere dinnanzi a loro insegnanti titolari con esperienza rispetto a quelli che vengono da zone più difficili».
Il problema va quindi affrontato alla radice, dove nascono le «ineguaglianze tra classi sociali nella loro globalità». Proprio lì le idee più xenofobe si inseriscono facendo leva sulle disparità economiche per diffondere le loro teorie. Lo si vede ormai da anni nelle democrazie di tutto il mondo, soprattutto in Europa. L’estrema destra si è istituzionalizzata ergendosi al rango di valida alternativa per risolvere i problemi dell’elettorato. La Francia ne è un esempio: Marine Le Pen resta la principale sfidante del presidente Emmanuel Macron e l’ultraconservatore Eric Zemmour, pluricondannato per incitamento all’odio, ha fondato il suo partito. Si parte dall’equazione migrante uguale a pericolo, fino ad arrivare alle teorie complottiste come quella della “Grande sostituzione” elaborata dal filosofo Renaud Camus, idolo della destra più estrema, secondo il quale sarebbe in atto un piano creato a tavolino per rimpiazzare la popolazione europea con quella africana. Il risultato è una confusione generale, dove una serie di sovrastrutture ideologiche mettono in ombra il normale processo repubblicano impedendo l’assorbimento di tutte le componenti sociali. Così, la polemica sul velo o la minaccia jihadista nella comunità musulmana vengono sbandierate come spauracchio elettorale, alimentando «un violento desiderio di espulsione ed epurazione dal corpo sociale nei confronti dei gruppi giudicati indesiderabili».
La colpa, dice Piketty, è anche delle autorità. L’economista tira in ballo ancora una volta il suo Paese, puntando il dito contro l’atteggiamento del governo che ha contribuito a far sviluppare nel dibattito pubblico l’isteria e il cinismo portati dai partiti identitari. Dei «seminatori di odio» ai quali bisogna contrapporsi con un dibattito aperto e costruttivo. Senza quelle ipocrisie inutili e dannose mostrate fino ad oggi dai poteri pubblici, che in nome della «discriminazione positiva» hanno ottenuto l’effetto contrario a quello sperato.
Il primo passo è quello di riconoscerlo, il razzismo, vietandogli di trasformasi in un’opinione. Una volta individuato e posizionato nella sua dimensione sociale, è necessario passare all’azione. L’economista mette sul tavolo delle proposte concrete, prima fra tutte quella riguardante la creazione di un Osservatorio nazionale delle discriminazioni, utile a garantire un controllo sistematico dei casi in Francia. L’obiettivo è creare un sistema di testing con criteri omogenei in diversi settori dove sono già stati condotti degli studi indipendenti da associazioni e Ong, dai quali sono emersi forti atteggiamenti discriminatori su più livelli. Una sorta di termometro per misurare il fenomeno e in seguito agire di conseguenza. Quello del mondo del lavoro ne è un esempio: lo scorso anno Sos Razzismo ha effettuato uno studio tra le agenzie interinali, dal quale è emerso che il 45 per cento di loro è disposta ad applicare dei filtri alle candidature su richiesta delle aziende clienti nel settore dell’edilizia e dei lavori pubblici. In altri parole, basta chiamarsi Mohammed o Nadir per farsi cestinare il curriculum.
Piketty argomenta dati alla mano, sottolineando la mancanza di un approccio globale nell’effettuare questi studi, che potrebbe arrivare istituzionalizzando il problema. Lo stile è accademico, i toni a tratti polemici ma mai sopra le righe. Fondamentale, secondo il pensatore, è oggettivare le discriminazioni esaminandole in base a una serie di fattori come la localizzazione su scala territoriale o la tipologia (antisemitismo, islamofobia, sessismo). In quest’ottica, l’Osservatorio sarebbe uno strumento utile a raccogliere informazioni sulle quali basare un’efficace politica anti-discriminatoria. Una volta effettuati i test con una cadenza annua e una metodologia comune, sarebbe infatti più facile agire con misure mirate nei campi più critici, dove si analizzerebbero periodicamente i progressi fatti per apportare le migliorie necessarie. Il professore propone un metodo scientifico per mettere ordine in quel caos seminato dal baccano populista dell’estrema destra, tenendo sempre sullo sfondo la preservazione delle pluralità, considerate delle realtà in divenire.
Piketty, però, riconosce che la sua proposta non è la soluzione definitiva. L’economista concentra l’attenzione su un tema complesso e infinitamente vasto, lasciando aperta la porta al dibattito. La speranza è veder arrivare nuovi contributi, magari discordanti con le sue posizioni ma utili ad arricchire un dialogo al momento strumentalizzato da chi non ha interesse a farlo avanzare.