Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 05 Giovedì calendario

Dialogo tra Sandro Veronesi e Milo Manara

SANDRO VERONESI – Lei fa il liceo artistico a Verona, poi va a Venezia alla facoltà di Architettura. Anche io ho fatto Architettura, e mi ricordo che in quegli anni a Venezia c’erano dei professori pazzeschi. Comunque lei passa di lì, non ci sta tanto... e poi diciamo che cinquant’anni dopo è uno dei più grandi fumettisti del mondo. Queste origini, questo inizio... dove ha cominciato a imparare a fare quello che poi ha fatto così bene? E soprattutto: il fumetto è sempre stato il suo obiettivo oppure in quegli anni, in quelle esperienze di studente, aveva altre mire?
MILO MANARA – Avevo altre mire. Sono finito ad Architettura, dove c’erano grandi professori e dove ho avuto anche l’avventura di assistere a una lezione di Le Corbusier, che era venuto per disegnare l’ospedale di Venezia. Me lo ricorderò sempre: era vestito di blu con un gran papillon blu. Noi studenti lo inseguivamo da un ponte all’altro, perché lui col motoscafo stava partendo, per salutarlo: Corbù, Corbù! È stata una delle belle lezioni a cui ho assistito a Venezia. Per il resto poi ero abbastanza negato per l’architettura (...).
SANDRO VERONESI – Nel Ventesimo secolo lei ha frequentato dei giganti, ma erano tutti più grandi di lei. Quindi, almeno nella percezione che ne abbiamo noi, lei è rimasto il ragazzo. Quando mi hanno detto la sua età, io ho detto: ma come è potuto succedere? Come fa a invecchiare, Milo Manara? Perché Milo Manara è il ragazzo che incontra Hugo Pratt.
MILO MANARA – In realtà è vero, solo che sono imprigionato nel corpo di un vecchio. Comunque sì, io sono stato un testimone oculare di tutto un cambiamento cominciato con Barbarella, e poi con questi fumettini, Diabolik eccetera, che hanno traghettato i lettori da ragazzi ad adulti, perché una volta il fumetto veniva abbandonato dai ragazzi via via che diventavano adulti. Invece questi nuovi fumetti hanno dato la possibilità di continuare a leggere fumetti anche una volta diventati adulti. E parlo non solo di «adultità» a livello erotico ma anche a livello culturale. Per esempio La ballata del mare salato di Hugo Pratt non ha quasi nulla di erotico.
SANDRO VERONESI – Però è sensuale.
MILO MANARA – È molto sensuale. Secondo me, Pandora è uno dei personaggi più erotici.
SANDRO VERONESI – Ma com’è andata con Hugo Pratt? Lei è andato lì, si è fatto presentare, perché ho calcolato che avesse diciotto anni più di lei...
MILO MANARA – Sì, lui era del 1927. Ci tengo a dire, a proposito di contenuti adulti, che Umberto Eco ha detto – e forse l’ha anche scritta – la famosa frase: «Quando voglio distrarmi leggo Hegel e quando voglio impegnarmi leggo Corto Maltese». Hugo Pratt è stato quello che io ho sempre voluto non dico conoscere, perché non avrei osato immaginarlo, ma vedere, vedere fisicamente, perché per me era un’entità astratta come la Madonna Pellegrina. Ma in generale tutti gli autori di fumetti. Per me i fumetti si creavano da soli, per partenogenesi; io non pensavo che ci fosse qualcuno che li disegnasse veramente, i fumetti. C’erano già allora dei grandissimi disegnatori, Vittorio Caprioli, poi Dino Battaglia, Sergio Toppi. Grandissimi, dei veri giganti. Sono stato definito anch’io un gigante, ma io sono il classico nano sulle spalle dei giganti. Sono stato al festival di Lucca nel 1969. Avevo appena cominciato a disegnare i miei primi fumetti, di cui, ovviamente, mi vergognavo e di cui non ho parlato con Hugo Pratt. Perché io ero andato a Lucca proprio per conoscere Pratt. Era un festival abbastanza contenuto, che non aveva niente a che vedere con quello che è diventato oggi. C’era una tensostruttura, un pallone, di quelli che servivano per coprire i campi da tennis durante l’inverno. Era stato gonfiato nella Piazza del Giglio a Lucca, e dentro si svolgeva il festival. Era tutto lì. Questa cosa mi ha incoraggiato ad approcciare fisicamente Pratt. Io mi sono genuflesso davanti a lui (...).
SANDRO VERONESI – A me interessa sapere quando Hugo Pratt ha visto per la prima volta un suo disegno. Lei era presente o no?
MILO MANARA – No, e non so neanche se l’ha visto veramente. Ero presente quando ha visto i primi disegni che io ho fatto sulla sua storia, sui suoi testi, cioè L’estate indiana. Le prime otto pagine di questa meravigliosa storia sono mute, non viene proferita parola. Non ci sono didascalie, non c’è niente. Io, colto da entusiasmo, mi sono fatto prendere la mano e le ho portate a dodici, queste pagine mute. Però ero titubante sul farle vedere a Pratt, perché magari lui le voleva accorciare. Le ho portate allora a Venezia; ogni tanto veniva lui da me e ogni tanto andavo io a Venezia. Casualmente, non so per quale motivo, mi ha detto: «Ciò, andemo a fare un giro in gondola». I veneziani non andavano mai in gondola, la si prendeva solo per farsi traghettare da una sponda all’altra del canale. Invece lui, chissà perché, voleva prendere la gondola. Io avevo questo plico incartato di dodici pagine e gliele ho fatte vedere in gondola. Lui, in quanto Hugo Pratt e poi anche in quanto veneziano, era molto parco di complimenti. I veneziani non sono molto espansivi. Era seduto con il gondoliere alle spalle e gliele faceva vedere: «Ciò, ti g’ha visto?». Da lì ho capito che gli piacevano, e anche molto. Be’, questo è stato un momento indimenticabile (...).
SANDRO VERONESI – La promessa, l’utopia che sta nel suo tratto io non l’ho trovata in nessun altro. Un’utopia di bellezza, non solo delle donne. E qui le volevo fare una domanda specifica: Senta Berger, Mao Zedong, Nancy Brilli, Molly Malone, Valentino Rossi sono tutte persone che o hanno ispirato dei personaggi o che lei ha disegnato. Brigitte Bardot, addirittura, una statua. Come li sceglie i modelli per le sue storie? Come sceglie quella fisionomia invece dell’altra? Come sceglie Molly Malone, che è un personaggio della tradizione gaelica, noto in Irlanda? Brigitte Bardot era più facile. Come li ha scelti questi personaggi?
MILO MANARA – Ognuno ha una storia diversa. Nel caso di Molly Malone, che è un personaggio di cui mi sono veramente innamorato, era la protagonista di una storia scritta da Hugo Pratt che si chiama El gaucho, che parlava di una spedizione della marina inglese in Argentina. E al seguito della Marina c’era una nave bordello, con queste ragazze. Molly Malone è un personaggio realmente esistito. Di lei c’è una statua a Dublino, col suo carrettino del pesce, che intenerisce molto. Hugo Pratt ha inventato per Molly Malone questo segmento di vita, e purtroppo finisce anche male. Io ho dovuto disegnarla...
SANDRO VERONESI – Quindi quello è stato Hugo Pratt.
MILO MANARA – Quando si disegna un fumetto si fa una specie di casting, magari mentale, ma per ogni personaggio si cerca di individuare la faccia più giusta. Per aiutarmi un po’ io magari visualizzo anche degli attori. Per Il nome della rosa, essendo stato interpretato da Sean Connery, cioè un attore di grande carisma, di grande presenza e di grande bellezza, io ho dovuto cercare nel pantheon hollywoodiano un attore che avesse altrettanto carisma, e non ho trovato niente di meglio di Marlon Brando.
SANDRO VERONESI – Che forse di carisma ne aveva anche di più.
MILO MANARA – Mi sembrava anche più aderente alla descrizione che ne fa Umberto Eco. Naturalmente è ispirato a Marlon Brando, non è che sia proprio una copia. Umberto Eco parla di naso aquilino, cosa che Sean Connery non ha. Guglielmo di Baskerville è scozzese, e in questo Sean Connery era aderente, quindi non potevo cercare un carattere italiano, ma anglosassone. Mi è parso che Marlon Brando potesse già di suo, visivamente, sostituire il ricordo indelebile di Sean Connery nel film di Annaud. Non so se ci riuscirò o no.
SANDRO VERONESI – Marlon Brando è stato «La Faccia» di Hollywood.
MILO MANARA – Non solo di Hollywood perché c’è Ultimo tango a Parigi. C’è stato anche Queimada, di Pontecorvo.
SANDRO VERONESI – Pontecorvo mi ha detto una cosa di Marlon Brando: che lui gli dava azione e doveva dire una battuta, e non la diceva. «Stop», diceva Pontecorvo. Marlon, dovresti dire... «Non ce n’è bisogno», rispondeva Marlon Brando. «Io butto l’occhio su, ed è fatta». Alla fine aveva talmente ragione che Pontecorvo diceva: «vabbe, butta ’sto occhio su», e quest’occhio di Marlon Brando buttato su in Queimada è diventato una specie di icona. Però scegliere Berger, Nancy Brilli...
MILO MANARA – Per Molly Malone mi serviva una faccina spiritosa, molto bella ma che avesse anche una personalità forte, che avesse proprio dello spirito in faccia. Che si facesse voler bene immediatamente, ecco.
SANDRO VERONESI – Funziona, è vero.
MILO MANARA – Mi era parso che Nancy Brilli fosse la faccia giusta, ma anche in questo caso sempre ispirandomi, non facendone dei ritratti. Lei è stata contenta, fra l’altro.
SANDRO VERONESI – E ci credo!
MILO MANARA – Mica tutti sono contenti. Magari qualcuno avrebbe detto: come ti permetti?, per esempio Marlon Brando.
SANDRO VERONESI – Marlon Brando avrebbe detto così, però non può. E Brigitte Bardot? Per una statua, stavolta.
MILO MANARA – Brigitte Bardot è stata lei a chiedermi di contribuire alla sua organizzazione in favore degli animali, che ha veterinari in giro in tutto il mondo. È una cosa che costa, quindi mi ha chiesto: perché non facciamo delle stampe da vendere con la mia faccia? Mi ha chiesto di disegnarla. Sono venticinque acquerelli grandi che sono stati venduti sempre in favore della sua organizzazione, poi sono state fatte molte stampe. Il marito, Bernard d’Ormale, poi mi ha detto: allora tu devi essere quello che fa il monumento a Brigitte! Io ho fatto due o tre proposte e lei ha scelto quella che è stata realizzata...
SANDRO VERONESI – E si può smontare e rimontare?
MILO MANARA – No, è fissa, fatta di bronzo dorato. Siccome Saint-Tropez è in riva al mare, il bronzo cominciava a ossidarsi a causa della salsedine, così hanno deciso di dorarla (...).
SANDRO VERONESI – Io non posso non chiederle di Fellini. Avete litigato, a un certo punto...
MILO MANARA – No, mai nella vita (...). Con Fellini l’unico momento in cui c’è stato un barlume di discussione è stato quando io volevo disegnarlo nella storia che lui ha scritto e io ho disegnato, Viaggio a Tulum. Il protagonista doveva essere Fellini, perché la storia di Viaggio a Tulum lui l’ha vissuta veramente. Ha fatto dei sopralluoghi in Messico...
SANDRO VERONESI – Questo ce l’ha raccontato anche Andrea De Carlo.
MILO MANARA – Esattamente. Andrea De Carlo era l’aiutoregista di Fellini, che ha fatto questo viaggio in Messico perché voleva fare un film sull’universo di Carlos Castaneda. Andrea De Carlo a sua volta scriverà il libro Yucatan. Tutta roba vera. Fellini aveva un trattamento per fare il film, ma poi, in seguito a degli episodi molto sgradevoli che avevano già cominciato ad accadere durante il viaggio, strani biglietti trovati nel tergicristallo della macchina, strane telefonate che sembravano venire da distanze siderali... soprattutto il fatto che Castaneda – che era partito insieme a loro, con la troupe, da Los Angeles, diretti con la macchina a Tulum – a un certo punto fosse sparito. Dopo la prima o la seconda tappa lo aspettavano tutti a fare colazione in albergo, e lui non si è presentato. È scomparso completamente, e da allora in poi Fellini non l’ha più né visto né sentito (...).
SANDRO VERONESI – Con Umberto Eco, un altro più grande di lei – è nato nel 1932 —, com’è andata?
MILO MANARA – Io Umberto Eco l’ho conosciuto solo molto, molto superficialmente. Quando lavoravo con Linus e Alter Linus, la figlia di Umberto Eco, Carlotta, mi ha fatto sapere attraverso Fulvia Serra che avrebbe gradito una mia striscia. Perché io disegno a strisce, non a pagine, come mi ha obbligato a fare Hugo Pratt, e gliene sono ancora grato. Normalmente sono tre strisce per pagina e io solitamente disegno sulla striscia, non sulla pagina, perché sono un po’ grandi, quindi per disegnare sulla striscia in alto dovrei alzarmi in piedi e sdraiarmi sul tavolo. Invece disegnando sulle strisce, tagliate a striscia, mi viene molto più agevole. Una di queste strisce l’ho regalata a Carlotta Eco, che all’epoca aveva, credo, quindici, sedici anni. Io, maledettamente per me, gli ho dato una striscia un po’ erotica. Un pochino erotica, non troppo... Era di Giuseppe Bergman. Tempo dopo sono stato presentato in un’occasione, perché lui e Hugo Pratt erano amici: «Ah, Manara, lei è quello che ha dato quella striscia a mia figlia!». Avrei voluto seppellirmi, perché era evidente il disappunto nella voce di Eco. Quantunque fosse molto aperto, lui era affezionato alla Misteriosa fiamma della regina Loana; era quello il suo erotismo in ambito fumettistico. Io invece andavo giù, diciamo, abbastanza piatto...
SANDRO VERONESI – Ama il suo lavoro, il disegnare?
MILO MANARA – Io non ho mai insegnato né fatto altro nella vita se non questo mestiere, questo benedetto mestiere che tanto mi ha dato.