Corriere della Sera, 5 gennaio 2023
I super-nazionalisti e la tigre «ruhua»
C’è un mondo, in Cina, di super-patrioti che influenza la conversazione politica, le scelte commerciali e rischia di mettere il Paese su una traiettoria sempre più minacciosa. In un’analisi approfondita, il giapponese Nikkei Asia (il maggiore quotidiano finanziario al mondo per diffusione) ha studiato l’attività online di persone e gruppi nazionalisti tra il 2012 e il 2022. Alcuni sono organi del Partito Comunista e dello Stato, altri sono a essi legati, altri ancora sono individui senza affiliazioni ufficiali (ma che spesso ricevono favori per la loro attività). L’analisi è stata condotta su Weibo, l’equivalente cinese di Twitter, e ha riguardato la ricerca della parola ruhua, usata per accusare chi osa «insultare la Cina». Dal 2012 al 2018, l’attività dei netizen (coloro molto attivi su internet) centrata sull’accusa di ruhua è stata limitata: per ogni anno, non più di tre picchi, intendendo per picco l’uso della parola in post originali per oltre mille volte in un giorno. Nel 2018, poi, ci fu il primo caso rilevante, quello di Dolce&Gabbana, attaccata per una pubblicità in cui una cinese faticava a mangiare pasta italiana con i chopstick: il post di un sito statale fu rilanciato 33 mila volte con più di 150 mila like. Dal 2019, i picchi riferiti a ruhua sono saliti ad almeno 15 ogni anno. Nel 2020, famoso fu il caso del quotidiano danese Jyllands-Postens finito sotto attacco per avere pubblicato l’immagine della bandiera rossa cinese con i simboli del Covid al posto delle stelle. Nel 2021, i nazionalisti lanciarono il boicottaggio di Nike, Adidas e H&M che si rifiutavano di usare cotone dello Xinjiang a causa del lavoro forzato nella regione. L’obiettivo dei super-patrioti, spesso raggiunto, è la distruzione della reputazione di chi è accusato di ruhua. Negli anni più recenti, è aumentata l’attività di netizen singoli, indipendenti in seguito all’ondata di nazionalismo voluta da Xi Jinping. Il guaio, per i vertici di Pechino, è che il fenomeno è rischioso, spesso fuori controllo: quando, ad agosto, la leader politica americana Nancy Pelosi visitò Taiwan, alcuni netizen influenti chiesero di abbatterne l’aereo. Cosa succederebbe se, domani, l’onda dell’uber-nazionalismo online chiedesse di invadere Taiwan, anche andando al di là della volontà di Xi e del Partito? Nikkei Asia ricorda un detto cinese: quando si cavalca una tigre, è difficile scendere.