La Lettura, 29 agosto 2021
Su "Tre minuti" di Bianca Stigter
La piazza di una piccola città polacca. L’interno di un ristorante. La strada con i ragazzini che si avvicinano, sorridono, salutano. Con loro gli adulti, tutti in posa. La presenza di una macchina da presa è un grande evento. L’inquadratura si concentra sull’ingresso dalla sinagoga. E ancora, sorrisi e saluti. Tre minuti di vita filmati e strappati al flusso del tempo da David Kurtz nel 1938.
La città è Nasielsk, poco a nord di Varsavia, dove Kurtz era nato nel 1888. A 4 anni, era emigrato negli Stati Uniti e nel 1938 era tornato in Europa per un viaggio con la moglie e tre amici. Con una macchina da presa casalinga 16 mm, su pellicola in bianco e nero e Kodakchrome a colori aveva ripreso Parigi, Londra, Amsterdam... e la sua città natale. Il filmato di tre minuti girato nella città polacca a prevalenza ebraica è stato trovato nel 2009 in un armadio a Palm Beach Gardens, Florida, dal nipote di David, Glenn Kurtz. Un documento unico: le sole immagini video di Nasielsk prima della Seconda guerra mondiale. Era l’agosto 1938: la città aveva 7 mila abitanti, di cui 3 mila ebrei. Nel dicembre 1939 sarebbero stati chiusi nei ghetti e poi nei campi di sterminio. Meno di un centinaio è sopravvissuto alla Shoah.
Attorno ai tre minuti di quel found footage, Bianca Stigter (Amsterdam, 1964), storica e critica, ha costruito un film: Three Minutes. A Lengthening. Non un documentario tradizionale, ma un film-saggio che prova ad analizzare le immagini ed estenderle per i 69 minuti della sua durata: un «allungamento», un’estensione (come recita il sottotitolo). Il film sarà presentato il 4 settembre nell’ambito della 78ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, come evento speciale delle Giornate degli Autori.
La voce narrante è di Helena Bonham Carter. Tra i produttori, il marito di Bianca Stigter, Steve McQueen, regista di Hunger, Shame e 12 anni schiavo — insieme stanno lavorando al nuovo film del premio Oscar, Occupied City, documentario su Amsterdam sotto l’occupazione nazista, da un libro di Stigter. «Three Minutes. A Lengthening — dice McQueen a “la Lettura” — è una esplorazione nel profondo della natura del tempo e del potere del cinema, di cosa è perduto e di cosa può essere ritrovato».
Raggiunta al telefono, Bianca Stigter racconta di come ha scoperto il video: «Su Facebook mi sono imbattuta in un post su un libro di Glenn Kurtz: Three Minutes in Poland. Un titolo molto intrigante: tre minuti in un Paese, di che cosa poteva parlare? L’ho subito recuperato e ho scoperto che parlava di un filmato girato nel 1938 dal nonno dell’autore… Si poteva guardare sul sito dell’United States Holocaust Memorial Museum di Washington, che lo conserva. Un video molto potente, girato per la maggior parte a colori, cosa rara per l’epoca, con tutti quei ragazzini che rincorrono la macchina da presa e vogliono veramente essere visti. Ma dopo tre minuti era tutto finito. Ho desiderato che potesse durare di più, in modo che quelle persone rimanessero presenti sullo schermo un po’ più a lungo».
Il lavoro è iniziato molti anni fa: «Su invito del Film Festival di Rotterdam, nel 2014 ho realizzato un corto di 22 minuti, ma una volta concluso avevo ancora la sensazione di poter fare di più». Contattato Glenn Kurtz, Stigter si è recata a Nasielsk «per vedere se fossero rimaste tracce del passato», e a Detroit ha rintracciato Maurice Chandler (Moszek Tuchendler era il suo nome polacco), che appare a 13 anni tra i ragazzi che sorridono alla 16 mm. Ed è tornata sulle immagini: «Volevo provare a vedere che tipo di informazioni si possano ottenere a partire dal materiale filmico. L’ho affrontato come se si trattasse di uno scavo archeologico». Quelle di Kurtz sono le sole immagini che Stigter mostra sullo schermo.
«La natura precaria di quel footage — sottolinea McQueen — è il punto di partenza. Se non fosse stato restaurato nel giro di un mese dalla sua scoperta, sarebbe andato perduto per sempre. Ora è una testimonianza per gli abitanti di Nasielsk». «Un frammento prezioso del passato. Spero che il mio film possa averlo reso ancora un po’ più vivo», continua Stigter. I tre minuti scorrono per intero. Poi ritornano, analizzati in ogni singolo dettaglio. Glenn Kurtz e gli studiosi che lo hanno sostenuto nella lunga ricerca, avevano a disposizione solo quelli per capire in che città fossero stati girati, chi fossero le persone ritratte. Solo undici sono state riconosciute. I nomi sono accostati ai volti: oltre a Maurice Chandler, Faiga Milchberg Tick e il futuro marito Shmuel Tick, Avrum Kubel, Simcha Rotstein, Chaim Talmud, Boortz, Chaim Nusen Cwajghaft, Chezkiah, Czarna Myrla, Miriam Myrla.
«Noi vediamo soltanto ciò che entra nell’inquadratura, ma lo sguardo di Maurice Chandler va oltre». Certo i suoi sono ricordi lontani. «Un cartello riporta il nome, non visibile, di un negozio di alimentari. Chandler non lo ricordava, ma quando una studiosa è riuscita a ricostruirlo, tutto gli è tornato alla mente: la memoria funziona in modo meraviglioso».
Nessuno degli intervistati appare sullo schermo, sulle immagini del video si sentono solo le loro voci insieme a quelle di Glenn Kurtz e di Helena Bonham Carter: «Un’ottima attrice che con la sua grande voce si fa portatrice del messaggio del film». Dopo l’intensa ricerca, è iniziato il montaggio: «Viviamo circondati da un’abbondanza di immagini che non guardiamo mai due volte. Ho voluto fare l’opposto... Per me era importante mostrare il filmato pezzo per pezzo, far vedere di che cosa fosse composto quel materiale, che cosa accade quando vuoi veramente scoprire qualcosa e usi lo zoom fino a che non ti ritrovi in un pattern di grigi e neri e non vedi più nulla. Ho montato il filmato in diversi modi per ridare vita a tutte le possibili storie di Nasielsk».
Emergono dettagli, alcuni sbiaditi, altri ancora vividi sulla pellicola, come il colore rosso. «Sulle immagini di allora si sentono i suoni della città di oggi. Abbiamo individuato e ingrandito tutti i volti che si vedono nel footage per rendere omaggio agli abitanti di Nasielsk. Il film è un memoriale e chi lo guarda partecipa alla sua creazione. Come chi porta dei fiori, durante l’ora del film lo spettatore entra in contatto con il footage e le persone che vi appaiono».
Three Minutes. A Lengthening è anche una riflessione sulla percezione del tempo, sul potere della macchina da presa, del cinema: «Ha la forza di portare il passato nel presente. Il film ti dice che queste persone sono veramente state lì, hanno vissuto. Ottant’anni dopo sembrano ancora vicine, possiamo guardarle negli occhi. È un po’ come le impronte di mani lasciate nelle grotte preistoriche, ma qui l’impronta è naturalmente più vivida. Normalmente le cose cambiano gradualmente nel tempo, ma in questo caso sappiamo quello che di terribile è avvenuto solo pochi anni dopo. Questo rende le immagini difficili da guardare. È come se volessimo urlare a queste persone sorridenti di stare attente, scappare... ma non possiamo farlo. È la magia del film che permette di portare le cose così vicine, anche se non puoi totalmente raggiungerle».