Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 04 Mercoledì calendario

Biografia di Tristan Corbière, il primo poeta maledetto

Quest’anno ricorre l’anniversario di un libro di poesie leggendario: Gli amori gialli di Tristan Corbière (1845-1875), il primo dei poeti nella famosa antologia di Paul Verlaine: I poeti maledetti del 1884. Edouard-Joachim Corbière nacque in una villa nelle vicinanze di Morlaix, in Bretagna. Sua madre aveva diciannove anni e suo padre cinquantadue, direttore di una avviata società di navigazione nonché giornalista e romanziere di successo. «Bastardo di Creola e di Bretone», dopo aver trascorso un’infanzia felice, immerso nella natura, fu mandato nel liceo imperiale di Saint-Brieuc, dove studiò dal 1858 al 1860. Si immalinconì e scrisse i suoi primi versi contro i professori. Per il gelo di quelle stanze, accusò terribili reumatismi articolari.
Nelle sue lettere ai genitori, ancora inedite da noi, si lagnava di tutto. Proprio tra le mura di quel collegio nacque il personaggio di Tristan, lo pseudonimo che scelse per firmare i suoi versi, il sarcastico, il disubbidiente, l’anarchico. Per evitare di ascoltare le noiose lezioni faceva uso di droghe, non sopportando di essere appellato dai collegiali “loustic” (buffoncello).
Nacque così il pungente caricaturista, il ritrattista alla Caillot. Tra le lunghe lettere che inviava a sua madre, commovente è quella dei dolori che gli procuravano i geloni. Erano missive di un condannato a morte. I suoi reumatismi gli proibirono di finire il liceo. Visse la sua piena giovinezza a Roscoff, una cittadina bretone affacciata sull’oceano, che non era più «una tana di filibustieri», di marinai duri e puri, ma piena di turisti parigini, soprattutto pittori, con cui fraternizzò.
Vedendolo comparire sul lungomare con il suo cappellaccio, i suoi stivali alti e quell’aria da homeless magro come un chiodo, i roscoviti lo appellarono: “An ankou” (lo spettro della morte). Amava travestirsi da cardinale, da prostituta, da avanzo di galera con la catena alle caviglie. Erano stravaganze di un dandy plebeo. In una rara foto compare un ragazzo alto e magro con in testa un cappellone da giullare sotto il quale spiccano un paio di baffoni, indicati da un naso aquilino davvero spropositato. Veste un camicione largo e svasato, la sua “vareuse” bretone di colore scuro, che arriva a coprire parte dei pantaloni a tubo, sprofondati dentro stivali da moschettiere.
All’hotel Pagano di Capri, dove soggiornò per via dei suoi reumatismi che non gli davano tregua assieme ai suoi amici pittori, ci sono ancora conservati i suoi schizzi e la sua firma. «Professione: far niente». Venne in Italia una seconda volta, accompagnato dal conte Rodolphe de Battine e dalla sua amante Armida Josephine Cucchiani, con i quali andò ad abitare a Parigi, formando un trio scandaloso, che arrivò alle orecchie di un editore chiacchierato. Due anni prima di morire, nel 1873, pubblicò da Glady frères, una casa editrice “pornografica” il suo Les Amours jaunes (il giallo è legato al tradimento) dove sono inserite sia le sue poesie sull’oceano di Roscoff che quelle sugli impotenti amori parigini. Così Armida diventa Marcella, l’ispiratrice. Nel libro ritroviamo la sua vita, scritta in uno stile che mescola la musica classica al rap. «Lei era ricca di vent’anni / Io ero giovane di venti franchi». Monologante, sarcastico, con una punteggiatura anarchica (recuperata nella mia edizione degli Amori uscita per gli oscar Mondadori nel 2004) che sottolinea soprattutto l’oralità.
A Paul Verlaine, che recuperò il libro fortuitamente, piacque il Corbière marino, quello bretone, dove lo si vede seguire le processioni primitive della sua regione o parlare dei suoi leggendari marinai duri e puri. Ci vollero Ezra Pound ed Eliot per tentare una prima riunificazione. Joyce, ad esempio, per il capitolo sul bordello del suo Ulisse si ispirò al poemetto Il gobbo Bitor, il suo capolavoro. E Breton lo inserì nella sua antologia sull’umor nero. Fu la sua lingua orale e alta, quel “miscuglio adultero di tutto” che riunì le sue divise membra.