il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2023
Le 22 guerre dimenticate
Negli ultimi dieci mesi, dall’invasione russa del 24 febbraio, la guerra in Ucraina ha monopolizzato risorse militari, attenzione mediatica e geopolitica e supporto economico dei principali paesi occidentali. Ma non è l’unico drammatico scontro in corso. Ecco una breve rassegna dei cinque conflitti dimenticati, a cui si aggiungono, secondo il Global Conflict Tracker del think tank statunitense Council on Foreign Relations, altri 22 aree di crisi, ad alta o bassa intensità, che potranno mettere in crisi il 2023.
Yemen senza pace dal 2014
Quella nella repubblica alla propaggine sud-est della penisola arabica è la ‘guerra dimenticata’ per definizione, benché stia provocando forse la peggiore crisi umanitaria contemporanea. Tecnicamente è una guerra civile, scoppiata nel 2014 quando gli Houthi, una compagine di combattenti sciiti vicini all’Iran, hanno preso il controllo della capitale Sana’s sottraendola al governo sunnita. Ma è diventata presto una ‘guerra per procura’ fra potenze regionali, ovvero fra i sauditi sunniti e gli iraniani sciiti: nel marzo 2015 i paesi del Golfo, guidati dall’Arabia Saudita, sono entrati nel conflitto a fianco del governo, con il supporto logistico, militare e di intelligence degli Stati Uniti e del Regno Unito. Sette anni di ostilità, interrotti solo da una tregua di sei mesi mediata dalle Nazioni unite da aprile a ottobre scorso, hanno distrutto le infrastrutture e l’economia del paese: secondo la Croce Rossa internazionale, una delle poche organizzazioni di supporto ancora attive nel paese, sarebbero almeno 4.3 milioni le persone costrette a lasciare le loro case dal 2014, mentre migliaia sono prigionieri di una o dell’altra parte e altri sono ufficialmente dispersi. Il conflitto fra Kiev e Mosca ha un impatto diretto sulla crisi economica yemenita perché la repubblica importa grano da Ucraina e Russia: già ora il 60% della popolazione, circa 16 milioni di persone, ha scarso accesso al cibo, con più di 4.7 milioni di donne e bambini in condizioni di grave malnutrizione. Secondo Unicef, quasi 21 milioni di yemeniti, fra cui oltre 11 milioni di bambini, hanno urgente bisogno di assistenza e protezione umanitaria. Solo la metà dei servizi medici sono ancora funzionanti, ma la maggior parte della popolazione non può permettersi le cure.
L’Etiopia e la faida tra milizie e governo
Dal novembre 2020 la regione Tigray, al nord del paese, è al centro di un conflitto regionale fra milizie etniche, il governo federale e l’esercito della confinante Eritrea. L’impatto sulla popolazione è devastante: secondo le Nazioni Unite, sono state costrette all’evacuazione almeno 2.6 milioni, soprattutto donne e bambini, e 9.4 milioni hanno immediato bisogno di soccorso umanitario. I rifugiati sono ammassati in quattro campi principali: alle atrocità del conflitto, da entrambe le parti, si somma il rischio della carestia: secondo il World Food Program le vittime della fame sarebbero fra le 425 e le 1201 al giorno. Il conflitto ha pesanti implicazioni per la sicurezza dell’intero Corno d’Africa in un’area a rischio costante di violenza ed estremismo etnico e religioso.
Nel Sudan del Sud si muore anche di fame
Ennesimo conflitto civile su base etnica, divampato originariamente nel 2013 fra forze del governo e dell’opposizione, che continua da allora malgrado alcuni brevi periodi tregua. è caratterizzato da incessanti violenze contro i civili e episodi di pulizia etnica: un recente rapporto di Global Rights Compliance ha rivelato come fra le strategie utilizzate da entrambe le parti del conflitto ci sia il deliberato ricorso alla denutrizione della popolazione. Dal 2013 sarebbe almeno 17mila i bambini costretti a combattere. Secondo le Nazioni Unite, quasi 8 milioni non hanno accesso a cibo sufficiente. Nel paese c’è un contingente militare delle Nazioni Unite il cui mandato è stato rinnovato fino al 15 marzo 2023.
In Siria la pace è per finta
Guerra civile ormai uscita dalle pagine dei quotidiani ma in corso dal 2011, la stagione della cosiddetta “primavera araba” repressa nel sangue dal regime di Bashar Assad che ha commosso l’Occidente per qualche anno prima di venire dimenticata. Ha coinvolto una serie di potenze esterne: Iran, Israele, Qatar, Russia, Arabia Saudita, Turchia e una coalizione occidentale guidata dagli Usa, ma ogni negoziato è finito nel nulla. Secondo stime delle Nazioni Unite, le vittime sono più di 400mila dall’inizio delle ostilità: almeno 5.6 hanno lasciato il paese, e 6 milioni hanno dovuto lasciare le loro case, alcuni finendo in campi profughi in Giordania e Libano o, circa 3.4 milioni, in Turchia, dopo che l’UE ha chiuso loro le porte.
Il piano turco per eliminare i curdi
È lo scontro che contrappone da decenni il governo turco e una serie di milizie curde che combattono per la creazione di uno stato sovrano per i trenta milioni di curdi dislocati fra Iran, Iraq, Siria e Turchia – qui sono un quinto della popolazione locale e hanno la più radicata rappresentanza politica, ma le loro istanze, la loro lingua e la loro cultura sono duramente represse dal leader turco Erdogan che ne arresta i leader e ne bombarda le basi in Siria ed Iraq. Indebolito dalla crisi economica e in cerca di consenso prima delle elezioni di giugno, il leader turco ha annunciato l’invio di truppe contro le milizie curde che in Siria contengono i combattenti dello Stato islamico, ma che Erdogan assimila ai guerriglieri del PKK, il partito dei lavoratori turco a cui ha attribuito il sanguinoso e mai rivendicato attentato del 13 novembre scorso nel centro di Istanbul.
Nigeria, Libia, Somalia Nagorno e Kashmir
Fra gli altri conflitti in corso, non meno drammatici di quelli già citati, vale la pena ricordare lo scontro etnico e religioso fra il governo nigeriano e le milizie islamiche di Boko Haram, l’instabilità politica eredità della fine del regime di Gheddafi in Libia, la guerra fra armeni e azeri in Nagorno-Karabakh, lo scontro fra il governo somalo e le milizie islamiche di Al-Shabab e il pluridecennale confronto fra India e Pakistan per il controllo del Kashmir.