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 2023  gennaio 04 Mercoledì calendario

Imbrattamenti, la lezione di Primo Levi

Primo Levi, chimico delle vernici, ne disapprovava l’uso per imbrattare i muri. E si può essere d’accordo con tanta autorevolezza, perché scritte e murales non richiesti rendono sciatte e trascurate le nostre città. Ma il grande chimico tollerava l’uso della vernice per un grido d’aiuto: scrive in Lilit e altri racconti: «Si possono immaginare, anzi, esistono senza dubbio, stati d’animo individuali o collettivi davanti a cui ogni giudizio sul lecito e l’illecito deve restare sospeso, ma questo vale appunto, per condizioni estreme, tempestose, extraordinarie: allora tutte le regole vengono travolte, e non solo si scrive sui muri, ma si fanno le barricate». E quello dei giovani che protestano contro la mancanza di una convincente azione contro la crisi climatica è un urlo di dolore, non una sterile esibizione come i graffiti che lordano le carrozze dei nostri treni procurando un serio deterioramento di beni pubblici e un costo sociale. Personalmente non condivido il metodo imbratta tele o imbratta muri: azioni internazionali ideate per attirare l’attenzione sul rischio climatico non hanno sortito i risultati sperati. La società non ha preso con empatia questi gesti contro l’arte – sia pur effettuati con materiali lavabili e con vetri di protezione – e li ha condannati. Invece che far emergere il tema dell’urgenza della transizione ecologica questi atti hanno generato avversione e antipatia, nonché l’attribuzione ai responsabili della qualifica di ecoterroristi, francamente esagerata. Quando una strategia non genera gli effetti sperati ma risulta addirittura controproducente, conviene cambiarla. Trovare altri metodi, altri obiettivi, con ironia e creatività, non è difficile. Dunque basta vernice, quantomeno su beni artistici e architettonici. Al netto del metodo poco efficace e poco condivisibile resta però l’i mportanza del messaggio sotteso: la crisi climatica è drammaticamente grave e reale, incalza ogni giorno di più tra l’indifferenza generale. Non è catastrofismo ma avvertimento scientificamente robusto, avvalorato dai rapporti dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale e dagli allarmi accorati dell’ingegner Antonio Guterres, segretario Generale delle Nazioni Unite che ha bollato più volte di lentezza e inefficacia le politiche dei vari governi mondiali e ha usato parole molto dure sul futuro che ci attende, come “O azione collettiva o suicidio collettivo”. La preoccupazione e la protesta dei giovani per il clima è dunque più che giustificata, perché ne va della loro sopravvivenza. Ma se il problema non è più il clima bensì la vernice, allora questa non è la giusta strada.