la Repubblica, 4 gennaio 2023
Falcao ricorda Pelé
Un filo invisibile sembra legarli. Il re e “il divino”. Paulo Roberto Falcao fu l’ultimo allenatore di Pelé nel 1990, per un’amichevole. Ora, poche settimane prima della morte di O Rei, è diventato il direttore dell’area sportiva del Santos. «E poi sono stato l’unico a portarlo in Italia». Sorride, quando lo racconta, Falcao. Ha appena lasciato ilvelorioallo stadio di Vila Belmiro.
In che senso portò Pelé in Italia?
«Lavoravo aDomenica Inalla fine degli anni 80: conducevano Lino Banfi e Toto Cotugno, io facevo una pagina sportiva. Una volta dissi: “Faccio un’intervista con Pelé”. Lino era incredulo, pensava scherzassi: “Pelé? Ma davvero?”. E invece lui fu felicissimo di fare questa intervista con me, fu una cosa molto bella».
Come era nato il vostro rapporto?
«Abbiamo giocato contro nel 1974.
Prima che andasse in America, io ero nell’Internacional. Poi negli anni ci siamo incontrati varie volte e c’è sempre stato, spontaneamente, un rapporto molto bello. L’ho anche allenato per la sua ultima partita».
Era un’amichevole, giusto?
«Nel 1990, sì: lui festeggiò i suoi 50anni a San Siro: Brasile contro Resto del mondo. Io allenavo il Brasile. Ero certo si sarebbe presentato solo il giorno della partita, lui era Pelé, non doveva dimostrare nulla. Invece è venuto ad allenarsi il giorno prima. E ha corso, ha urlato ai compagni, ha faticato: come se giocasse ancora».
Ci racconta Pelé in una frase?
«La sua vanità non è mai stata più grande della sua intelligenza».
Splendida. Ma la spieghi.
«Era immenso perché sapeva, era cosciente, della sua importanza per la gente, i tifosi. E non ha mai fatto qualcosa per approfittarne. La sua genialità superava il calcio giocato: nella vita era sempre due o tre ragionamenti avanti agli altri. E ti impressionava la sua umiltà».
Si dice di tutte le persone che muoiono.
«No, davvero. Trattava giocatori di unlivello molto basso come se fossero di un livello molto superiore al suo.
Aveva questa capacità di fari sentire importante solo parlandoti».
Lei ora è un dirigente del Santos: pensa che sarà aperto l’armadietto dello spogliatoio che aveva chiuso nel 1974? Ne avete già parlato?
«Penso che non lo apriremo. O comunque: io non lo aprirei mai, non ci posso neanche pensare. Però sono un dipendente, queste cose le deciderà il club, o forse la famiglia».
Torniamo al calcio e all’Italia: chi lo vince il campionato?
«Mi incuriosisce la partita tra Napoli e Inter».
Ecco, il Napoli: le piace?
«Spalletti è molto, molto bravo. Sono stato a casa sua a Milano, abbiamo passato quattro o cinque ore a sera a parlare di calcio. È una persona splendida e un allenatoreeccezionale».
E la sua Roma?
«Col mio lavoro non riesco a seguirla quanto vorrei».
Da qualche settimana circola la voce che Mourinho possa allenare il Brasile.
«Vero, la voce c’è. Ma si parlava anche di Ancelotti, di Guardiola. Vediamo, non si sa: quelle erano voci sull’onda del Mondiale».
Ma lei pensa che il Brasile possa essere allenato da un tecnico straniero? Sarebbe la prima volta.
«Anche Italia, Germania o Argentina sono Paesi in cui la cultura sportiva sul selezionatore è un po’ conservatrice, ci sono sempre stati tecnici nazionali».
E lei che idea ha al riguardo?
«Io sono per la competenza, non per la nazionalità».
Il Brasile però non vince il Mondiale da vent’anni.
«No, da 24: al prossimo Mondiale saranno passati 24 anni dall’ultima volta. Ma ricordatevi che quando vincemmo nel 1994, l’ultimo titolo era quello del 1970, a Città del Messico con Pelé: ventiquattro anni. Io non sono scaramantico, ma chi ci crede dice: come quella volta, vinceremo dopo 24 anni. E sono molti a pensarci qui in Brasile. Chissà».