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 2023  gennaio 03 Martedì calendario

In morte di Antonio Pallante

Con tre colpi di pistola precipitò l’Italia in una situazione drammatica, che fece temere lo scoppio di una guerra civile. Si è spento a Catania quasi centenario lo scorso 6 luglio (ma la notizia è stata diffusa solo ieri) Antonio Pallante, noto per avere attentato alla vita del segretario del Pci, Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948. Ferito alla nuca e al torace all’uscita da Montecitorio con la sua compagna Nilde Iotti, il leader comunista fortunatamente sopravvisse, anche perché i proiettili erano di qualità scadente. Lui stesso, prima di entrare in sala operatoria, esortò i dirigenti del partito a non perdere la testa. Ma in tutto il Paese i lavoratori entrarono in sciopero e scoppiarono disordini molto gravi, con una trentina di morti tra i manifestanti e le forze dell’ordine.
L’Italia aveva celebrato nella precedente primavera, il 18 aprile 1948, le prime elezioni legislative, che avevano visto un clamoroso successo della Democrazia cristiana sul Fronte popolare che vedeva uniti i candidati comunisti e socialisti. Per le sinistre marxiste era stata una cocente delusione, che aveva alimentato un forte sentimento di rivincita. Quando poi venne colpito Togliatti, l’ira popolare esplose in vaste manifestazioni di piazza. La decisione della Cgil di indire lo sciopero generale provocò tra l’altro la rottura dell’unità sindacale, con il distacco della componente democristiana che poi andò a formare la Cisl, nonostante gli sforzi del segretario Giuseppe Di Vittorio per evitare la rottura.
Gli scontri durarono quasi due giorni, poi la Cgil revocò lo sciopero e la situazione si andò gradualmente normalizzando, anche grazie alle notizie rassicuranti sullo stato di salute di Togliatti. A distrarre gli italiani contribuì il brillante successo del ciclista Gino Bartali al Tour de France, anche se la notizia arrivò quando l’onda di piena era già passata.
Pallante, nato a Bagnoli Irpino (Avellino) nell’agosto 1923, aveva agito di sua iniziativa. All’epoca era uno studente ventiquattrenne con simpatie di destra, che in primavera aveva fatto campagna elettorale per un piccolo partito sorto da una scissione dell’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini. Viveva a Randazzo, in provincia di Catania, dove suo padre faceva la guardia forestale. Fu arrestato e poi processato: condannato a 13 anni e otto mesi, poi ridotti in appello a dieci anni e otto mesi, grazie a un’amnistia trascorse in carcere solo cinque anni e tre mesi e fu rilasciato nel 1953.
Al figlio raccontava di avere compiuto quel gesto perché in Togliatti vedeva «una minaccia per la democrazia» a causa del legame tra il Pci e l’Unione sovietica. Ma non si era più occupato di politica.