Corriere della Sera, 3 gennaio 2023
L’ala conservatrice della Chiesa ora può perdere ogni freno
Scomodare il katéchon di San Paolo magari è eccessivo, considerate le risonanze escatologiche e apocalittiche legate alla figura misteriosa di «colui che trattiene». Però, certo, in questi anni Benedetto XVI ha rappresentato, da Papa emerito, un «elemento decisivo di stabilizzazione e di distensione», riflette in Vaticano chi lo ha conosciuto molto bene. «Soprattutto sul fronte di coloro che, più o meno abusivamente, si ispiravano a lui e si oppongono a Francesco, la morte di Joseph Ratzinger potrebbe causare due effetti opposti. O pacificare ulteriormente, il che, peraltro, è improbabile. Oppure, più probabilmente, provocare una forte instabilità, in Vaticano come nella Chiesa universale».
Benedetto XVI, dal Monastero Mater Ecclesiae, è stato esemplare dal punto di vista di quello che una volta, quand’era più diffuso, si definiva il «sensus Ecclesiae». Il Papa è il Papa, per un cattolico non è che si possa scegliere come riferimento quello che è più vicino alle tue idee. Una lezione che Ratzinger aveva dato subito, il 28 febbraio 2013, quando si rivolse ai cardinali poche ore prima che la sua rinuncia al pontificato divenisse effettiva, senza poter sapere chi sarebbe stato il successore: «Tra voi, tra il Collegio cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza». Le stesse parole che ripetè a Francesco quando il nuovo Papa lo chiamò a Castel Gandolfo la sera dell’elezione.
Così, per quasi dieci anni, attraverso i suoi scritti o le confidenze affidate al biografo Peter Seewald, le parole di Ratzinger hanno trattenuto le spinte centrifughe più evidenti. E non si tratta soltanto dell’ala estrema, i «sedevacantisti» o complottisti vari che non gli hanno mai perdonato la rinuncia oppure si sono immaginati che non fosse valida e Benedetto fosse stato costretto da chissà quali potenze: «Sono tutte assurdità. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non lo avrei nemmeno permesso», spiegò l’emerito. I malumori sono cresciuti nel corso degli anni e hanno avuto come epicentro dell’opposizione gli Stati Uniti. Da tempo si parla dello «scisma» della destra cattolica Usa, ostile a Bergoglio e ricca di finanziamenti e di network, che aleggia come uno spettro da anni, una minaccia alla quale Francesco aveva già risposto sereno ma secco, nel 2019, parlando con i giornalisti: «Io prego che non ci sia uno scisma, ma non ho paura: nella Chiesa ci sono stati tanti scismi...». Il panorama è vario, peraltro. C’è la parte più estrema e colorita, rappresentata dall’ex nunzio a New York Carlo Maria Viganò, arcivescovo ora in pensione che già chiese nel 2018 le dimissioni di Francesco e nel frattempo lo ha accusato, tra le altre cose, di essere «dalla parte del Nemico», cioè Satana, e guidare con un «falso magistero» una Chiesa che vuole essere «braccio spirituale del Nuovo Ordine Mondiale e fautrice della Religione Universale» per rendere concreto «il piano della Massoneria e la preparazione dell’avvento dell’Anticristo». C’è il cardinale ultraconservatore Raymond Leo Burke, già amico e poi in lite con Steve Bannon, capofila degli oppositori espliciti. E poi c’è la resistenza meno esplicita ma più insidiosa: a novembre i vescovi Usa hanno eletto a maggioranza come nuovo presidente Timothy P. Broglio, ordinario militare e già segretario dell’allora cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano, candidato che si sapeva assai distante da Francesco. Chi non ha mai digerito il pontificato di Bergoglio si sta organizzando, non è un mistero che si pensi già al prossimo conclave. Il riferimento dell’ala più conservatrice, in Vaticano, è il cardinale guineiano Robert Sarah, 77 anni.
Al capo opposto, c’è l’altro «scisma» paventato, quello «progressista» che ha come riferimento la Germania e il Sinodo della chiesa tedesca, con discussioni sul sacerdozio femminile, la possibilità di benedire le coppie gay, la revisione del celibato sacerdotale obbligatorio («per alcuni preti, sarebbe meglio se fossero sposati», osservava il cardinale tedesco Reinhard Marx), insomma una serie di questioni dibattute soprattutto tra i fedeli del Nord Europa. In mezzo, tra Spagna, Francia e anche Italia, malumori di episcopati silenti che ancora non emergono. Tutto questo Francesco lo sa. Si avvicina il Sinodo che si riunirà nell’ottobre del 2023, non a caso ha voluto allungare i tempi e prevedere una seconda parte nel 2024, per lasciar decantare le tensioni crescenti. Il pontefice vuole che la Chiesa rifletta su sé stessa e trovi nuove vie per parlare al mondo, senza barricate né fughe in avanti: fino a parlare di «indietrismo» e «progressismo» ideologici come «prove di infedeltà».