Corriere della Sera, 3 gennaio 2023
La paure degli italiani nel 2022. Il sondaggio
Il 2022 ha fatto registrare un netto peggioramento del clima sociale, soprattutto se confrontato con il 2021, ossia con l’anno della ripresa della normalità dopo la massiccia campagna vaccinale, l’anno del significativo aumento del Prodotto interno lordo, l’anno del governo di (quasi) unità nazionale guidato da una personalità autorevole come Mario Draghi che ha conferito al Paese prestigio e considerazione a livello internazionale, l’anno delle numerose vittorie in ambito sportivo (dagli europei di calcio alle medaglie olimpiche), l’anno in cui gli ottimisti riguardo al futuro personale e dell’Italia prevalevano sui pessimisti. Ebbene, tutto ciò è venuto meno a seguito di due eventi che si sono palesati a inizio anno e hanno condizionato il sentiment degli italiani: il ritorno dell’inflazione e il conflitto in Ucraina che dopo la pandemia hanno minato ulteriormente il senso di sicurezza degli italiani mettendo a repentaglio la tenuta del potere d’acquisto e l’indipendenza energetica.
Le priorità dell’Italia, menzionate spontaneamente dalle persone intervistate nel nostro sondaggio (erano invitate ad indicarne tre), sono incentrate soprattutto su temi economici e occupazionali (84%, in aumento del 9% rispetto al dicembre del 2021) e quelli del welfare e dell’assistenza (55%), più che raddoppiati a distanza di un anno (24%); a seguire, distanziati, troviamo il tema del funzionamento delle istituzioni e la situazione politica (24%, in progressiva diminuzione dal 2019 quando toccò il 43%); l’ambiente (22%) quasi quadruplicato in cinque anni; la sanità (21%), dimezzato rispetto al 2021; l’immigrazione (18%) e la sicurezza (13%), entrambi in forte calo rispetto al 2018, quando erano al centro del dibattito politico e mediatico.
Le priorità nella propria zona di residenza risultano un po’ diverse con l’eccezione dei temi economici che si mantengono al primo posto (49% delle citazioni, in crescita di cinque punti rispetto a fine 2021) e precedono tre questioni che si collocano sullo stesso livello: la mobilità e le infrastrutture (34%), l’ambiente (33%) e il welfare (33%, più che raddoppiato); quindi il funzionamento delle istituzioni e la situazione politica locale (20%, in calo di sei punti), la sicurezza (19%, in aumento), la sanità (12%, in flessione) e l’immigrazione (stabile al 9%).
L’economia, dunque, è al vertice dell’agenda delle priorità degli italiani e a questo proposito l’inflazione rappresenta motivo di preoccupazione per quattro cittadini su cinque (79%) mentre solo il 7% si dichiara poco o per nulla preoccupato. Secondo gli intervistati non si tratta di un fenomeno passeggero, solo il 28% è del parere che l’aumento dei prezzi durerà al massimo per un anno, il 31% è convinto che durerà da uno a due anni e un altro 21%, più pessimista, prevede che durerà ben più di due anni. Questi pronostici avranno inevitabilmente un impatto sui comportamenti di acquisto e di consumo delle persone.
E, sempre a proposito delle preoccupazioni, la guerra in Ucraina rappresenta motivo di inquietudine per tre italiani su quattro (28% molto preoccupato e 47% abbastanza preoccupato) e fin dall’inizio delle ostilità il timore riguarda più le conseguenze economiche (53%) rispetto al rischio di estensione del conflitto che veda coinvolta l’Italia (19%) o all’aumento dell’arrivo dei profughi (15%). Il protrarsi della guerra ha fatto registrare un progressivo cambiamento delle opinioni degli italiani, la maggior parte dei quali (55%) inizialmente si dichiarava a favore delle sanzioni contro la Russia nonostante l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti alimentari e del costo dell’energia, a fronte del 31% di contrari. Oggi si è ridotto il consenso per le sanzioni (46%) ed è aumentata la contrarietà (37%). E anche la posizione rispetto ai Paesi in guerra è cambiata: se a marzo il 57% dichiarava di stare dalla parte dell’Ucraina, il 38% non prendeva posizione e il 5% parteggiava per i russi, oggi la maggioranza relativa (47%, in aumento del 9%) dichiara di non appoggiare nessuno dei due Paesi, il 45% (in diminuzione di 12%) è più vicino all’Ucraina e l’8% alla Russia. Sembra prevalere una sorta di pacifismo utilitaristico che prescinde dal merito della vicenda e chiede che le parti in causa cessino le ostilità per evitare guai economici maggiori al nostro Paese già duramente provato dalla pandemia e dell’inflazione.
Quale futuro ci aspetta? Nel breve prevalgono i pessimisti, dato che il 38% prevede che la situazione economica del Paese nei prossimi sei mesi peggiorerà contro il 26% che pronostica un miglioramento e il 25% che ritiene rimarrà invariata. Le cose vanno meglio se si considera un orizzonte temporale più ampio (3 anni): in questo caso gli ottimisti (43%) prevalgono sui pessimisti (23%). E dal punto di vista delle prospettive economiche personali torna a prevalere la quota di coloro che nei prossimi sei mesi si aspettano un peggioramento (34%) rispetto agli ottimisti (24%).
E il Covid che fine ha fatto nelle opinioni degli italiani? Nonostante non sia ancora stato debellato, il virus appare oggi meno aggressivo agli occhi dei cittadini: quasi uno su due (47%) ritiene che con le giuste precauzioni e con l’ausilio dei vaccini ormai il Covid non rappresenti più una minaccia e il 14% è del parere che la pandemia sia sostanzialmente finita. Nel complesso il 61% (quota raddoppiata rispetto al dicembre del 2021) è convinto che il peggio sia alle nostre spalle mentre il 6% è più allarmista e ritiene che il peggio debba ancora arrivare. Le notizie provenienti in questi giorni dalla Cina sono poco rassicuranti e potrebbero avere un impatto sulla percezione della situazione e sui comportamenti conseguenti.
In sintesi, dopo quasi tre anni di pandemia, con il ritorno dell’inflazione e le criticità legate alla crisi energetica si è acuito il sentimento di fatica, è aumentata la domanda di protezione e si sono ridotte le speranze di un miglioramento complessivo della situazione. È pur vero che l’accresciuta capacità di risparmio registrata nel 2020 e nel 2021 con il lockdown e le restrizioni adottate per contenere l’emergenza sanitaria ha consentito a molti di far fronte all’aumento dei costi e di non rinunciare ad alcune voci di spesa (per esempio i viaggi e le vacanze), ma ciò che inquieta è l’incertezza del futuro.
Una delle parole più ricorrenti negli ultimi anni è «transizione», nelle diverse accezioni (digitale, energetica, ambientale, lavorativa, ecc.): è una parola che genera aspettative positive ma anche un sentimento di apprensione se non si riescono ad intravvedere gli approdi, lasciando il Paese «sospeso» tra un presente che ci preoccupa e un futuro che ci spaventa. Nel rapporto Censis di quest’anno si fa riferimento ad una diffusa malinconia che pervade gli italiani. La malinconia non è rabbia, rancore o recriminazione, è un senso di tristezza e di rassegnazione. È il disincanto rispetto alla possibilità di avere un Paese più dinamico, nel quale si riducano le diseguaglianze e si rimetta in moto dell’ascensore sociale. È difficile individuare antidoti ad un disagio collettivo che si esprime con il pessimismo, la sfiducia, la convinzione di essere lasciati soli, abbandonati a sé stessi. Forse vale la pena riflettere sul ruolo «terapeutico» che potrebbe avere il Piano nazionale di ripresa e resilienza (saggiamente denominato dalle istituzioni europee Next Generation EU), a condizione di saper raccontare con convinzione che Italia avremo se sapremo realizzarlo.