La Stampa, 3 gennaio 2023
Intervista a Gianmarco Pozzecco
All’anno che è appena arrivato, quello dei Mondiali con vista sulle Olimpiadi parigine del 2024, Gianmarco Pozzecco chiede emozioni, passione e coinvolgimento. Come in ognuno dei precedenti cinquanta, vissuti da ragazzino che a Natale si divertiva a giocare a sette e mezzo in famiglia, da playmaker che faceva impazzire tifosi, avversari, tecnici e arbitri, da personaggio pubblico capace di bucare il recinto della pallacanestro, da apprendista allenatore, da allenatore vero e proprio, da secondo di extralusso, da commissario tecnico della Nazionale. «Intanto il 2023 - bisbiglia, emozionato, Poz - mi dovrebbe dare una figlia. A 50 anni sono andato un po’ lungo, quasi anacronistico, ma non vedo l’ora che nasca». Il papà in pectore Pozzecco, in fondo, non ha mai nascosto di vedere l’Italbasket come un’unica grande famiglia, salutata nel 2022 visitando i raduni delle Nazionali Under 20, Under 18 e Under 15 e riabbracciata nel 2023 apparendo ieri a Bologna per rivedere i tanti, non solo in campo, azzurri e azzurrabili del kolossal Virtus Bologna - Olimpia Milano. «Con la Federazione abbiamo creato il senso di appartenenza e le premesse per essere una famiglia. Passione, professionalità, empatia e altruismo. Mi piace ogni aspetto che impone il mio ruolo: anche la semplice presenza a supporto dei miei colleghi delle Nazionali giovanili. A me non piace comandare, ma suggerire. Anche quando alleno: l’allenatore non è quello che impone il suo credo, ma quello che dà ai giocatori la passione e la voglia di giocare insieme. Viva la gestione familiare, che non significa poco professionale».
E che significa per Pozzecco?
«L’esempio che mi viene in mente sono le partite a sette e mezzo da piccolo: mio nonno gestiva tutto e teneva il banco, noi bambini impazzivamo per dei piatti da 50,100 o 200 lire che ci sembravano ricchissimi e gli altri ci venivano dietro. Familiarità, agonismo e divertimento sono requisiti fondamentali per fare bene il proprio lavoro nel basket e nello sport. Anche se il vero obiettivo è regalare emozioni alla gente che ci guarda».
Ritratto di famiglia azzurra...
«Abbiamo creato l’atmosfera e i presupposti per remare tutti dalla stessa parte. Il carisma e la vicinanza del presidente Petrucci, l’aiuto del dg Trainotti, il supporto della Federazione e la complicità dello staff. Mi gratifica più mettere in pratica le idee giuste dei miei assistenti Casalone, Fucà, Fois, Poeta e Recalcati che le mie. Mi sento ricompensato dal vedere che tutti aiutano Simone, il nostro autista, a caricare e scaricare il pullman. Così come sono stato segnato dalla sofferenza sul volto del team manager, Massimo Valle, durante Italia-Francia. Sofferenza che deriva dal coinvolgimento: più uno ci tiene, più uno soffre».
Parole da capofamiglia. Eppure molti la considerano un "ct mediatico": a lei suona come un’offesa?
«Non mi disturba. Semplicemente, che sia un’osservazione vera o no, non ci perdo tempo. Sono focalizzato su altro: giocatori, staff, presidente e federazione. Il giudizio sul sottoscritto è l’ultima cosa che conta. Quella più importante è che i ragazzi possano giocare».
Nel 2022 si è divertito parecchio: una Coppa Italia e uno scudetto da vice di Messina a Milano, l’incoronazione a ct, la cavalcata fino al supplementare del quarto di finale con la Francia agli Europei e la qualificazione ai Mondiali…
«Anno fantastico, bellissimo, ma che parte dal triennio precedente a Sassari. Vincere a Milano al fianco di Messina è stato splendido, ma nella mia testa ci sono anche altre immagini indelebili».
Le vuole tenere solo per la sua galleria personale?
«Come sono stato accolto dal pubblico di Sassari quando sono tornato con l’Olimpia. Ma anche come i tifosi di Milano, pur sapendo che sotto il vestito ho ancora il tatuaggio di Varese, mi hanno apprezzato e rispettato. Significa che sto vivendo bene la pallacanestro: gli errori che ho riconosciuto di aver commesso in passato sono quelli che mi definiscono come persona».
Alla famiglia azzurra, magari già per i Mondiali di agosto-settembre, si unirà anche il fenomeno Banchero?
«La premessa è che, anche grazie al lavoro del mio predecessore Meo Sacchetti, abbiamo messo in piedi una situazione competitiva. Quello che è stato fatto dalla Fip con Banchero è stato straordinario. Se ho aggiunto qualcosa, parlando con lui, non è neanche la ciliegina: la torta l’hanno preparata da tempo il presidente Gianni Petrucci, il dg Salvatore Trainotti e Riccardo Fois, bravissimi nell’avere questa visione e nell’entusiasmare sia Paolo che la sua famiglia. Ora il ragazzo si trova in mezzo a due situazioni e non sa quale scegliere: l’Italia o gli Usa? Dovremmo essere felici già che esista questa possibilità. Se dovesse avverarsi sarebbe un qualcosa di spettacolare, non solo cestisticamente. Io sarei entusiasta di usufruirne»
Dopo il viaggio a Orlando vi siete sentiti di nuovo?
«I Magic, dopo il nostro incontro, hanno fatto filotto. Ho scritto a Paolo: "Mi hai visto una volta e hai vinto otto partite di fila". Ho portato fortuna anche a Fontecchio, ero in tribuna quando ha segnato il canestro decisivo in Jazz-Warriors. "Ora mi farai venire sempre a Salt Lake City", gli ho detto».
La Nazionale è ancora sola, come dichiarò prima di qualificarsi ai Mondiali?
«Ora mi sento un po’ meno solo, vedo una considerazione diversa. La visione collettiva dovrebbe essere che qualsiasi sacrificio in favore della Nazionale torna sempre indietro all’intero movimento. Devo dare ragione a Petrucci quando mi disse che non c’è nulla come allenare la Nazionale e ringraziarlo per avermi cambiato la vita. Adesso mi riconosce e mi chiede di Banchero, Fontecchio, Melli o Datome anche il macellaio sotto casa».