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 2023  gennaio 03 Martedì calendario

Intervista a Fabio De Luigi

Genitori per forza, per punizione, per via di uno strano incantesimo. In Tre di troppo (in sala dal giorno di Capodanno) Fabio De Luigi, regista oltre che interprete, mette (scherzosamente) il dito in una delle piaghe del nostro tempo, il terrore di avere figli, che poi, per molti, significa strenua difesa della propria libertà e illusione di restare giovani per sempre: «L’origine è la paura di non essere all’altezza, di non essere pronti ad affrontare un ruolo che, negli anni, è stato sempre più caricato di significati».
In che senso?
«Non sono certo io a scoprire quanto sia importante, nella vita di un figlio, il comportamento di un genitore. Questa consapevolezza ha generato, forse, degli eccessi, ovvero genitori troppo permissivi, troppo protettivi, oppure troppo perfetti, al punto da esibire i figli come trofei. Non tutti i padri e le madri diventano così, ma il rischio esiste, così come esiste la ricerca continua di equilibrio tra la voglia di trasmettere amore e la necessità di stabilire regole. Nella nostra società evoluta succede spesso che i genitori diventino fratelli dei loro figli. Forse abbiamo tutti abbandonato un po’ troppo l’esercizio dell’autorità».
Lei che figlio è stato?
«Sicuramente molto libero, ma non nel senso "fricchettone" del termine. Sono il terzo , arrivato alla fine, su di me non c’era una gran pressione, ho potuto fare quello che volevo con tranquillità, senza essere eccessivamente protetto o sorvegliato, e questa la considero una fortuna».
Ora è dall’altra parte della barricata, che tipo di padre è?
«E’ un ruolo complicato, diciamo che cerco di stare sul pezzo, di trovare l’equilibrio fra il dare e il pretendere. Provo a fissare principi, il problema poi è farli rispettare, mi impegno parecchio, e posso dire che, finora, i miei figli mi stanno abbastanza simpatici. Poi, certo, il rapporto è in continua evoluzione, i figli crescono velocissimi, bisogna aggiornare continuamente i codici di comportamento».
In famiglia è serio o ricorre alle sue doti comiche?
«Sono abbastanza serio, quando mi arrabbio si vede e non c’è pericolo di essere frainteso. Poi, quando cerco di fare il simpatico, i figli, per farmi arrabbiare, restano lì fermi, immobili, si guardano, e mi dicono "pensa che questo lo fai per lavoro"».
In Tre di troppo fa coppia con Virginia Raffaele. Su cosa si basa la vostra collaborazione?
«Ci conosciamo bene, abbiamo un gusto comune dal punto di vista comico, e non solo. C’è un’intesa professionale forte, elemento fondamentale, siamo entrambi precisi e meticolosi, anche un po’ puntigliosi, insomma due rompiscatole, molto attenti a quello che facciamo, prepariamo tutto, poi, una volta sul set, diamo anche spazio all’interpretazione e così ogni tanto uno dei due sorprende l’altro».
Per la seconda volta regista e di nuovo alle prese con bambini, cosa che è sempre abbastanza complicata.
«Mi diverte lavorare con i bambini, vanno assecondati perché hanno i loro tempi, poi però danno grandi soddisfazioni. All’inizio bisogna avere fiducia, passare del tempo con loro, scherzare, ma anche trattarli, in qualche modo, da adulti, raccontare quello che succederà nella storia».
Oggi, rispetto al passato, è più difficile far ridere?
«No, penso sia uguale, non c’è un peggio o un meglio. La verità è che, per fortuna, la risata esiste. Non dimentichiamo che noi siamo gli unici esseri sulla Terra dotati della capacità di ridere. E’ una forma di evoluzione, ma anche di difesa, ridendo ci difendiamo dalla realtà dolorosa, controbilanciamo la negatività, ribaltiamo il punto di vista sugli eventi. Viviamo un periodo complesso, non facile, ma, forse proprio per questo, sentiamo ancora più forte la voglia di sorridere, di uscire dalla cornice del brutto».
Che cosa la fa più ridere?
«L’arroganza delle persone che, molto spesso, va di pari passo con la rigidità. Poi le risate possono essere di tanti tipi, direi che, rispetto alla comicità, sono onnivoro, mi fanno ridere tante cose».
Nella sua carriera ci sono stati incontri fondamentali?
«Due. Il primo con Enrico Vaime, che mi fa sempre piacere ricordare. L’ho conosciuto nel ’97, ho avuto la fortuna di lavorare con lui in un programma radiofonico e quindi di poter apprezzare le sue tante qualità. Poi con la Gialappa’s Band, un passo importante, una svolta che mi ha aperto la strada di tante altre esperienze».
Qual è il talento comico che sente più vicino?
«Peter Sellers mi piace sempre, aveva un talento smisurato, lavorava sulla sottrazione e sull’asciuttezza, toni che sento congeniali. Mi piace molto anche Gene Wilder».
Cosa si augura per il 2023?
«Che sia migliore dell’anno passato, un augurio che vale sempre. Cerchiamo di stare bene e di goderci un po’ di serenità, da tutti i punti di vista».