il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2023
Un’intervista a Ratzinger nel 1988
Questa intervista di Manfred Schell a Joseph Ratzinger, che pubblichiamo in parte, è comparsa su Die Welt nel 1988. L’integrale comparirà nel nuovo volume dell’Opera Omnia di Bendetto XVI edita da Lev.
Quanto è grande la possibilità che la fede cristiana divenga un ponte di unità e di comprensione in Europa?
Da questo punto di vista il papa stesso ha più volte evocato un’Europa indivisa, dall’Atlantico agli Urali.
Naturalmente non bisogna sovraccaricare la forza unificante della fede con speranze politiche. Anche in periodi in cui in Europa la fede era, come potrebbe credersi, molto forte, essa non ha potuto impedire contrasti. E continuerà senza dubbio ad essere così, perché le tradizioni culturali, politiche e nazionali sono molto forti. Ma tutto ciò premesso, è comunque lecito dire che la fede cristiana è un potenziale di comprensione reciproca e di pace dove ci sono focolai di guerra. La fede non ha mai potuto evitare avvenimenti drammatici e tristi, ma è di continuo stata la forza che ha permesso la riconciliazione. Persino quando si raggiunsero degli abissi si poté preservare così un resto di ethos comune e umanità. (…)
È drammatico come siano soprattutto giovani donne ad allontanarsi dalla Chiesa. Da cosa dipende?
Penso che sia la donna a pagare maggiormente il prezzo della nostra cultura tecnica che è una cultura essenzialmente mascolina. È una cultura del fare, del successo, della prestazione, dell’esibirsi, dunque definita da parametri tipicamente maschili. La particolare crisi di fede delle donne che in effetti osserviamo, ha di certo anche delle radici infra-ecclesiali, ma essenzialmente scaturisce dalla condizione politico-culturale del nostro tempo. Dal canto suo la Chiesa deve fare tutto quanto le è possibile per facilitare alle donne la partecipazione nella Chiesa e la vita in essa, procurarle dei varchi. Ma la radice più profonda del distacco delle donne sta nel carattere della nostra cultura che, come credo, ha svilito la donna.
Si accusa però la Chiesa di essere una Chiesa di uomini che dalle donne pretende servizio e umiltà.
Almeno in teoria anche agli uomini è richiesto servizio e umiltà. Servire è il modo più nobile di abbandonare l’egoismo e di esserci per l’altro. Si abusa del sacerdozio quando lo si intende diversamente dal servizio. Peraltro, il servizio delle donne è un grande dono alla Chiesa, senza il quale essa non potrebbe affatto sussistere. Gli sforzi missionari mostrano ad esempio che la Chiesa è giunta solo quando è giunta nelle donne, quando era nata una cultura femminile della Chiesa autonoma. Uno degli elementi più rilevanti dell’attuale ricerca scientifica consiste nel fatto che, ad esempio, rispetto al Medioevo, essa inizialmente indagò sulla cultura universitaria per poi riconoscere i grandi impulsi spirituali femminili. Nella Chiesa abbiamo effettivamente bisogno di una cultura femminile, che abbia il rango che merita e che sia almeno pari a quello che fanno gli uomini.
Ma le donne continueranno a non potere diventare sacerdote?
Sì, continuerà ad essere così. Crediamo che questa disposizione provenga dalla Bibbia stessa. I Dodici con cui è stata celebrata l’Ultima Cena erano appunto uomini. Ma se si comprende bene la funzione di servizio nella Chiesa, allora si saprà dare alle cose il proprio peso. E la risposta a riguardo è che Maria sta sopra Pietro.
Esiste tendenzialmente una decisione sulla possibilità del diaconato femminile?
La questione è ancora allo studio e con quella profondità che essa tipo merita. Non so come alla fine si deciderà. Ma non si dovrebbe attribuire alla cosa un valore eccessivo e tanto credere che con l’introduzione del diaconato femminile la questione della donna sarebbe risolta.
Eppure, il diaconato femminile darebbe una nuova spinta alla richiesta di consentire ai preti di sposarsi, o no?
È una discussione che si ripropone in ogni secolo perché in effetti si tratta di una questione che va all’origine dell’uomo. Nella maggior parte delle generazioni di sacerdoti arriva un momento di crisi, in cui molti di essi potrebbero essere tentati dal dire: sarebbe meglio diversamente. Non bisogna sorprendersene, soprattutto in tempi di grandi rivolgimenti e nel tempo della rivoluzione sessuale. Ma proprio in un tempo caratterizzato da un rifiuto del matrimonio sulla base di negazioni e dalla banalizzazione della sessualità, il celibato rappresenta un segno di fiducia nella libertà morale dell’uomo e in questo modo anche un incoraggiamento per la formazione morale della sessualità nel matrimonio.
Il celibato resterà?
Sì.