il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2023
Intervista ad Andrea Crisanti
Senatore Andrea Crisanti, capisco la sua irritazione nei confronti del presidente del Veneto Luca Zaia. Ma cosa ha fatto di male l’Università di Padova da spingerla ad annunciare le dimissioni da professore in aspettativa?
Nelle carte emerge che alcuni colleghi dell’Università non si sono comportati bene. Non è importante cosa dicono ma per alcuni conta di più avere buoni rapporti con il potere che difendere la libertà della ricerca.
Leggo che alcuni volevano ritirarsi dallo studio che metteva in dubbio l’affidabilità dei test rapidi della Abbott.
Esatto. E non solo. Più in generale, su questa storia farò valere tutti i miei diritti, i miei avvocati stanno valutando se ci sono elementi di rilevanza penale e non voglio farmi condizionare, neanche in maniera involontaria. Ci sono rapporti istituzionali tra l’Università e la Regione, molti finanziamenti, tutti legittimi. Io invece voglio che Zaia risponda di ciò che ha detto e fatto. Non è possibile questo clima di intimidazione, un presidente di Regione che usa i suoi poteri per nuocere a qualcuno. Ho detto alla rettrice Daniela Mapelli che intendo dimettermi ed è dispiaciuta.
Il vostro studio risale all’ottobre del 2020. Quando avete anticipato i risultati alla Regione?
Fummo incaricati a fine settembre di analizzare per un mese, sia con i test rapidi Abbott sia con i molecolari, tutti i pazienti del Pronto soccorso e del reparto di Malattie infettive dell’azienda Ospedale-Università di Padova. Il 21 ottobre comunicammo al direttore generale Luciano Fior i risultati di circa 1.600 pazienti: le prestazioni del test Abbott erano di gran lunga inferiori a quelle dichiarate nel foglio illustrativo. Su 61 positivi al molecolare ben 19 erano sfuggiti all’antigenico. E lui ha risposto che non aveva autorizzato lo studio, poi ha detto che non esisteva lo studio…
La Regione Veneto sostiene che la prima versione dello studio, uscita in preprint a fine marzo 2021, conteneva riferimenti alla mortalità che sono scomparsi nell’articolo pubblicato da Nature Communications ai primi di ottobre 2022. Cosa è cambiato?
La differenza tra la prima e la seconda versione è il modello matematico di Imperial College che dimostra che i tamponi rapidi hanno favorito i contagi. Quella sulla mortalità era solo un’osservazione. Non abbiamo mai scritto che c’era correlazione.
La Regione dice di aver usato i test rapidi in aggiunta e non in sostituzione dei molecolari.
Hanno imposto gli antigenici come screening negli ospedali, questo è il problema.
Quando doveva essere usato quel tipo di test rapido?
Per lo screening solo quando la prevalenza è bassa. Quando invece la prevalenza è alta perché i casi aumentano, come allora, può essere usato per la diagnosi di un sintomatico, o di chi ha avuto contatti, ma non per lo screening. C’era scritto anche nei foglietti illustrativi.
Di lì a poco i test rapidi li hanno usati tutti.
Il Veneto si è fatto capofila.
Lei nell’estate del 2020, prevedendo la seconda ondata, suggerì investimenti per fare fino a 400 mila molecolari al giorno. Invece si aprì il business dei test rapidi e il 15 gennaio 2021 il ministero della Salute li equiparò ai molecolari.
Sì ma per la diagnosi, non per lo screening in ambienti a rischio.
Rischiamo oggi una nuova ondata di Covid? Ci troverebbe preparati?
No, a differenza della Cina noi siamo vaccinati. Ma se continua questa narrativa del governo, secondo cui devono vaccinarsi solo i fragili, da qui un anno e mezzo l’Italia sarà di nuovo vulnerabile. I Pronto soccorso sono al collasso, la sanità dovrebbe ripartire da zero.
Servono più soldi.
Sì ma anche un cambio di mentalità e di governance, la sanità non può dipendere dai presidenti delle Regioni. E con l’autonomia differenziata sarà peggio.