Avvenire, 3 gennaio 2023
Ratzinger e quei 250 artisti nel regno della bellezza
Papa Ratzinger è stato sensibile e generoso con gli scrittori e con gli artisti. Gliene rendo atto, ora che ci ha lasciati, ma sarebbe giusto che anche gli altri gliene rendessero atto. Il suo più grande gesto verso la cultura fu questo: convocò nella Cappella Sistina 250 cosiddetti “artisti”, scrittori pittori attori registi musicisti, voleva tener loro un discorso sull’arte, a cosa serve, a cosa può ulteriormente servire, come sarà premiata. Per errore o per bontà, chiamò anche me. Ci andai. Vestito scuro, camicia bianca, cravatta regimental, mi presentai. All’ingresso ci danno un numero d’ordine, a me tocca il 123, sono esattamente a metà, che vuol dire? Che metà degli artisti vale più di me? Può essere. Lo accetto. All’entrata, lungo i corridoi che ci portano alla Cappella Sistina, ci sono guardie svizzere che ci salutano battendo i tacchi. Mi piace questo schiocco dei tacchi. Adesso sto scrivendo un articolo, se quando l’avrò finito e uscirò per la mia città, carabinieri e vigili mi salutassero battendo i tacchi, sarebbe bello e giusto. Ma non accadrà. Con papa Ratzinger accadde. Quando ci siste-mammo nella Cappella Sistina, il Papa entrò per ultimo, a microscopici passettini, si sedette sotto il Cristo Giudicante, e tenne un discorso di commovente bellezza, che mi fa venire i brividi ancor oggi. Disse che l’arte salva più della scienza (grazie, santità), che la vita senza arte è una vita al buio, va bene per la talpa ma non per l’uomo.
Disse che il suo compito, come Papa, era di rendere “commovente” il mondo dello spirito, che è Dio. E disse che ci aveva chiamati per una sola ragione: «In questa operazione… voi siete maestri». Spiegò l’aspirazione della Chiesa cattolica con queste parole: «Far coincidere il sacerdozio con l’arte». Dunque tutto il contrario di quel che credevamo noi scrittori: non ci aveva chiamati per insegnarci qualcosa, ma perché gl’insegnassimo qualcosa.
Disse che sant’Agostino parlava come se lo vedesse, prima che fosse dipinto, questo Giudizio Universale che noi avevamo davanti agli occhi, quando scriveva (qui il Papa parlava lentamente, scandendo le sillabe): «Godremo di una visione mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia: una visione che supera tutte le bellezze terrene, quella dell’oro, dell’argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli: la fonte di ogni altra bellezza». Mentre ascoltavo, prendevo appunti, per non perdere quelle parole. Le ho poi messe in un libro, dal quale ora le ripesco, e spero di non sbagliarle.
Sentivo che gli tremava la voce. Stava descrivendo il Paradiso, nel quale allora sperava che un giorno sarebbe entrato. Nel quale oggi (primi giorni del 2023) entra. Ho avuto l’impressione che fondesse, senza confonderli, Giudizio Universale di Michelangelo e Paradiso. Se si può usare “fanciullesco” nel senso di innocente, allora dirò che c’era un’innocenza fanciullesca nella sua visione-descrizione dell’Eden riservato ai giusti. All’acme di quella visione-descrizione, chiuse il discorso: non l’abbassò per uscire dall’Eden, ma lo chiuse nel bel mezzo dell’Eden, lasciandoci lì, noi e lui insieme. Non ci salutò per una separazione, mandandoci via, ma smise di parlare con una formula che ci lasciava presenti, o ci riconvocava. Disse infatti: «Vi saluto con una sola parola: arrivederci!». Non so se qualcuno gli avesse dato consigli per il suo discorso, qualche scrittore, ma sentivo che c’era una concezione dell’Arte in quel discorso, per cui identificava Fede e Bellezza, saper predicare e saper scrivere. Chi fa un’opera d’arte fa un’opera morale e anche spirituale. Chi scrive non dovrebbe dimenticarlo, il suo compito non è divertire ma educare, e il suo primo dovere non è estetico-letterario, ma etico. Il nostro più grande scrittore l’aveva espresso così: “Non proferir mai verbo / che plauda al vizio o la virtù derida”.