1. MARY MCCARTNEY, 2 gennaio 2023
“AH, SE QUELLE MURA POTESSERO CANTARE” – VENERDÌ ESCE SU “DISNEY+” “IF THESE WALLS COULD SING”, IL DOCUMENTARIO SULLE MITICHE SALE DI INCISIONE DI “ABBEY ROAD” DIRETTO DA MARY MCCARTNEY, FIGLIA DI PAUL: “PER ME È UN LUOGO DI FAMIGLIA. HO COMPRESO CHE LÌ I MUSICISTI SI SENTONO AL SICURO. ANCHE I BEATLES. IL MERITO FU DI BRIAN EPSTEIN. LA SUA MORTE INFLUÌ MOLTO SULLO SCIOGLIMENTO DEL GRUPPO. SENZA GUIDA, ERANO INGESTIBILI” – LA COPERTINA CON LE STRISCE PEDONALI E IL CLAMOROSO INCROCIO CON I PINK FLOYD - VIDEO -
Estratto dell’articolo di Antonello Guerrera per “la Repubblica” […] «Per me (Abbey Road, ndR) è sempre stato un emozionante luogo di famiglia. Ma sinora, al di là di mio padre e dei Beatles, non avevo capito la forza creativa di questi studios, la loro potenza e l'ispirazione che generano nei fan, il vero obiettivo di questa opera. Perciò ho voluto indagare e infondere gli stessi brividi che si provano a percorrere questi corridoi».
E quali sono le sue conclusioni? «Innanzitutto, l'importanza del processo di registrazione. Ma soprattutto ho compreso che questo è un luogo nel quale i musicisti si sentono al sicuro: non hanno paura di esprimersi».
È capitato anche ai "suoi" Beatles? «Sì, anche se lì il merito fu del loro manager Brian Epstein, perché fu lui a portarli ad Abbey Road (nel 1962, ndr ), a guidarli e a proteggerli, tra queste mura, rendendoli liberi di creare, come fece anche il produttore George Martin. La morte di Epstein nel 1967 ha influito molto sui Beatles, che si sciolsero qualche anno dopo, perché senza guida erano spesso ingestibili».
2. IN QUEI CORRIDOI UNA MAGIA IRRIPETIBILE E IL MISTERO DELLA MUSICA PERFETTA Gino Castaldo per “la Repubblica”
Qualcuno parla addirittura di sensazioni spirituali, altri di magia, altri di inesplicabili alchimie, sta di fatto che gli studi di Abbey Road hanno un fascino e una storia che nessun altro studio di registrazione al mondo può neanche lontanamente vantare.
A cercare di sfruttare questa magia ci sono andati da tutto il mondo, dall'America, dall'Africa, ovunque si cercava invano di imitare i suoni che negli anni anni Sessanta avevano definito il canone della musica pop.
Il documentario di Mary McCartney ha il merito di ampliare, di raccontare per intero la storia degli studi iniziata molto prima dell'arrivo dei Beatles, e da brava figlia beatlesiana sfrutta il privilegio di poter intervistare chiunque le sia passato per la mente.
Il più sincero è Nile Rodgers, dice che vogliono andarci tutti perché in queste sale sono stati registrati alcuni degli album rock più forti di tutti i tempi, quindi viene da pensare che non possa essere stato casuale, che ci siano delle ragioni e su questo i musicisti sono molto superstiziosi.
L'associazione con i Beatles è fin troppo ovvia, primo perché sono stati i più prestigiosi ospiti delle magnifiche sale, sia perché furono loro ad avere l'idea, geniale, e dettata dalla riconoscenza, di intitolare il loro ultimo disco col nome della strada e immortalando nella copertina le strisce pedonali che, caso unico al mondo, sono diventate un monumento nazionale. L'idea arrivò dopo aver pensato mille immaginifiche soluzioni, prima di arrivare alla più semplice e definitiva delle conclusioni: loro quattro, sotto casa, mentre attraversavano la strada.
Dave Gilmour e Roger Waters ricordano che c'è stato un momento pazzesco e irripetibile della storia quando nei primi mesi del 1967 loro sbarcarono negli studi per registrare il primo album dei Pink Floyd e nello studio grande a fianco c'erano i Beatles che registravano Sgt. Pepper.
"Ah se quelle mura potessero cantare" dice il titolo del documentario, ma in un certo senso cantano, eccome. Kate Bush racconta che a entrarci, in quelle mura che erano rimaste le stesse da quando ci avevano lavorato i Beatles, veniva paura che il sound di quelle stanze potesse cambiare anche solo riverniciandole.
Nel corso degli anni, nei tanti anni di vita di quegli studi, peraltro perfettamente attivi e affittabili (basta pagare) da chiunque, ci sono passati Fela Kuti, Shirley Bassey (per la celebre Goldfinger), gli Oasis, anche solo per fiutare l'aria che avevano respirato Beatles e Pink Floyd, ci ha lavorato John Williams per le musiche di Guerre stellari, perfino Kanye West che volle andare fin lì per registrare una edizione dei suoi pezzi dal vivo nel leggendario, enorme Studio One con un'orchestra d'archi tutta femminile e un pubblico scelto di 300 invitati. Quelli non sono studi, sono uno strumento, uno Stradivari per chi merita di suonarlo.