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 2023  gennaio 02 Lunedì calendario

Intervista a Mary McCartney, la figlia di sir Paul

Ah, se solo questi muri potessero parlare. O almeno cantare, come recita If these walls could sing ,titolo del primo documentario di Mary McCartney. La fotografa 53enne inglese, chef, attivista vegana, è alla sua prima fatica cinematografica, disponibile su Disney+ dal 6 gennaio, che parte proprio con una foto della figlia di Paul e Linda McCartney, piccolissima, tra questi muri. Quelli degli studi di Abbey Road a Londra, eden mondiale della musica pop e rock e omonimo album dei Beatles, leggendario come quella camminata dei Fab Four sul passaggio pedonale, emulata ancora oggi da un’infinita carovana di fedeli. «Venivo quasi ogni giorno dopo la scuola, ma mi sono chiesta: perché gli studi di Abbey Road sono motivo di pellegrinaggio da tutto il mondo? Sono i Beatles ad averli glorificati, o il contrario?» ci dice Mary, nella sua unica intervista italiana per l’occasione.
Ora McCartney ha girato una “lettera d’amore”, un documentario appassionato e dedicato agli studi di registrazione di Abbey Road. Una “terra di speranza e gloria”, come li battezzò Sir Edward Elgar nel 1931, nei quali i Beatles registrarono quasi 190 delle loro 210 canzoni con lo stellare organo Hammond Rt-3 del White albummentre David Gilmour e Roger Waters — nel documentario miracolosamente riuniti — qui forgiaronoThe dark side of the moon nel1973.
Il film è una girandola di video e interviste esclusive a Ringo Starr, Elton John, Liam e Noel Gallagher, Cliff Richard, Jimmy Page, George Lucas, Kate Bush e ovviamente papà Paul McCartney. Che all’inizio ricorda quando “nel1977 ad Abbey Road portammo Jet, il pony di Mary. Volevamo ricreare così la copertina di quell’album. Peccato che l’animale defecò sulle strisce pedonali…”.
Che storia, Mary. Lei ha un punto di vista privilegiato per raccontare Abbey Road. Ma c’e qualcosa che è riuscita a comprendere di questo posto mitico solo dopo aver girato questo film?
«Per me è sempre stato un emozionante luogo di famiglia. Ma sinora, al di là di mio padre e dei Beatles, non avevo capito la forzacreativa di questi studios, la loro potenza e l’ispirazione che generano nei fan, il vero obiettivo di questa opera. Perciò ho voluto indagare e infondere gli stessi brividi che si provano a percorrere questi corridoi».
E quali sono le sue conclusioni?
«Innanzitutto, l’importanza del processo di registrazione. Ma soprattutto ho compreso che questo è un luogo nel quale i musicisti si sentono al sicuro: non hanno paura di esprimersi».
È capitato anche ai “suoi” Beatles?
«Sì, anche se lì il merito fu del loro manager Brian Epstein, perché fu lui a portarli ad Abbey Road (nel 1962,ndr ),a guidarli e a proteggerli, tra queste mura, rendendoli liberi di creare, come fece anche il produttore George Martin. La morte di Epstein nel 1967 ha influito molto sui Beatles, che si sciolsero qualche anno dopo, perché senza guida erano spesso ingestibili».
Anche alla luce di questo film, com’è stato crescere in una famiglia così creativa come i McCartney e suo padre Paul?
«Sono stati di grande ispirazione: le mostre insieme, i libri che leggevamo, la musica ovviamente.
Ma soprattutto mia madre Linda per quanto riguarda la fotografia.
Poi però a un certo punto sono riuscita a staccarmi e a camminare da sola. Perciò avevo dei dubbi su questo documentario: lo sentivo troppo vicino alla mia storia e alla mia famiglia. Ma ha vinto la passione per questi studi di registrazione unici».
Oggi però Abbey Road è cambiata. Non è più il posto dove i Beatles potevano rimanere settimane a sperimentare, creare, distruggere.
«Ma ad Abbey Road la creatività ancora prospera: non solo per la storia, ma anche per i professionisti che vi lavorano e le affinità elettive tra artisti e tecnici».
Nel documentario Elton John dice che la prima volta che è entrato ad Abbey Road ha avuto “paura”. Anche lei?
«Sì, durante le interviste del film.
Ma Elton lo capisco. Agli inizi, anche ad Abbey Road, suonava per altri artisti. Non era ancora Elton John, bensì Reginald Dwight. Ma anche lui è diventato Elton John qui, in questi studios, mentre suonava o cantava per altri. E per avere il denaro per comprarsi dischi e vestiti…».