La Stampa, 2 gennaio 2023
Intervista a Gianmarco Tamberi
L’anno nuovo di Gianmarco Tamberi riparte da un cantiere, quello in cui è intrappolato da mesi per la casa dei sogni che si è portata dietro infiniti lavori da incubo e quello del progetto 2023, con una stagione diversa.
Ha ricominciato ad allenarsi, per la prima volta senza suo padre come allenatore. Che effetto le fa?
«Ho ancora molto da definire, ma ho ripreso con il sorriso che mancava da un po’».
Da quanto?
«Faccio davvero fatica a ricordarmelo il che significa che è passato troppo tempo».
Però resta senza tecnico.
«Per ora lavoro con un preparatore atletico e curo i dettagli del pre salto, la figura tecnica arriverà a breve, ho una rosa di candidati e valuto delle opzioni italiane perché non voglio cambiare il team e le abitudini». .
Non ha paura di sbagliare guida, di perdere tempo?
«Per nulla, faccio scelte razionali. Conosco il mio salto e l’ho metabolizzato. Il ruolo di papà è vacante ma lo sostituirò con qualcuno in grado di accompagnarmi, di capire gli errori e correggere, di sostenere: non si tratta di costruire da zero.
Come vanno i suoi guai fisici? L’abbiamo lasciata nel 2022 con un fastidio muscolare che dava il tormento.
«Mentre sistemo le incertezze, curo gli acciacchi. Sacrifico la stagione indoor: ho sempre spinto sull’acceleratore, avevo smontato il freno, ora mi rimetto posto. Non posso zoppicare ogni mattina».
Ha visto le ultime gare di Sofia Goggia? Per lei ennesimo recupero record dopo l’operazione alla mano. Voi due sembrate quasi aver bisogno di essere massacrati per spingervi al meglio. È così?
«Sulla competizione la penso come lei, quando conta bisogna solo soffrire: la testa fa più del corpo. Ora però lei deve sciare, io preparare la stagione e in questa fase i dolori non sono una motivazione».
Ha visto i Mondiali di calcio?
«Solo i risultati, di solito sto abbastanza alla larga dal calcio e nemmeno c’era l’Italia…».
Però si giocava nel Qatar del suo amico Barshim.
«Lui testimonial io perso dentro l’eterna ristrutturazione di casa. Allucinante. Follia. La prossima cosa che augurerò al mio nemico sarà un’esperienza così».
Ha approfittato per valutare l’idea di un trasferimento all’estero?
«No, non considero l’ipotesi, sto bene dove sto».
Allenarsi con Barshim non è nemmeno una possibilità?
«Due numeri uno avversari insieme ogni giorno? Non sarebbe divertente».
Avete condiviso un oro, mettere in comune impianto e tecnico sarebbe troppo?
«Ci fa piacere confrontarci, siamo amici, il giorno prima di una sfida magari un allenamento lo condividiamo, ma basta così».
Ha scelto almeno il ritiro invernale?
«Di solito sceglieva mio padre, in base ai suoi tempi, stavolta valuterò con più calma perché non ho la stagione al coperto, partirò a febbraio, una volta definito il settore tecnico».
Il matrimonio ha cambiato qualcosa nella sua vita?
«Dopo 13 anni da fidanzati non credo sia possibile. Giusto la fede al dito e una giornata magnifica che ricorderò per sempre».
Si confronterà con sua moglie Chiara per la scelta tecnica?
«Certo, come su tutto il resto. Lei è quella più lucida».
La sua impresa del 2022, al di fuori dell’atletica.
«Ce ne sono tantissime, di getto potrei dire il nuoto con il mio amico Paltrinieri, ma penso a Pecco Bagnaia che vince il motomondiale in Ducati. Dopo Valentino, uno che ha iniziato alla sua scuola, un passaggio di consegne, un testimone che non cade».
Datome, altro amico, si è appassionato agli Nft. Lei?
«Io purtroppo solo al calcestruzzo e al parquet e fino a che non ne esco non metto la testa da nessuna altra parte».
Due emergenti azzurri da tenere d’occhio nel 2023.
«Furlani, nel salto in lungo e Sibilio sui 400 metri».
La velocista Dosso lamenta che in atletica i risultati delle donne sono meno considerati di quelli degli uomini.
«Discorso complesso. Gli sport maschili hanno più seguito di quelli femminili, salvo eccezioni, è una percezione radicata nel tempo, cambia, ma lentamente».
Perché?
«Temo che il pubblico si lasci affascinare dal numero: un uomo che corre sotto i 10 secondi appassiona di più per il semplice fatto che sfida un cronometro più basso».
Come ogni anno, Coe, presidente di World Athletics ha chiuso il bilancio immaginando format, compreso un nuovo evento nel 2026, per attirare i giovani verso l’atletica. Che cosa manca?
«Parliamo di uno sport conservatore, la Nba dà spettacolo, l’atletica teme che lo show ne comprometta la serietà. Solo i 100 metri hanno avuto una presentazione spettacolare a Tokyo e soltanto lì. Bisognerebbe chiedersi ogni volta come essere intriganti. Prendiamo gli eventi in piazza, piacciono, funzionano, dare spazio a una sola disciplina premia e allora proviamo a concepire dei meeting su misura».
L’atletica dà troppa attenzione ai 100 metri?
«Ma no, l’atletica è una, pensa solo in modo antico».
Lei una gara di velocità però l’ha interrotta, non da tutti. Al coperto, a Glasgow, nel 2019.
«I giudici hanno fermato la partenza, non io. Certo, era un salto decisivo ed era più logico far aspettare 30 secondi i partenti dei 60 metri piuttosto che mettere in pausa me, già alla rincorsa. Mi hanno mostrato rispetto».