La Stampa, 2 gennaio 2023
Intervista a Giorgia
Ci sono stelle che inseguono la luce e altre che non si agitano mai, e però la luce le va a cercare. Giorgia parla e canta di rado ma brilla sempre. L’anno nuovo - impegnativo per la partecipazione al Festival di Sanremo, per il nuovo album e ovvio relativo tour - si apre imprevedibilmente nel segno del cinema: c’è una sua intrigante canzone in inglese, The First Day of My Life, per la colonna sonora di Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese, con Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea, che esce il 26 gennaio.
Cara Giorgia, dopo Gocce di memoria di Ozpetek, anche questo brano sembra avviato verso grandi ascolti.
«Ho scritto la canzone, intima e dark, con Maurizio Filardo, consulente musicale di Genovese: lui mi aveva chiamata durante la pandemia e il film è pronto ora. È un film giusto per oggi, su vita, morte e rinascita, da un suo libro. E c’è anche un mio cameo, divento una barbona dopo 4 ore di trucco, e spingo un carrello della spesa pieno di cose cantando New York New York».
E adesso è in arrivo anche Scordato, il nuovo film di Rocco Papaleo, dove lei interpreta una fisioterapista.
«Dopo qualche mese mi aveva chiamata anche Rocco, per questo film che esce a marzo. Gli ho detto di no ma lui ha insistito: è un fan, una sorta di groupie, sempre presente. Sarò Olga, fisioterapista, una tipa che un po’ mi somiglia, perché collega alle esperienze la sua parte interiore, come accade a me. Rocco mi ha allenata, mi ha fatta studiare; è di una simpatia cinica. Una persona vera, sincero sempre» .
Anche lei è una persona vera
«Mi auguro di essere così. Quel che ho fatto nella vita è stato togliere, per arrivare alla sostanza. Mi piace non perdere la prospettiva. L’umanità fa la differenza tra le persone, la capacità di sentire chi hai davanti: altrimenti i rapporti sono freddi e inutili. Quel che costruisci nella vita sono i legami, lo penso da quando ho a che fare con mio figlio, mi sono resa conto che quel che tu lasci è il legame».
Lei è troppo brava ma di Giorgia si parla poco, è la più defilata di questo mondo della nostra musica. Fa poca tv, pochi concerti, pochi dischi. È la vita che prevale sull’arte?
«E’ così. Mia madre ancora mi rompe dicendomi queste stesse cose. E io le rispondo: ho da fare. Ci tengo che mio figlio mi veda cucinare, ha 12 anni, è sano e prima che diventi indipendente sento il dovere di esserci. Non ho più vent’anni e per fare una foto decente ci metto 2 giorni, già tanto tempo se ne va così. Ma quando vado a letto la sera debbo sentire che ho fatto il mio dovere. Spesso ho saltato la promozione, non sono andata all’estero, ho mancato tante occasioni ma accetto che sia successo. Potrei aver avuto altri risultati ma ho dato la precedenza al dentro, avendo un padre con il lavoro di cantante e con i suoi alti e bassi, so come succede, l’ho visto passare dal successo al niente. E malgrado sia ambiziosa, ho fatto scelte diverse».
Come carattere somiglia di più a suo padre Giulio Todrani o a sua madre Elsa?
«Mia madre, molto orgogliosa, ha abbandonato tutte le sue attività per seguire papà; poi si sono lasciati perché lui ha avuto un figlio da un’altra: ho un fratello che ha appena 30 anni. Per fortuna papà è molto simpatico, gli perdoni tutto. Conserva una passione per il canto pazzesca, l’altra sera aveva un po’ d’influenza ma aveva anche un concerto, è salito sul palco e la sua luce era intatta. Lo invidio. Lui aveva un duo, July e Julie, sono stati anche ospiti di Sanremo. Mi diceva di lei: "Stai attenta a quella lì, è tremenda"».
Quanto ha contato che suo padre fosse un musicista?
«Moltissimo nella parte della cultura musicale, ero abituata fin da piccola a sentire Wilson Pickett piuttosto che Otis Redding o Kool&The Gang. Era il mio pusher, lui. Da mamma ho preso i cantautori. Quando papà ha capito che cantavo, gli è presa la gelosia, poi abbiamo cantato insieme, ho imparato tanto ma mi son fatta il mio gruppo, le mie canzoni come vedevo fare a lui. Ha tentato di darmi lezioni di canto ma non andavamo d’accordo e sono finita dal maestro».
Il suo scarso apparire fa capire che si trova bene nella vita privata, che moglie e mamma è Giorgia?
«Mi dicono che sono un po’ pesante, la classica che vuol avere tutto sotto controllo. Come compagna ti devi rinnamorare tutti i giorni, il povero Emanuel è devastato: sono 20 anni che stiamo insieme, è più giovane di me. Come madre, sono più madre che amica. Samuel si forma ogni giorno: ora è preadolescente, abbiamo un dialogo forte, a 12 anni è più dura. Loro sono nuovi e tu devi affannarti ad adattare le regole, a cominciare dal cellulare e dai social, gli ho insegnato a dialogare e mi dà risposte conseguenti. A volte devi essere autoritario, ma ha un bellissimo senso dell’umorismo, fa battute fin da piccolo: ci ha appena detto che ha scelto il calcio perché è l’unica cosa in cui sua madre e suo padre, ballerino e musicista, sono negati».
Suo figlio le ha detto che a Sanremo farà il tifo per Lazza.
«Mi ha spiegato che ha scelto nella lista quello che gli era più vicino. Saputo di Sanremo mi ha detto: "Ma cosa fai, dove vai?". Però mi ha anche chiesto: "quanto stai?". Ci amiamo ma non siamo smielati come me con mio padre, a 3 anni mi ha detto: "I baci sono vietati"».
Anche lei si è presa le sue libertà, con la frase «Anch’io sono Giorgia ma non rompo i c*** a nessuno».
«Purtroppo non è mia, ma l’ho condivisa solo quest’anno, un meme che girava dai tempi della famosa frase della Meloni. Nella mia totale libertà e purezza, ho detto: "Proviamoci, ci facciamo due risate". Non è che hanno riso in tanti. Mio padre era scioccato, sui social mi hanno augurato la morte. Son rimasta sorpresa che il presidente Meloni mi abbia risposto, pensava pure lei che la frase fosse mia. Mi son sentita anche lusingata, con tutto quel che ha da fare. Il romano a volte per una battuta si rovina. Uno dev’essere un po’ quello che è, sarò un’attrice comica».
Una risposta da donna libera, e direi anche con una purezza personale incontaminata dal musicbusiness.
«Direi che sono più libera di un tempo. Da ragazza ero tormentata da quel che avrebbe detto lei o il pubblico, ma nel canto sono sempre stata libera. Essere donna è sempre difficile, ma ora la cantante produce, scrive è musicista. Tutto più normale. Elisa è arrivata nel segno della libertà, mi ricordava Alanis Morissette ma anche un po’ Whitney Houston: senza di lei non ci sarebbe stata Beyoncé. Malgrado la modernità di Mina, Patty Pravo, la Berté, mi vanto di appartenere a una generazione che passi ne ha fatti. Negli studi di registrazione siamo diventate come i maschi, pensi solo a Carmen Consoli. Un giorno dissi a un boss della mia etichetta: vado in tour con Herbie Hancock; e lui: ma che ci vai a fare. Invece io sono libera, ma nel sistema ci sto».
In tour con Herbie Hancock, mamma mia.
«In concerto, lui voleva fare anche miei pezzi... Una sera a Londra ho cantato The Man I Love. Entrando avevo visto Pat Metheny, e Herbie, insomma mi sono persa. Poi ho chiesto scusa ad Hancock, e lui: ma di cosa? Stai scherzando? Se non ti perdi non cresci».
Sanremo fa sempre paura? O ansia?
«Ansia sempre, ma soprattutto per le scale, perché le mettono sempre. Il bello dell’età è che le cose le prendi più a ridere di quand’eri giovane. La vivo come una esperienza, per vedere se sono cambiata. Nel Fantasanremo, tra l’altro, se cadi dalle scale sono punti. Sanremo è andare incontro alla gente. All’inizio non l’ho preso neanche in considerazione, poi ho cambiato idea. Come quando sono rimasta incinta: pensavo di morire, volevo l’ospedale, il cesareo, ma alla fine ho fatto il parto in casa».