Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  gennaio 02 Lunedì calendario

Intervista a Erin Doom

Fabbricante di lacrime di Erin Doom è il libro più venduto del 2022. Nel modo in cui cade la neve, sempre di Doom, è nella Top Ten dei più venduti dell’anno, all’ottavo posto. Ma chi è davvero Erin Doom, pseudonimo dietro cui si nasconde una giovane scrittrice italiana che non rivela la sua identità? «La Lettura» l’ha raggiunta telefonicamente.


Chi è Erin Doom?
«Non posso rivelarlo, sono in anonimato completo: la mia identità è un argomento, diciamo così, tabù».
Come si racconta?
«Non sono brava a raccontarmi da sola. Sono emiliana, anche se ora mi sono trasferita. Diplomata al liceo scientifico, laureata in Giurisprudenza, ho meno di 30 anni. Ho trovato la strada della scrittura relativamente tardi».
È lei l’autrice più venduta dell’anno, titolo toccato in precedenza tra gli altri a Stefania Auci, Andrea Camilleri, Khaled Hosseini e J. K.Rowling. Lo avrebbe mai immaginato?
«No. Non ho mai pensato nemmeno di essere pubblicata. Dopo la pubblicazione non avevo la minima aspettativa. Non ho mai sognato questa possibilità e questa carriera. Tutto è stato inaspettato».
Facciamo qualche passo indietro, ai tempi del liceo. Era brava a scuola?
«Andavo bene. Ero più orientata verso le materie scientifiche, ma anche in Italiano ero brava. Mi piacevano i temi perché davano la possibilità di mettermi alla prova in maniera più libera e individuale. Dentro di me c’era già una voce che diceva che mi sarei divertita molto se avessi potuto scrivere quello che volevo».
Perché ha scelto di usare uno pseudonimo?
«Tutto nasce dal percorso che avevo intrapreso sulla piattaforma online (Wattpad, ndr): quando ti iscrivi scegli un nickname. Lì ero DreamsEater, nome scelto per gioco. Poi nel momento in cui ho esordito in self (Fabbricante è uscito prima in una versione auto-pubblicata su Amazon, ndr) il mio anonimato era iniziato e ho pensato di mantenerlo».
Il suo vero nome è Matilde.
«L’avevo confidato alle mie prime fan, ma se tornassi non lo rivelerei più».
Le piace alimentare il mistero sulla sua vera identità?
«È il contrario, lo faccio perché sono una persona riservata. Alla base dell’anonimato non c’è il mistero, ma il volersi proteggere. L’idea è di non volere attirare l’attenzione su di me. È anche per una questione di riservatezza, di privacy».
Non soffre di questo? Non le manca la possibilità di incontrare i lettori?
«Molto. È l’altra faccia della medaglia, quella meno gradita ma che bisogna accettare. Non ho mai potuto fare firma-copie né incontri con i fan o presentazioni. È una questione di compromessi, di capire cosa meglio si adatti all’indole di ciascuno. Al momento la scelta dell’anonimato è quella che si adatta di più a me».
Potrebbe uscire allo scoperto?
«Non lo escludo e mi farebbe piacere. Il mio editore mi lascia completa libertà. Sono una persona schiva, un animale che rifugge le folle. Vince l’esigenza di essere me stessa, ma con un piccolo mantello... Un mantello dell’invisibilità come quello di Harry Potter».
Come definirebbe i suoi romanzi? Si è parlato di «dark romance»...
«Non penso che siano dark. Solo romance. Il dark romance ha caratteristiche diverse, in parte vicine al genere erotico, che i miei lavori non hanno».
I titoli dei libri li ha scelti lei?
«Sì. Sono un po’ fuori dagli schemi: non sono in inglese e neppure concisi».
“Nel modo in cui cade la neve” è il suo primo libro?
«Il primo che ho scritto, ma il secondo pubblicato da Salani, dopo Fabbricante».
Lavora molto ai suoi libri?
«Nella prima stesura cerco di dare il massimo. Però poi ho bisogno di fare una lunga revisione. Ci sono parti da aggiustare, limare, togliere».
Quante ore al giorno scrive?
«Il più possibile. Sono molto prolissa e anche molto lenta. Non riesco a scrivere un capitolo al giorno. Leggo, rileggo, e rileggo; tutto deve filare».
Orari preferiti per scrivere?
«La notte. Perché è il momento in cui, fin dall’inizio, al di fuori degli impegni della giornata, potevo dedicarmi alla scrittura. Sempre dopo cena, è quello il momento per me di massima creatività».
Durante il giorno che fa?
«Altro. Ma ciò che è successo nell’ultimo periodo è andato oltre ogni previsione e mi sto ancora un attimo adattando».
La convince l’idea di fare la scrittrice o il fatto di non usare il suo vero nome è anche un modo per dire: domani faccio il mestiere per cui ho studiato?
«Scrivere mi fa stare bene. Sarei felice di poter fare la scrittrice. La verità è che al futuro non ho ancora pensato in maniera così definitiva».
Il terzo libro è quasi pronto?
«Non ancora, ma lo sarà in questo 2023. Ci sto lavorando, dovrei riuscirci».
Che cosa può anticiparci?
«Il genere è quello degli altri miei lavori così come il target, i giovani adulti. Racconta la storia di due protagonisti che non solo si trovano tra di loro ma trovano anche loro stessi. Per il resto si vedrà».
A proposito di protagonisti, lei come pronuncia il nome di Rigel, il personaggio di “Fabbricante di lacrime”?
«Molti pensano sia americano, invece è un nome di origine araba. Si pronuncia come si scrive. Anzi, un’amica marocchina mi ha spiegato che la g è dura ed è un suono un po’ aspirato. La forma corretta sarebbe Righel, ma per me resta Rigel».
Nel romanzo scrive: «Lo avevano chiamato Rigel, come la stella più luminosa della costellazione di Orione».
«Sì ho sempre amato tantissimo l’universo, le stelle. Quando ho scritto Fabbricante sapevo da subito che il protagonista si sarebbe chiamato così».
E quello della protagonista, Nica?
«Deriva da Nica Flavilla, una farfalla di una tonalità arancione, molto piccola: un animale che non si fa notare. Viene dalla passione che in famiglia abbiamo sempre avuto per gli animali e la natura. E si lega anche al mio pseudonimo».
In che senso?
«Erin è un nome irlandese. L’etimologia ha a che fare con natura, spazi aperti, libertà. Per me valori molto importanti».
È sempre stata curiosa del cielo?
«Sì, fin da bambina. Ma non è mai stato uno studio, solo una passione. Di notte guardo il cielo, ho scaricato delle app sul telefonino per vedere le costellazioni».
Rigel e Nica vengono da un orfanotrofio, non sono fratelli e vengono adottati dalla stessa famiglia. Rigel è cattivo con Nica: passa il messaggio della brava ragazza attratta da ragazzi che hanno un lato scuro...
«Un’interpretazione legittima. Ed è ciò che in questo tipo di libri cattura l’attezione. La protagonista di Fabbricante è molto spaventata da Rigel: lei ha una vistone del mondo molto delicata. È buona, a volte anche troppo. Per far capire che tipo è Rigel, invece, mi viene in mente la frase del personaggio del film V per Vendetta: “Io sono il frutto del male che mi è stato fatto”. Nica teme Rigel, ma riesce a vedere che sotto quella cattiveria c’è una persona speciale».
I suoi lettori come hanno accolto storia e personaggi, alla luce delle nuove sensibilità delle ultime generazioni?
«Ogni cosa suscita impressioni, giudizi e pareri diversi. Personaggi e storie sono stati accolti bene. Poi, ovvio, c’è anche chi non è d’accordo, chi ci vede qualcosa che a suo parere non dovrebbe esserci».
Come interagisce con i lettori?
«Su Instagram ho una pagina che curo personalmente fin dall’inizio».
Fanno domande e lei risponde?
«Sì, magari pubblico un post e loro commentano sotto. O mi scrivono messaggi. Cerco di rispondere a tutti».
In “Fabbricante di lacrime” cita il filosofo Michel Foucault e gli Iron Maiden: sono sue letture e suoi ascolti?
«Non ho generi musicali o filosofici in cui mi identifico. Non sono una che ascolta gli Iron Maiden ma ci sono canzoni che mi sono piaciute. Non etichetto, non faccio categorie. Questo mi porta a non avere un artista del cuore».
Tra gli scrittori ha qualche preferito?
«Prediligo il genere distopico. 1984 è un libro che ho letto quando avevo 15-16 anni e mi è piaciuto un sacco, era il primo distopico che leggevo. Poi Fahrenheit 451 di Ray Bradbury mi ha aperto un mondo. Anche il fantasy mi piace. Harry Potter è il libro con cui ho iniziato a leggere da bambina. Anche per questo da grande avere ricevuto proprio la proposta di Salani è stata una cosa incredibile. Amo anche Il Signore degli Anelli di Tolkien. Mi piacciono gli scenari in cui si può dare sfogo liberamente all’immaginazione».
E tra gli autori viventi?
«Uno che mi è sempre piaciuto molto è Alessandro Baricco. Il suo modo di scrivere e il suo stile sono meravigliosi. Sono partita da Seta e Oceano mare».
Tra le serie tv cosa ha visto?
«Sono una grande amante del Trono di Spade, visto in originale: ho apprezzato molto il modo in cui vengono raccontati in maniera molto cruda e realistica i complotti politici e i giochi di potere».
Che tipo di film le piacciono?
«Azione e thriller psicologici. Ho amato Joker. In generale mi piace provare emozioni molto forti al cinema».
Su Instagram segue Johnny Depp...
«L’ho sempre amato. È il mio attore preferito dai tempi di Edward mani di forbice. Poi nei Pirati dei Caraibi, Sweeney Todd... Ha la capacità di creare personaggi iconici in maniera camaleontica».
“Fabbricante di lacrime” diventerà un film. A che punto è?
«Non posso dire niente sul film, solo che siamo ancora alle fasi preliminari».
Chi vorrebbe nel ruolo dei due protagonisti adolescenti?
«Quando i personaggi nascono ed esistono solo nella tua immaginazione poi è difficile riuscire a prendere un volto dalla realtà e sovrapporlo alla tua fantasia».
Nei suoi libri i personaggi hanno un sentire molto profondo, qualcosa che li proietta al di là della storia stessa...
«Sì, in entrambi i libri c’è una fortissima speranza che porta a credere che la vita non sia solo quella che ti pone davanti problemi, ma che ci sia un percorso più alto. Una specie di destino, anche se questo non è forse il termine più adatto. Penso che la speranza, il credere in qualcosa di molto più forte sia un aspetto che fa parte dei mie personaggi, dei miei libri».
È una persona ottimista?
«Al contrario. La positività non fa proprio parte del mio essere. Mi piacerebbe. Quando scrivo cerco di esplorare anche aspetti che non mi appartengono».
Ha una passione per il disegno...
«Vero. Ho sempre amato l’arte e ho sempre coltivato il disegno e la pittura. Quando non sognavo di diventare scrittrice, la vena creativa la indirizzavo lì».
Come dipinge?
«Ad acquarello, meglio se alla luce naturale».
Alla maniera di...
«...nessuno. Anche se gli impressionisti mi piacciono molto».
Le copertine dei suoi libri sono molto artistiche. C’è il suo zampino?
«Sì, le ho scelte e fatte fare da una grafica, che ha realizzato le mie idee».
Sulla cover di “Fabbricante di lacrime” c’è una farfalla.
«È il simbolo della metamorfosi, del cambiamento: suggerisce che dopo un periodo buio, quello in cui il bruco fa la crisalide, possano arrivarne altri belli. Fa dire che vale la pena a volte di resistere per poter poi apprezzare momenti migliori. Se no restiamo sempre bruchi».
Ha raggiunto il successo. È contenta? Che cosa si è regalata?
«Tendo a vedere la scrittura e le carriere artistiche come precarie. Sono sempre stata con i piedi per terra. E poi mi viene da dire: chissà il prossimo libro come andrà. Il successo diventa relativo. Non sono un tipo che festeggia, le mie amiche lo sanno. Anche quando le cose vanno bene ho sempre il timore che, a un certo punto, possano cambiare verso e questo innesca un meccanismo che preventivamene mi spinge a martoriarmi da sola. Sono fatta così. Per carattere sono anche una persona molto prudente: i soldi guadagnati adesso li metto da parte per il futuro».
Come ha vissuto gli ultimi due anni?
«Ho avuto il Covid ma senza complicanze. La quarantena ha significato per molti restare chiusi in casa e c’è chi ne ha sofferto molto. Non io, sono una persona che sta molto bene da sola».
Se dovesse inventarsi una biografia del suo alter ego? Chi è Erin Doom?
«È strano, per me Erin esiste e non esiste. Mi viene difficile immaginarla come una persona con un’identità propria, un corpo, una storia. La sua biografia? Direi che Erin è una persona positiva, a cui piace molto raccontare ed è più social di me. Ma riconosco che il limite tra noi due è più labile di quello che possa sembrare».