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 2022  dicembre 06 Martedì calendario

Biografia di Ilda Boccassini

Ilda Boccassini, nata a Napoli il 7 dicembre 1949 (73 anni). Procuratore aggiunto della Repubblica presso la Procura di Milano. Coordinatore, sempre a Milano, della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda).
Titoli di testa «Sono presuntuosa. Non mi faccio condizionare dall’opinione pubblica e dai mass media. Non me ne frega niente».
Vita «Sono nata a Napoli e fino all’adolescenza ho vissuto nel rione popolare di Fuorigrotta. La vita di quartiere ha dato un’impronta decisiva alla mia infanzia: ho respirato la stessa aria dei romanzi di Elena Ferrante, condividendo anche il percorso della generazione a cui appartengono i suoi protagonisti. Il nostro appartamento era al quinto piano. Lo stabile aveva l’ascensore, ma noi bambini non potevamo usarlo […] Il mio mondo iniziava e finiva in viale Augusto» [Ilda Boccassini, La stanza numero 30, Feltrinelli, d’ora in poi IB] • «Io venivo da una famiglia di magistrati: lo era mio nonno (che non ho fatto in tempo a conoscere), lo erano mio padre e anche suo fratello, lo zio Nicola. Le mie compagne di classe – ricordo il viso di molte di loro – non provenivano dal mio stesso ceto sociale, anzi la maggior parte viveva nelle baracche, alcune già lavoravano e venivano a scuola con le mani nere di carbone» [IB]• «Mentre crescevo, osservavo con curiosità sempre maggiore mio padre che lavorava molto anche a casa: per un periodo ha fatto parte del collegio di Corte d’assise di Napoli e il suo studio – meglio, la sua scrivania – per noi era inaccessibile. Non solo non dovevamo toccare niente, ma era proibito persino avvicinarsi ai fascicoli ammonticchiati sul ripiano che papà compulsava mentre scriveva le sentenze. Ma quando lui non c’era, andavo a sbirciare, incuriosita soprattutto dalle fotografie dei cadaveri, dei luoghi in cui era avvenuto un omicidio, dei dettagli contrassegnati da cartellini con lettere o numeri. Ne ero talmente affascinata che non mi preoccupavo delle punizioni che arrivavano quando papà si accorgeva di un fascicolo fuori posto. Insomma, ero attratta in modo irresistibile da quelle montagne di carta, ma quanti incubi notturni per quelle fotografie, effettivamente poco adatte agli occhi di una bambina» • Nel 1972, incinta di Antonio, si sposa e si laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti: «Antonio giocava con i Codici mentre io studiavo per il concorso, lo portavo con me alle manifestazioni. Sulla sua culla non c’era un’immaginetta religiosa e nemmeno un poster gioioso, colorato, con disegni da bambini: c’era un manifesto con un mitra e la scritta “No al crimen politico”, riferito al golpe cileno del 1973. Antonio ha ancora quel manifesto appeso in casa» [IB] • Quando fa il concorso per entrare in magistratura, Antonio è ancora piccolo e lei s’è già separata • Superato il concorso si trasferisce a Milano, a Noverasco per la precisione • «Molto presto conobbi Alberto Pironti, un collega simpatico, bravo e affascinante che nel 1983 sarebbe diventato il papà di Alice» • In procura le assegnano la stanza numero 30: «Dentro l’ufficio non una pianta, solo vecchi mobili rimasti gli stessi per anni, tanta carta, decine di fascicoli e i crest, le piccole targhe con data e nome delle operazioni, ricevuti in dono dalle forze dell’ordine, tra cui i più cari, quelli appartenuti a Giovanni Falcone. Insomma, la mia stanza è stata – e io l’ho voluta così – un luogo di battaglia. Sono sempre riuscita a separare la casa dall’ufficio, dove ho preferito lavorare anche fino a notte fonda, lasciando che l’abitazione restasse un porto sicuro per me e per i miei figli» [IB] • In una Milano inondata dall’eroina, si occupa soprattutto di omicidi e di traffico di droga. A metà degli anni Ottanta incontra per la prima volta Giovanni Falcone. Le sembra un «papa che elargiva benedizioni ai fedeli. Mi colpirono solo i suoi occhi profondi e quella patina di malinconia che accompagnava il suo sguardo. “Comunque è un figo,” pensai». Conosce anche Sergio De Caprio, cioè Ultimo: «Cominciammo a collaborare e ne nacquero indagini importanti come la “Duomo connection”, che per la prima volta avrebbe dimostrato i collegamenti tra Palermo e le attività economiche (legali e illegali) di Cosa nostra in Lombardia. Ultimo affibbiò a tutti gli uomini della sua squadra, e anche a me, un nome in codice: il mio era Nikita». Iniziano le trasferte a Sicilia. «Costringevo Ultimo a portarmi di notte in giro per i quartieri e nelle campagne intorno: volevo conoscere a fondo i luoghi per meglio comprendere le dinamiche che da lì prendevano vita. Giovanni si arrabbiò moltissimo, perché non avevamo ascoltato i suoi ripetuti inviti alla prudenza e fu da allora che cominciò a definirmi “la mia selvaggia”» [IB] • «Quando conobbi Giovanni ero giovane, flessuosa, scattante, un viso mediterraneo, che parlava da solo con una risata oppure rabbuiandosi, una massa di riccioli rossi. Già, i famosi capelli di “Ilda la rossa”. In realtà il colore dei miei capelli è un normale castano senza infamia e senza lode, ma fin dagli anni della giovinezza mi piaceva tingermi con l’henné, un segno di libertà molto in voga tra le ragazze che negli anni Settanta tenevano alla loro emancipazione e volevano farlo vedere» [IB] • «Tra i ricordi più belli che conservo c’è il viaggio in Argentina che ho avuto la fortuna di fare con Giovanni, per l’interrogatorio di Gaetano Fidanzati, nell’ambito delle indagini condotte insieme tra Milano e Palermo. Era il giugno 1991, scrissi con molta cura la richiesta di rogatoria. Giovanni la lesse con attenzione e commentò: “Perfetta, la firmerò anch’io senza cambiare nulla”. Che soddisfazione!» [IB]• Viaggio di andata in top class: «Non c’erano altri passeggeri, eravamo soli in quel lusso rilassante, la nostra intimità disturbata solo dall’arrivo delle hostess. Rimanemmo abbracciati per ore, direi tutta la notte, parlando, ascoltando Gianna Nannini e dedicandoci di tanto in tanto ad alcuni dettagli dell’interrogatorio e ai possibili sviluppi dell’indagine. Che notte...» [IB] • All’inizio degli anni Novanta entra in rotta di collisione con altri colleghi del pool antimafia milanese e ne viene estromessa dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli. Porta comunque a termine la Duomo Connection, la sua prima inchiesta di rilevanza nazionale: «Il mafioso Toni Carollo è a Milano per lucrare sugli appalti pubblici e procede corrompendo politici e burocrati. Questa è l’ipotesi di reato, che non troverà però conferma nelle sentenze (le condanne in primo grado furono annullate dalla Cassazione, le condanne successive si limitarono ai reati di droga)» [Peter Gomez] • «Ilda procede come un treno. Macina indagini su indagini, ma fa tutto da sola. Non si fida di alcuni colleghi e non manca di sottolinearlo aumentando così le tensioni all’interno dell’ufficio. La situazione è talmente tesa che Borrelli, dopo aver assistito all’ennesimo scontro con Armando Spataro, un altro magistrato dal carattere spigoloso, la estromette dal pool che indaga sulla criminalità organizzata. Nel settembre del 1991 il procuratore scrive: “Boccassini è dotata d’individualismo, carica incontenibile di soggettivismo e di passione, non disponibilità al lavoro di gruppo”» [ibid.]• Il 13 maggio 1992 vede per l’ultima volta Giovanni Falcone. Il 23, dopo aver vegliato il cadavere dell’amico, torna a Milano e prende la parola in un’aula magna affollatissima di magistrati: tutti – ricorda – compresi «gli intellettuali del cosiddetto fronte antimafia» hanno accusato Falcone di essersi venduto quando nel 1991 aveva accettato di andare a lavorare al ministero di Grazia e Giustizia al fianco di Claudio Martelli. «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali». Ilda accusa senza mezzi termini anche quelli del pool di Mani pulite, ricordando una telefonata sconsolata del giudice ucciso dalla mafia, a cui era stata mandata una rogatoria senza documentazione: «Che amarezza, non si fidano del loro direttore degli Affari penali». Non ha mai smesso di chiedere ai colleghi una severa autocritica sul caso Falcone • «Giovanni Falcone restò solo perché era il più bravo di tutti. Io ero amica di Giovanni e ho sempre cercato di rispettarne la memoria e sono intervenuta solo quando ho visto fare scempio del suo nome, come quando Antonio Ingroia si è paragonato a lui. Dopo la strage di Capaci sono tornata in Sicilia, per me significò lasciare i figli, la minore aveva solo otto anni» (nel marzo 2015 al Mascheroni di Bergamo) • Dubbi anche sul successo mediatico del Pool di Mani Pulite (anni 1993-1994). In quel momento la Boccassini si trovava a Caltanissetta a indagare sulla morte di Falcone: «Vivevo in hotel bunkerizzati, con i sacchetti di sabbia e a proteggerci soldati che avevano l’età di mio figlio. Poi venivo qua a Milano, a salutare i colleghi, e vedevo le telecamere, i giornalisti, le manifestazioni a loro favore. Ho provato una cosa terribile. Non è l’approvazione della gente che mi deve spingere ad andare avanti, ma fare bene il mio mestiere» [IB] • Fausto Cardella, oggi procuratore generale a Perugia, che, ha condiviso con Ilda Boccassini tra il 1992 e il 1993 un anno di lavoro blindato in Sicilia: «Leggeva tutti gli atti dall’intestazione alla firma e, nel gestire i collaboratori di giustizia, mostrava una capacità di collegamenti e di memoria, che le ho sempre invidiato. Non ho mai conosciuto un collega esasperatamente garantista quanto lei» [Chiari, Famiglia Cristiana] • Nei due anni in cui, a Caltanissetta, indaga sulla strage di via D’Amelio, quella in cui furono uccisi Paolo Borsellino e i cinque uomini della sua scorta, entra in conflitto con i magistrati del posto. Soprattutto non crede al pentito Scarantino: fa avere al procuratore della Repubblica della città, Giovanni Tinebra, una lettera di venti pagine, firmata con Roberto Sajeva, in cui si dimostra che almeno 25 delle dichiarazioni di Scarantino sono palesemente inattendibili e si manifestano pesanti dubbi su come siano state raccolte e verbalizzate. I colleghi non le dànno retta. Il tempo le darà ragione su tutta la linea (anno 1994) • Una carriera piena di successi e contrasti: chiamata da Caselli a Palermo, sostiene, contro il parere del procuratore capo, che nelle indagini su Cosa Nostra è sbagliato privilegiare il filone dei rapporti tra criminalità e politica a discapito di quello sull’attività militare; rientrata a Milano, e dopo che Times ed Express l’hanno inclusa – unica italiana – tra le cento donne più importanti del mondo, le viene affidata la pratica di Renato Squillante, accusato di aver preso mazzette in margine ai processi Sme e Imi-Sir: Squillante finirà condannato a cinque anni e si salverà solo in Cassazione • Impegnata sul processo relativo al lodo Mondadori e alla corruzione del giudice Metta, la Boccassini, in tandem con Gherardo Colombo, scopre le numerose telefonate intercorse tra il giudice e l’avvocato Previti negli anni 1992-1993 • È parte attiva nell’arresto di Totò Riina, portato a termine proprio da Ultimo, e si dedica anima e corpo alla scoperta degli esecutori - e soprattutto dei mandanti - delle uccisioni di Falcone e Borsellino. In seguito, dopo un breve periodo trascorso a Palermo (chiamata da Gian Carlo Caselli, rimane nel capoluogo siciliano solo sei mesi, complici alcune incomprensioni con i colleghi e il pensiero che sia più importante dedicarsi alla Cosa Nostra militare che ai rapporti tra politica e mafia) • Si riconcilia con Gherardo Colombo. In Lombardia si occupa di Mani Pulite su richiesta di Borrelli, prendendo il posto di Antonio Di Pietro, che ha lasciato la magistratura nel dicembre del 1994 • Il 12 marzo del 1996 ordina l’arresto di Renato Squillante, capo dei gip del tribunale di Roma, dopo aver sentito la supertestimone Stefania Ariosto • Si dimette dall’Associazione Nazionale Magistrati il 20 dicembre 2007, quando il Consiglio Superiore della Magistratura le preferisce, per il posto di procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco • Nominata nell’aprile 2008 procuratore generale a Verona, rifiuta l’incarico: aveva fatto domanda per Padova, Firenze o Bologna. Il 28 maggio 2009 il plenum del Csm la promuove comunque procuratore aggiunto a Milano. Nel giugno 2013 ha nuovamente presentato domanda per la procura generale di Firenze • Incaricata del fascicolo relativo al caso Ruby, la Boccassini lo portò avanti implacabilmente fino a sentenza di primo grado. Chiesta una condanna a otto anni, ne ottenne sette (più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici). Clamorosa la sua requisitoria, pronunciata il 13 maggio 2013, nella quale si inserirono inaspettati elementi di moralismo rivolti specialmente alle ragazze che frequentavano le cene di Arcore: «La procura ritiene che è stato provato che l’imputato non solo era a conoscenza della minore età, ma ha fatto sesso con una minorenne. La storia della nipote di Mubarak è una bufala grossolana. Tutta la faccenda dimostra che era stato messo in piedi un sistema prostitutivo per il soddisfacimento dell’ex premier. Berlusconi non poteva non sapere che Ruby era minorenne, dato che lo sapeva Emilio Fede. Possiamo immaginare che una persona con cui aveva un rapporto di fedeltà come Fede non avesse detto a Berlusconi che aveva introdotto ad Arcore una minorenne? Non c’è dubbio che Ruby abbia fatto sesso con l’imputato e ne abbia ricevuto benefici. La ragazza è stata vittima del sogno italiano in negativo, quello che hanno le ragazze delle ultime generazioni i cui unici obiettivi sono entrare nel mondo dello spettacolo e fare soldi. È difficile credere che una ragazza possa avere mille euro in tasca facendo animazione, che vuol dire far ridere clienti stupidi. Ruby è una giovane di furbizia orientale. Non ha come obiettivo il lavoro, la fatica, lo studio, ma accedere a meccanismi che consentano di andare nel mondo dello spettacolo, del cinema. Al centro del sistema c’erano Fede, Mora e Minetti». Giuliano Ferrara (da destra): «Non si incappa in una espressione come quella della furbizia orientale, che di per sé sarebbe del tutto tollerabile in un racconto di vita, senza mescolare peccato e reato, concezione della vita e concezione del diritto». Ritanna Armeni (da sinistra): «Mi colpisce sempre vedere quanto puritanesimo di ritorno abbia colpito tante donne italiane che occupano posti importanti nel giornalismo, nello spettacolo, nella magistratura. Donne che si dichiarano femministe e di sinistra. Boccassini non è la prima, anche se lei ha avuto l’occasione di esprimerlo in una situazione di massima esposizione mediatica. Colpisce vedere come oramai l’obiettivo principale di molte di loro sia distinguere le donne “perbene” dalle altre che “perbene” non sono, magari perché hanno i capelli troppo biondi e occhi troppo truccati. O orecchini grandi come lampadari. Con singolare protervia vorrebbero le altre infelici e sacrificate o costruite a loro immagine e somiglianza. È mai loro venuto il dubbio che non rappresentano un modello così desiderabile? E che oramai da loro emana un inconfondibile odore di misoginia?». Piero Ostellino (liberale): «La requisitoria della signora Boccassini al processo Ruby, più che un atto di accusa nei confronti di Berlusconi, m’è parsa la condanna morale delle donne che lo avevano frequentato, trattate da puttane» • Scopre di soffrire di anemia emolitica autoimmune • Dopo l’assoluzione in via definitiva di Berlusconi nel processo Ruby, il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati l’ha difesa pubblicamente: «Difendo la professionalità a tutto tondo della collega Ilda Boccassini, attaccata reiteratamente in modo vergognoso. L’indagine era doverosa. Le stesse motivazioni dell’appello confermano il quadro probatorio e se non c’è stata la condanna lo si deve solo a una diversa valutazione rispetto al primo grado delle accuse di prostituzione minorile e concussione» • Oltre che del «caso Ruby», si è occupata della cosiddetta Calciopoli (si dice che custodisca in archivio un importante fascicolo segreto dell’indagine), di ’ndrangheta (in particolare della sua penetrazione a Milano), del caso Zambetti e del sequestro-lampo del ragionier Giuseppe Spinelli, tesoriere di Silvio Berlusconi • Assai dubbiosa sull’inchiesta relativa alla trattativa stato-mafia, critica anche sul sistema delle intercettazioni: «È evidente che le intercettazioni sono uno strumento importante per la ricerca delle prove, ma non possiamo non riconoscere che c’è stato un cattivo uso di questo strumento da parte della magistratura» • Nel marzo 2015 si è detta «preoccupata» per la riforma sulla responsabilità civile dei magistrati portata avanti dal governo Renzi: «Non si capisce perché all’improvviso si tiri fuori questo argomento vent’anni dopo il referendum. Se si sbaglia si deve pagare. Ma chi dovrà giudicare un potente contro uno che non lo è, lo farà ancora in modo sereno? In questi giorni è stato aperto un procedimento nei miei confronti dopo un esposto di un avvocato impegnato in un processo di mafia. Ho riflettuto sul fatto che un altro magistrato ha deciso di dare più credito a questo avvocato piuttosto che a me. Ecco, di fronte alla prospettiva della responsabilità civile io temo soprattutto la cattiveria dei miei colleghi» [IB] • Interpretata al cinema da Anna Bonaiuto, nel film di Nanni Moretti Il Caimano. «Dice la Boccassini che quando il pubblico ministero, cioè sé medesima interpretata da Anna Bonaiuto, scambia quel lungo sguardo con il Caimano – sono nell’aula del tribunale e il Caimano è stato condannato a sette anni e gli occhi del Caimano/Nanni Moretti sono accecati dall’odio per quella donna in toga – il cuore le è andato per aria, nel buio della sala. Un impulso inatteso. Si è ritrovata emozionata, atterrita, stupita della sua stessa angoscia. Come se davvero quell’occhiata ci fosse stata a Milano, al termine del processo. Come se davvero il suo viso fosse stato affrontato, per un breve e lunghissimo momento, dal disprezzo assoluto, dal rancore, dalla feroce inimicizia dell’imputato. Quello sguardo non c’è mai stato ma, dice la Boccassini, quei pochi secondi del film l’hanno precipitata di nuovo in giorni che vuole dimenticare» (Giuseppe D’Avanzo). Il 3 dicembre 2019 ha cessato l’incarico di magistrato. Nel 2021 in quarantena, per combattere la malinconia, ha pubblicato per Feltrinelli la sua autobiografia La stanza numero 30: «Rimarrò una combattente? Credo di sì. E queste righe vogliono dire che ho raccolto la mia ennesima sfida, perché so che il racconto della mia vita non piacerà a tanti, soprattutto a molti miei colleghi».
Titoli di coda «Molta passione. Mai serena» (L’avvocato di Berlusconi, Nicola Ghedini).