19 dicembre 2022
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Biografia di Jorginho (Jorge Luiz Frello Filho)
Jorginho (Jorge Luiz Frello Filho), nato a Imbituba (Santa Catarina, Brasile) il 20 dicembre 1991 (31 anni). Calciatore, di ruolo centrocampista. Giocatore del Chelsea (dal 2018; già Napoli, Verona, Sambonifacese) e della Nazionale italiana (dal 2016). Vincitore, col Chelsea, di una Champions League (2020/2021), di un’Europa League (2018/2019), di una Supercoppa Uefa (2021) e di un Mondiale per club (2021); col Napoli, di una Coppa Italia (2013/2014) e di una Supercoppa italiana (2014); con la Nazionale italiana, di un Campionato d’Europa (2020). Insignito dalla Uefa del Premio al miglior calciatore dell’anno 2020/2021. «Lei è nato in Brasile, eppure canta con grande trasporto l’inno di Mameli. “In quel momento mi vengono tanti pensieri e ricordi del percorso che ho fatto. Sento veramente tanto il fatto di rappresentare l’Italia: è qualcosa di grande per me”» (Enrico Currò) • «Jorginho è un brasiliano del Sud, dove fa più freddo e la mistica del jogo bonito scolora in quella del cinismo calcistico quasi uruguagio. Il trisavolo Giacomo Frello, partito nel 1896 da Lusiana, altopiano di Asiago, gli ha garantito il passaporto italiano» (Currò). «Jorginho trascorre la maggior parte della sua infanzia sulle spiagge di Imbituba, ma non è solo. A fargli compagnia c’è spesso la madre: Maria Tereza Freitas, calciatrice e trequartista di ruolo. “Mia madre giocava a pallone, e così ho imparato molto da lei. […] Mi ha portato tante volte in spiaggia, giocavo l’intero pomeriggio, e facevo pure del lavoro tecnico sulla sabbia”» (Angelo Ricciardi). «Ho imparato a calciare sulla spiaggia, ascoltando il respiro delle balene e dell’oceano. […] Sembrava un gioco, anche se l’ho preso sempre sul serio. Mia madre mi accompagnava ad allenarmi in spiaggia, vicino a casa nostra, dove il mare è più caldo e le balene vanno a riprodursi. Playa Imbituba è un luogo magico, specie per un bimbo. Ero un dormiglione: mi svegliavano il pallone e i rumori dell’oceano» (a Marco Azzi). «Lo Jorginho bambino sognava di fare l’attaccante e i suoi modelli erano goleador e fantasisti. Lui faceva il trequartista: “Quando ero bambino, guardavo più gli attaccanti: Ronaldo, Ronaldinho, Kaká. Poi, a 13 anni, ho trovato un allenatore, Mauro Bertacchini, che mi ha messo più dietro. Mi ha detto: il tuo futuro è qui. Così ho iniziato a guardare di più Pirlo e Xavi e a cercare di imparare da loro, che nel calcio hanno fatto cose grandi”» (Currò). «I genitori divorziano: la madre lavora molte ore come donna delle pulizie; il padre, già un po’ assente nell’infanzia di Jorginho, cambia città. Torna spesso, però, a Imbituba, e per un unico motivo: vedere il figlio giocare nella scuola calcio locale. “Se ne parlo mi viene un nodo alla gola”, confessa Jorginho. La sua prima scuola calcio è un trampolino importante: a 13 anni viene inserito in un progetto di conquistadores calcistici italiani, agenti e procuratori dediti alla ricerca di talenti in Sud America. Si sposta così a Guabiruba, 180 km di distanza dalla sua città natale, e la vita comunitaria con gli altri 50 ragazzi del progetto è dura: mangia la stessa cosa per tre volte al giorno, non c’è energia elettrica, troppe docce fredde e troppo fredde. Rimane a Guabiruba fino a 15 anni: grazie a quel progetto vola verso l’Italia ed entra nel giro del settore giovanile dell’Hellas Verona» (Ricciardi). «“Ricordo quel giorno come fosse oggi. Era il 2007, mi chiama un imprenditore veronese che lavora in Sudamerica. Mi propone dei giovani calciatori, gli dico che il mio club ha zero budget e se vuole può portarli in Italia”. Riccardo Prisciantelli, quei momenti, li ha stampati nella mente. A Verona è stato direttore sportivo fino al 2010. Dopo Atalanta e Triestina ha detto basta al calcio. “Giusto in tempo per regalare un futuro al Lupo”. Era il soprannome del centrocampista ai tempi delle giovanili: “Tutti gli riconoscevano la grinta di un leone, lui per me è un lupo. Non si vede spesso, in campo fa il triplo e lavora più di tutti. Per quanto ha sofferto merita il Pallone d’oro”. Jorginho arriva a Verona per il provino con gli altri piccoli brasiliani. Palla al piede, impressiona tutti: “Stavo arrivando al campo, mi chiama il massaggiatore perché aveva visto il giovane palleggiare. Era estasiato”. Il ragazzino convince, ma il club gialloblù è nelle retrovie della Serie C pronto al cambio di proprietà. Tesserare nuovi giocatori è complicato, i problemi con il passaporto fanno il resto: “Lo portavamo agli allenamenti e alle partite della Berretti. Ci è voluto molto tempo prima che riuscissimo a tesserarlo. Era quasi un infiltrato, non poteva vivere in convitto con i compagni. Lo affidai a una comunità di preti per dargli un letto e un pasto caldo”. Prisciantelli mentre racconta ha la voce rotta, un misto tra emozione e vergogna. Eppure ha fatto il massimo per alimentare il sogno di un quindicenne: “Ai monaci facevo delle offerte. Non sempre avevo soldi, una volta ho discusso con uno dei frati per dare a Jorginho da mangiare. Al ragazzo regalavo 20 o 50 euro quando potevo. Faceva lo stesso Rafael, il portiere brasiliano della prima squadra. Era l’unico modo che avevo per permettergli di studiare, imparare la lingua e giocare. Non immagino le lacrime versate nelle notti in quella stanza buia e triste. So solo che non ha mai mollato”» (Oscar Maresca). Jorginho «all’inizio resiste, ma poi ha una crisi che lo porta a voler lasciare tutto. Interviene ancora la mamma, che lo convince così: “Se lasci, a casa non torni. Devi resistere”. E il ragazzo lo fa» (Chiara Zucchelli). «Per fortuna a quell’età si è incoscienti, i sogni vincono sulle paure. La nostalgia invece non passa mai, anche se sono qui da una vita. Torno a casa appena posso. Respirare quell’aria mi dà tanta carica ed energia positiva». «Il talento c’era, ma il giocatore aveva un fisico troppo esile per la sua età: “Comprai qualche attrezzo per allestire una piccola palestra nel centro sportivo. Lui arrivava all’alba e continuava finché non lo costringevamo ad andare via”. […] Nel 2007 per cinque gare, sulla panchina della prima squadra, c’è stato anche Maurizio Sarri. “Mi chiese di portargli qualcuno dalle giovanili. Vide Jorginho e se ne innamorò: ecco perché lo ha voluto al Napoli e poi al Chelsea. Senza contratto, ogni allenamento era un rischio. Se si fosse infortunato, sarebbero stati guai. Per dargli una chance ho rischiato la carriera. Il tecnico lo voleva in gruppo, io lo inserii nella lista del pre-ritiro natalizio. Avrei fatto di tutto per lui. […] Ho sempre creduto nelle sue qualità, anche quando gli allenatori non lo mandavano in campo. Una volta bussò alla porta del mio ufficio per chiedere di giocare con gli Allievi. Gli risposi di avere pazienza e fiducia in me”. Scelta giusta. Le loro strade si sono separate presto. Qualche anno più tardi è arrivato il primo contratto da professionista. Jorginho scorre la rubrica e fa squillare il telefono di Prisciantelli: “Mi ha invitato a cena con Rafael e la sua famiglia, nessun altro. Il periodo buio era finalmente passato”» (Maresca). «Tra lo sbarco in Italia (2007) e l’esordio in Serie B con il Verona (4 settembre 2011) passano quasi quattro anni: un anno e mezzo nelle giovanili gialloblù, un prestito al Sassuolo per giocare il Torneo di Viareggio, un altro prestito alla Sambonifacese nella vecchia C2, e infine inizia ad allenarsi con la prima squadra dell’Hellas. Proprio in mezzo alle sedute di lavoro con Mandorlini conosce una delle persone più importanti della sua carriera calcistica: il portiere Rafael. Nel connazionale trova un amico sincero, un punto di riferimento stabile, forse percepisce addirittura quelle sfumature paterne ormai troppo lontane e limitate alla sua infanzia brasiliana: “Mi ha dato una mano fin dall’inizio. […] Mi ha sempre dato tanti consigli, mi diceva quello che dovevo fare e quello che, secondo lui, non dovevo fare”, dirà poi Jorginho» (Ricciardi). «Conquista il centrocampo degli scaligeri nel 2011, in Serie B. Nel 2013 gioca 41 gare in campionato e guida l’Hellas alla promozione in A. Il 24 agosto 2013 contro il Milan fa il debutto nella massima serie, poi a gennaio 2014 passa al Napoli e ci resta fino al 2018 (160 presenze, sei gol). Quell’estate si trasferisce in Premier, al Chelsea. Vincendo un’Europa League con Maurizio Sarri (che lo aveva allenato a Napoli) e una Champions con Thomas Tuchel» (Salvatore Riggio). «Appena prende il passaporto italiano, scarta in fretta la Seleçao, perché dice sì alla chiamata dell’Under-21 di Mangia per l’amichevole del 13 novembre 2012 contro la Spagna. Senza debuttare, però. Dovrà aspettare più di 3 anni e il primo dei suoi 4 ct: Conte, il 24 marzo del 2016, gli regalò l’ultimo minuto nell’amichevole, ancora contro la Spagna. E, a seguire, altri 23 nel test contro la Scozia. Entrò tra i pre-convocati per Euro 2016, ma poi fu escluso e rimase a casa» (Ugo Trani). «Ventura – qualche merito al ct reprobo va pur riconosciuto – […] lo sdoganò in via definitiva, dopo il fugace esordio con Conte: Tite, il commissario tecnico del Brasile, non lo riteneva degno delle amichevoli della Seleçao con Giappone e Inghilterra, così in quel fatal novembre 2017 Ventura riuscì a cooptare alla causa italiana il venticinquenne discendente del trisavolo paterno Giacomo Frello da Santa Caterina di Lusiana, provincia di Vicenza» (Currò). «Jorginho diventa titolare in Nazionale proprio nella notte più amara. A Milano, il 13 novembre del 2017, la promozione di Ventura e, con lo 0-0 nel play off di ritorno contro la Svezia, la bocciatura dell’Italia. Addio mondiale, niente Russia 2018. Fuori dopo 60 anni» (Trani). «Esordire con la maglia dell’Italia è stata una felicità enorme. Ho provato a prendere la parte buona anche di un’esperienza negativa. Ma ho ancora la pelle d’oca ripensando al momento in cui ho cantato l’inno di Mameli. Mi è passato davanti il film della mia vita: mia madre, le balene e i sacrifici fatti per arrivare a San Siro». «Spente le luci a San Siro, non la sua. Da quella sera si è preso la maglia azzurra. E se l’è tenuta stretta. […] “Solo all’inizio ho avuto qualche dubbio tra l’Italia e il Brasile. Ma una volta presa la decisione non mi sono pentito neanche per un secondo. Nemmeno nella notte di Italia-Svezia. Perché amo questo Paese”, ha raccontato nella pancia dell’Olimpico dopo aver centrato la qualificazione a Euro 2020. […] La svolta […] il 10 ottobre 2018 a Genova, nell’amichevole contro l’Ucraina di Ševčenko. Quella notte viene ricordata perché fu provata la formula senza centravanti con Bernardeschi, Insigne e Chiesa nel tridente. È, invece, fondamentale perché a Genova è nato il centrocampo azzurro: ai lati del play, ecco Barella a destra e Verratti a sinistra. Sono i titolari. […] Mancini, insomma, consegna l’Italia a Jorginho» (Trani). Ai Campionati europei 2020 (disputati però, causa pandemia, nel 2021) «Mancini gli ha affidato subito le chiavi del monolocale da cui dirige le operazioni a centrocampo, separandosene solo per l’ultimo inutile quarto d’ora di Italia-Galles: e così la nostra linea mediana è diventata la più forte d’Europa in un tempo incredibilmente breve, all’incirca lo stesso che è servito a Thomas Tuchel per trasformare la nona classificata della Premier League nella squadra campione d’Europa. La crescita verticale degli Azzurri e dei Blues pare avere lo stesso fattore: Jorge Luiz Frello Filho» (Giuseppe Pastore). «Wembley, 6 luglio 2021. L’Italia affronta la Spagna nella semifinale degli Europei. […] Mancini abiura alle sue idee, abbassa il baricentro e raggiunge stancamente i rigori, in una partita in cui Dani Olmo è stato un incubo per Jorginho. Stavolta l’ex Napoli è l’ultimo rigorista. […] La foto di Unai Simón, seduto prima ancora che il regista azzurro colpisca la palla, è destinata a diventare un classico della storia della nostra Nazionale. […] Jorginho […] è l’idolo di stampa e tifosi. […] Qualcuno reclama addirittura il Pallone d’oro in caso di vittoria agli Europei» (Emanuele Mongiardo). «L’esecuzione perfetta di Jorginho dagli 11 metri ha fatto il giro del mondo. Il centrocampista […] ha realizzato il rigore decisivo che ha eliminato la Spagna dagli Europei e regalato alla Nazionale la quarta finale dopo quelle del 1968, 2000 e 2012. Il gioco di Roberto Mancini passa dai suoi piedi, dalla sua tecnica» (Riggio). Se l’11 luglio successivo l’Italia riuscì a vincere la finale contro l’Inghilterra (4-3) nonostante il calcio di rigore tirato da Joginho fosse stato parato da Jordan Pickford, poche settimane dopo altri due suoi rigori falliti avrebbero avuto conseguenze fatali per la Nazionale, allora impegnata nella fase di qualificazione ai Campionati mondiali del 2022. Il primo episodio avvenne il 5 settembre, con il calcio di rigore lanciato da Jorginho e parato da Yann Sommer nella sfida di andata Svizzera-Italia (0-0); il secondo il 12 novembre, nella partita di ritorno Italia-Svizzera, «penultima gara del girone di qualificazione. Si gioca all’Olimpico di Roma. Segna Widmer, pareggia Di Lorenzo. Ma al 90’ l’Italia ha una grandissima occasione. Sul dischetto, con coraggio, si ripresenta Jorginho. Rincorsa, tiro: sopra la traversa. Cala il gelo nella capitale. Per il centrocampista del Chelsea è il terzo penalty di fila sbagliato con la Nazionale. Ed è quello più pesante. Perché il 15 novembre, a Belfast, l’Italia pareggia 0-0 contro l’Irlanda del Nord e la Svizzera vince 4-0 con la Bulgaria e vola in Qatar. Per la Nazionale c’è lo spettro degli spareggi, già fatali nel novembre 2017 contro la Svezia [altrettanto fatali poi quelli del marzo 2022 contro la Macedonia – ndr]» (Riggio). «Nell’1-1 contro gli elvetici […] il regista del Chelsea ha vissuto una serata da dimenticare, al di là del rigore fallito clamorosamente. Ha sofferto l’intensità della mediana a due del ct Yakin composta dall’atalantino Freuler e da Zakaria, […] non riuscendo mai a trovare la posizione giusta in mediana e finendo per sparire. L’errore dagli undici metri, poi, non fa altro che peggiorare la situazione, anche perché apre un tema che pareva non riguardare la Nazionale. Il ventinovenne di Imbituba, […] infatti, ha fallito gli ultimi tre rigori calciati in azzurro, nonostante fosse considerato tra i più grandi (se non il più grande) rigoristi del mondo» (Federico Strumolo). «C’era una volta lo specialista, Jorginho. […] Jorginho rigorista azzurro si è fermato a Wembley. […] Fugge l’attimo, alto il pallone. Il peccato è non credere nella propria decisione (che sia la logica “tiro forte e vicino a quel palo lì” o la scapricciata “mo’ je faccio er cucchiaio”). Il calciatore non lo capisce, di aver perso il tocco. Ha il coraggio perverso dell’insistenza. Tocca all’allenatore evitarla. Mancini è stato perfetto fin lì, stesso confine: Wembley. Poi ha perso, anche lui, quel tocco spiazzante, l’audacia della diversità: è facile essere differenti dal passato altrui, ma non dal proprio» (Gabriele Romagnoli). Pochi giorni dopo, Jorginho risultò terzo nella graduatoria del Pallone d’oro 2021, dopo Lionel Messi e Robert Lewandowski • Divorziato, due figli dall’ex moglie e uno da un’altra donna. «È finito al centro del gossip per il matrimonio in crisi con Natalia (mamma dei primi due figli), il presunto flirt con una traduttrice del Chelsea e la storia con Catherine Harding, ex dell’attore Jude Law, mamma del suo terzo figlio» (Zucchelli) • «Importantissima per lui è stata la conoscenza di Sarri, che gli ha insegnato a prendersi cura del suo corpo con particolare attenzione all’alimentazione, visto che Jorginho è un amante della pasta e della pizza» (Zucchelli) • «Un’altra passione, per lui, è quella della moda. Veste Dolce & Gabbana, Jorginho: ha una passione per i marchi italiani ma non ha uno stile eccentrico, anzi piuttosto classico e ricercato, con qualche eccezione» (Zucchelli) • «Il mio gioco è […] basato […] sul fare passaggi che aiutino la squadra a rompere lo schieramento delle squadre avversarie. A volte sembra un passaggio banale, invece non lo è, perché prepara quello successivo» • «Il limite più evidente di Jorginho è il fisico. Non solo per la corsa e le sue possibilità in fase difensiva, ma anche per quanto riguarda la fase di possesso. […] Ha capito, però, che non servono muscoli in eccesso per piegarsi sul bacino e far forza sulle gambe. A volte basta solo leggere in che direzione corre l’avversario: mal che vada, ci si guadagna una punizione» (Mongiardo). «Nella natura stessa del suo talento c’è lo studio della semplicità. Il rapporto che ha con la ricerca del compagno libero è straordinario: Jorginho vede la linea di passaggio come un enigma e per risolverlo usa la strategia più lineare. È una sfida intellettuale: trovare sempre la soluzione più semplice per risolvere un problema. […] Il colpo di piatto di Jorginho come il rasoio di Occam» (Ricciardi). «Ha una qualità formale e un controllo della partita assoluti, che non s’imbastardiscono mai in una soluzione dalla distanza o in un’apertura parabolica buona per una compilation su YouTube» (Pastore). «Passaggi brevi, smarcamento rapido e attitudine naturale al pressing» (Currò) • Per la sua vocazione di regista dell’azione di gioco è soprannominato «il Professore» («Mi fa ridere questa definizione. Io non mi sento professore: mi fa piacere che mi ascoltino») e «Radio Jorginho». «Parla moltissimo in campo, guidando i compagni come il più classico dei cosiddetti allenatori in campo: “È una cosa che mi viene naturale. La comunicazione è veramente molto importante, durante la partita. Io vedo le cose da dietro e cerco di dare informazioni a tutti: nel mio ruolo questo è fondamentale. In effetti finisco la partita senza voce: fa parte del gioco. La mia intenzione è di aiutare tutti”. Il ruolo, in Sudamerica, ha una definizione specifica e una tradizione lunghissima: il volante» (Currò) • «Aspettiamo ancora un po’ di anni. Potrei anche fare l’allenatore a fine carriera, ma vediamo: poi, di vita privata, non ne hai più».