27 dicembre 2022
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Biografia di Ian Buruma
Ian Buruma, nato a L’Aia (Olanda) il 28 dicembre 1951. Saggista e orientalista naturalizzato britannico. Esperto internazionale delle culture orientali, in particolare di quella giapponese, nonché di letteratura cinese e di cinema giapponese.
Titoli di Testa «È quello che Hazlitt ha definito “il critico del luogo comune”, colui che cerca la verità fra gli estremi» [Meotti, Foglio]
Vita Suo padre, Sytze Leonard “Leo” Buruma, era un avvocato olandese e figlio di un ministro mennonita, e sua madre, Gwendolyn Margaret Schlesinger, una britannica di origini ebreo-tedesche, sorella di John Schlesinger, il regista di Un uomo da marciapiede • I suoi nonni materni durante la guerra danno rifugio a 12 bambini ebrei scappati dalla Germania • Sua madre appassionata violoncellista dilettante, che adorava Brahms, muore a soli 43 anni di tumore • «In entrambi i rami della mia famiglia c’è sempre stato un grande interesse per le arti e la musica, avere due culture alle spalle mi ha permesso di guardare oltre i confini nazionali» [ad Angelo Aquaro, Rep] • Ha studiato cinese all’Università di Leida – si laurea in letteratura e storia cinese nel 1975 – e alla Nihon University Tokyo prosegue gli studi post-laurea in cinema giapponese dal 1975 al 1977 • Negli anni Settanta lavora anche come attore nella compagnia di Kara Juro e come ballerino nella compagnia Dairakudakan • Poi si reinventa fotografo. In A Tokyo Romance. A Memoir, London, Atlantic Books, 2018 ricorda un servizio nel teatro di Minami-Senju. Dopo una giornata di lavoro venne invitato assieme al suo amico Graham in un resort fatiscente per rilassarsi con spettacoli, cibo e alcol. «Ma il pezzo forte della serata doveva ancora arrivare. Quando fu il momento di immergersi nel grande bagno comune, uomini e donne si tolsero gli abiti estivi e invitarono anche Graham e me a entrare. La sala piastrellata aveva un odore sulfureo di uova marce. Il monte Fuji dipinto sulla parete era mezzo nascosto dal vapore che saliva dall’acqua rovente. Dopo esserci velocemente lavati, io e Graham entrammo cauti nel bagno, con tutti gli occhi puntati addosso. Stavo pensando che difficilmente avremmo potuto essere più immersi nel Giappone profondo, quando un’improvvisa esplosione di risate fragorose increspò le rughe dei volti campagnoli che avevamo intorno. “Guarda il pisello!”, strillò una delle signore più anziane immerse nell’acqua. “Guarda che pisello, gli stranieri!”. “Ce l’hanno più grosso di te, nonno!”, gridò una donna robusta che avrà avuto almeno ottant’anni. Diversi signori raggrinziti sorrisero timidi. “E quanto sono bianchi, i gaijin!”, esclamò una terza signora, come se in vita sua non avesse mai visto nulla di più grottesco. “Proprio come il tofu”» • Negli anni Ottanta vive per sette anni a Hong Kong. È qui che ha iniziato il suo lavoro giornalistico • Inizialmente scrive principalmente di Asia. Lo fa per The New York Review of Books e per il Guardian • Dal 2003 al 2017 è professore di democrazia, diritti umani e giornalismo al Bard college di New York • «Giornalista olandese trapiantato a Londra e a New York, principe della sinistra culturale benestante ebbra di post moderno e di equivalenza morale» [Meotti, cit.] • Scrive diversi trattati sul Giappone ma non solo: «Ha scritto anche un libro importante sul caso Theo van Gogh, Morte ad Amsterdam, ma in cui giunge a esiti comici, e tragici, ovvero alimenta il discorso sulla “islamofobia” come causa di quell’omicidio strategico nel nord Europa multiculturale» • Nel 2008 riceve il Premio Erasmo: «È cittadino di un mondo nuovo, in cui i confini di tutti i tipi sono trascesi, dove persone di culture diverse lavorano insieme per sperimentare lo scambio economico e culturale intrinseco» • Buruma, con Avishai Margalit (il fondatore di Peace Now), ha legato il suo nome al libro Occidentalismo, un atto d’accusa globale contro l’occidente, il degno sequel di Orientalismo di Edward Said. E nel Taming the gods, Buruma auspica “una generosa interpretazione della tolleranza che abbracci dottrine illiberali”. E fra queste, con il dio in minuscolo e declinato al plurale, Buruma ci mette dentro tutto, i cristiani battisti del sud americano come gli islamisti che lapidano adultere. Sul Corriere della sera, Buruma aveva già paragonato gli evangelici americani ai jihadisti salafiti. Come ha scritto Steven Menashi della Georgetown University, “Buruma concepisce la democrazia come una politica del dubbio, svincolata da qualsiasi ‘verità assoluta’ (per non parlare di verità evidenti). Questo rende impossibile per lui sostenere il primato morale della democrazia come sistema politico tra gli altri sistemi politici. La democrazia, secondo Buruma, richiede una rigorosa neutralità per quanto riguarda le idee in competizione non solo del bene, ma anche della realtà”» [Meotti, cit.] • Nel 2016 pubblica un libro sulla storia dei suoi nonni The promised land • Nel 2017 è direttore della New York Review of Books. Angelo Aquaro su Repubblica: «Adesso chi glielo spiega a Tom Wolfe, l’inventore dei radical chic, che la New York Review of Books, la rivista che lui stesso definì “l’organo principale” della sinistra intellettuale, è pronta a far scrivere sulle sue leggendarie colonne anche le teste più calde della destra? “Perché no”, dice Ian Buruma, sessantacinque anni, il nuovissimo responsabile del magazine fondato mezzo secolo fa da Barbara Epstein, la donna che lanciò in America il Diario di Anna Frank, e Robert Silvers, il direttore che l’ha guidata fino alla sua scomparsa nella primavera scorsa, chiamandoci a collaborare il gotha della letteratura da Truman Capote ad Aleksandr Solženicyn» • «La sfida più grande, adesso, è “dover andare in redazione tutti i giorni”. Pentito? “La prima reazione è stata l’emozione, la sfida. La seconda: ma che ho fatto? Lascio una vita diciamo comoda, scrittore freelance, accademico part- time, per prendermi la responsabilità di dirigere un magazine che è una specie di leggenda”» • Lei è uno scrittore che ora fa il direttore: come la mettiamo? «Se un direttore aspira a essere uno scrittore si mette in competizione, c’è quel retropensiero che lo porta a pensare: farei meglio io. Fossi stato un po’ più giovane, il rischio c’era: ma qualche libro l’ho scritto anch’io, e onestamente non mi vedo in competizione con gli scrittori che edito» • Sedici mesi dopo, per avere pubblicato un articolo di Jain Ghomeshi, conduttore radiofonico canadese processato per abusi sessuali, si dimette: «Non è ironico? Volevo dedicare una copertina al caso degli uomini che sull’onda del movimento MeToo, anche se non sono stati condannati dalla legge, sono stati falciati dai social. E ho subito la stessa sorte: stanno mettendo alla gogna anche me» • «La scelta di dargli la parola [a Ghomeshi, ndc] era stata discussa in redazione e decisa, dice Buruma, col consenso dell’editore Rea S. Hederman. Che nel frattempo ha cambiato idea: “Non mi ha licenziato” chiarisce l’ex direttore “mi sono dimesso io. Ma essermi sentito in dovere di farlo è già una sconfitta. Ho capitolato davanti alle pressioni dei social e degli editori universitari che minacciavano di boicottare la rivista spaventati dalla reazione nei campus, dove la questione molestie è incendiaria”» [Anna Lombardi, Rep nel 2018] • Oggi lei pubblicherebbe il pezzo che le è costato il posto? «Sì, senza nessuna esitazione» [ad Antonio Monda, Rep, 2020] • In Italia i suoi articoli appaiono regolarmente sul quotidiano la Repubblica dal 2017 • Da ultimo ha pubblicato The Churchill Complex • «Buruma vive in un appartamento nell’Upper West Side a New York, in un edificio ecologico, con pannelli solari ed energia eolica e annessi pavimenti in bambù. L’Observer ha definito il palazzo “borghese post coloniale”» [Meotti, cit.]
Amori In prime nozze ha sposato Sumie Tani, con cui ha avuto una figlia. In seconde, l’intellettuale giapponese, Eri Hotta.
Titoli di coda «Sono un figlio del Vecchio Mondo che vive nel Nuovo».