Robinson, 31 dicembre 2022
Intervista a Virginia Raffaele
è stato un tempo in cui Virginia Raffaele, l’attrice dai mille volti, non ne aveva nemmeno uno.«Facevo la comparsa, mi dicevano: inutile che ti trucchi, tanto non ti si vede. InBodyguards ero la controfigura di Cindy Crawford, Megan Gale e Anna Falchi. Avevo lo stesso abito da sera, la parrucca, ma niente trucco e orrende scarpette da ritmica. Non ero la controfigura, ero contro la figura, una cosa brutta». Qualche mese fa si è ritrovata sul set con una collega stunt di quelle con cui si appendeva ai palazzi, trent’anni dopo era la sua controfigura: «Mi ha ricordato di quando le confidavo i miei sogni, incontro emozionante».A 42 anni la carriera di Virginia Raffaele è in un momento perfetto (lei, scaramanticamente, preferisce «fortunato»). Ha vinto il premio Duse per il teatro, apre l’anno televisivo danzando con Roberto Bolle su Rai 1 e quello cinematografico con Fabio De Luigi inTre di troppo. Lui: «Il talento di Virginia sta su tutto», e lei fulminea: «Come il nero». Nella commedia targata Warner sono una coppia senza figli che si gode la vita tra balli e sesso ma – per l’anatema di un’amica con prole a cui hanno distrutto una festa – si ritrova come in certo cinema inglese a risvegliarsi nel lettone con tre figli e una difficile sopravvivenza da genitori.È il primo ruolo da protagonista.Con De Luigi è nata una coppia cinematografica?«La nostra sintonia è assoluta quanto naturale, se io dico che ho mal di testa lui ha appena preso la tachipirina. Stessi tempi comici.Fabio è un grande professionista che conserva tutte le fragilità umane, anche questo abbiamo in comune: il rassicurarci, farci forza. Ci accumunano la sensibilità da comico e una profondità malinconica».I personaggi attraversano mille disastri. Com’è stato il set?«Un caos disumano e allegro, più complicato man mano che cala l’età dei bimbi. Mi sono ritrovata con un neonato in braccio che piangeva e Fabio che si sbracciava per farlo ridere, tirandosi giù i pantaloni…».È un film che celebra la scelta di essere genitori. Che non vale per tutte le donne.«Certo, non è una cosa che vale per tutte. Per quanto mi riguarda non c’è una strategia o punti fermi in materia, dipende da quello che ti propone la vita e quello che tu senti di poter fare. Il concetto, banale, è quello che una donna si può sentire completa e felice, anche se non ha figli, se non li desidera o non arrivano. Poi ci sono donne che invece soffrono nel non averli. Non c’è una risposta assoluta, una presa di posizione».Che zia è lei?«Acquisita, nel senso che il figlio di amici mi chiama zia. Vorrei esserci di più e mi faccio perdonare con regalini, ma spero di approfondire. Con i bimbi e animali mi rilasso, hanno quella purezza che riesce a riportare le cose al giusto valore».Parlava di fragilità. Quali le sue?«Come ogni attore dipendo dalla reazione del pubblico, una risata decide la tua giornata».È vero che agli inizi dava di stomaco dietro le quinte?«No. Mi capitò di avere febbre enausea, ma di non mollare la scena.E, appunto, stare male fuori scena e sorridere sul palco».Leggenda vuole che abbia una memoria prodigiosa e che impari le battute altrui.«Cominciai a teatro con Carlo Croccolo, facevo la figlia rapita, dicevo due battute e inizio e fine spettacolo: «papà». Allora avevo imparato tutto il copione e lo recitavo in playback dietro il sipario per i tecnici. Uno spettacolo».In “Samusà” lei domina il pubblico in modo assoluto.«Sul palco ho imparato a muovere lo spazio grazie al ritmo che il pubblico mi restituisce. Respiro con lui, percepisco quando rallenta e quando posso accelerare, tenere una pausa o chiudere. Sensazione meravigliosa, mai scontata».La immagino in uno dei costumi tra il circense e l’avanspettacolo circondata, come Wanda Osiris, da colleghi-boys: la gavetta con Lillo e Greg, il video pandemico con Checco Zalone, “LOL” con Corrado Guzzanti, il film con De Luigi.«Lillo e Greg sono stati i primi a credere in me, radio e teatro, è quasi l’ora di celebrare i nostri vent’anni.Con Zalone siamo amici, ci vediamo nelle serate in casa, lui suona la chitarra, io canto. Ricordo la prima volta che venne a vedermi al Petruzzelli, poi andammo a cena con lui e un amico. Poi ci raggiunsero cinque suoi amici, lui dovette andare dalla moglie incinta che non stava bene e se ne andòlasciandomi a cena con cinque sconosciuti. Un bel battesimo. Con Corrado avevo lavorato ma ritrovarci aLOLè stato fantastico. La mia risata finale è liberatoria, ma è anche un omaggio commovente a un gigante.Nello show di Bolle faremo un omaggio a Monica Vitti. Pazzesco».Che bambina è stata?«Allegra, credo. Far ridere era già importante. Alleviare i pensieri degli altri, provocare una risata mi regalava benessere, mi pareva di fare del bene, di avere un superpotere».Appartenere al mondo dei giostrai le ha dato uno sguardo altro rispetto a dinamiche più borghesi?«Assolutamente sì. Sono nata e cresciuta al banco di un Luna park, con un contatto diretto con chiunque, dal grande attore al politico, alla prostituta, l’uomo che uscito dal carcere. È stato il primo palcoscenico e il binocolo a infrarossi per cercare le anime delle persone.Quando venivano al banco dovevicapire da pochi dettagli, fisici o verbali se avrebbero giocato, se potevi insistere, scherzare col cliente oppure no. E quindi già lì alleni a un certo tipo di empatia e di abitudine a mettere a proprio agio l’altra persona e a essere accogliente».Il momento più difficile della sua carriera, in cui ha dubitato di farcela?«Ogni giorno mi metto in discussione. Ho fatto una lunghissima gavetta, a diciott’anni macinavo provini, andava male».Com’era Virginia diciottenne?«Decisa. Mi padre mi accompagnò con il book fotografico, sono vintage lo so, oggi c’è Instagram, a un’agenzia di pubblicità e di cinema. Il tizio mi disse “ma lo sai che fare questo lavoro è tanto tanto difficile”. Papà dice che lo folgorai “ma io lo voglio fare” con una determinazione negli occhi e nella voce spaventosa. Capì che non avrei mai mollato. Del resto lo sapevo da quando avevo cinque anni, sono cresciuta con mia nonna che faceva le macchiette dell’avanspettacolo per tenermi compagnia a casa. Non ho mai pensato di fare un altro lavoro. Mi sono posta il limite dei trent’anni».Il piano b?«Aprire un bar in Costa Rica».La nuova generazione comica èfatta di belle donne.«Il comico bruttino e buffo appartiene al passato, e c’era già Monica Vitti. La bellezza non è un ostacolo. Se non ti vergogni di imbruttirti e ti vivi con ironia, anche vestita glamour resti cosciente di come sei dentro e una risata riesci a strapparla».Una serata storta sul palco?«In una delle ultime repliche diSamusà c’è stato il black out a teatro durante un monologo, ho pensato e detto: Che poi non è male al buio, no?».Il grande sogno?«Continuare a vivere di questo lavoro, fare cose che mi esaltino, riempiano. Non deludere il pubblico, aggiornarmi restando fedele al mio gusto e al mio istinto».Sanremo, un film, un nuovo spettacolo a teatro. Dove la porta il cuore?«Dove c’è il mio lavoro. Ho fatto radio, tv, teatro, doppiaggio. Mi piace variare, se Dio lo permette».Che rapporto ha con le feste di fine anno.«Del Natale mi piacciono le lucine, Capodanno mi mette malinconia.Per questo lo trascorro con il pubblico».C’è bisogno di far sorridere oggi?«Sì, c’è bisogno di una leggerezza non superficiale. Ma non è facile. Se penso alla guerra, alle persone che soffrono e muoiono faccio fatica, ma ci provo: mi piace regalare serenità».