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 2022  dicembre 31 Sabato calendario

Rileggere Giuseppe Pontiggia


Mi capita spesso di pensare, in questi tempi, di fronte a tanta narrativa di modesta qualità o di pseudo consumo, e di fronte a un certo imbarbarimento nell’uso corrente, scritto e orale, della nostra lingua: «Ma che cosa ne direbbe il Peppo?». Dove Peppo sta per Giuseppe Pontiggia, perché così chiamavano in casa e gli amici l’autore di opere come Il giocatore invisibile, o Il raggio d’ombra, o Nati due volte, che purtroppo se ne è andato, prematuramente, quasi vent’anni fa, nel 2003, a neppure 69 anni. Una figura speciale nel nostro mondo letterario, essendo stato importante narratore e saggista, ma anche consulente per editori come Adelphi e Mondadori, attento a ogni espressione sulla pagina della nostra bella lingua, in prosa, naturalmente, ma anche, e regolarmente, in versi. In quest’ultimo senso ricordiamo che fu al fianco di Marco Forti nella conduzione dell’Almanacco dello Specchio, che fin dai primi anni Settanta proponeva novità di autori affermati e di giovani, italiani e stranieri.
Il suo ingresso nel mondo delle lettere era avvenuto ben presto, in un rapporto anche stretto con autori della sperimentazione anni Sessanta, come Antonio Porta, per non citarne che uno a me particolarmente caro. E infatti l’esordio di Pontiggia era avvenuto già nel 1959, con la pubblicazione di La morte in banca cinque racconti e un romanzo breve, nei Quaderni del Verri, che era la rivista dell’avanguardia di allora. Un libro che fu poi ripubblicato, nel ‘79 e nel ‘ 91, da Mondadori, aggiornato e ampliato. Ogni sua opera ha avuto il pregio di una sorprendente originalità, come L’arte della fuga, uscito per Adelphi nel 1968 (e riedito in una nuova versione nel 1990), che resta un vero e proprio esempio – rimasto pressoché unico – di non programmato superamento dei generi. Un testo di brevi capitoli in prosa, tra narrazione e poetica essenzialità espressiva. Un’uscita in età ancora giovane, seguita da un silenzio d’autore di dieci anni, in cui la sua figura non era però certo scomparsa, vista l’acuta e professionale presenza competente in campo editoriale. Proprio in quel tempo avevo avuto la fortuna di incontrarlo ed esserne amico, sempre ammirandone la cultura apertissima e libera e il vivo senso della parola, tanto che in vari casi di personale dubbio linguistico mi rivolgevo a lui per un consiglio. E che dire della sua passione, divenuta proverbiale, proprio per l’oggetto libro? La sua biblioteca di oltre trentamilacinquecento volumi ne era la più tangibile prova.
Poi, nel 1978, Pontiggia riappare, fortunatamente, pubblicando Il giocatore invisibile, un romanzo giocato sull’idea di un personaggio misterioso che attacca il professore protagonista, mettendolo di fronte a una realtà nuova, in cui il nemico invisibile è esterno, ma in fondo anche interno, come lo è l’ignoto che può turbare la quotidianità. Ma decisiva è l’abilità, la netta incisività di stile e scrittura dell’autore, il cui carattere, in questo senso non verrà certo smentito nelle opere successive. Ed è qui necessario ricordarne la passione e competenza in materia di letteratura dal classico al moderno, come si vede dalla sua attività saggistica, di cui un importante esempio è un volume come Il giardino delle Esperidi uscito nel 1984 e poi ampliato nell’edizione 1988, in un procedere spesso vicino a quello della scrittura narrativa, con testi su Sallustio o Plutarco, ma anche su Palazzeschi e Pessoa. Ma la sua attenzione ai classici si concretizza in opere come I contemporanei del futuro ( 1998) e I classici in prima persona (2006).
Nel 1989 esce La grande sera, che gli vale il premio Strega, dove torna il tema del mistero nell’umana esperienza, con la sparizione di un professionista, evento drammatico che genera angoscia in chi rimane, spingendolo a meditare sulla propria condizione, su se stesso. Un libro che sottilmente produce anche tratti di satira sociale, sempre nell’impeccabile conduzione dello stile propria di Pontiggia, la cui opera, anche per questo ci arriva come un irrinunciabile classico del Novecento. E a proposito dell’insieme del suo lavoro, ricordiamo la pubblicazione delle Opere, nei Meridiani Mondadori (2004) con un saggio introduttivo di Daniela Marcheschi.
Ma confermando la varietà e l’apertura dei suoi orizzonti di scrittore, ecco la felice sorpresa, nel 1993, realizzata nei racconti di Vite di uomini non illustri (1993), biografie immaginarie di anonimi personaggi, appartenenti a un’epoca che va da fine ‘800 a inizio 2000. Il gusto, tutto di Pontiggia, per il paradosso ci porta a vicende di figure inventate ma raccontate con il taglio normalmente utilizzabile per uomini invece illustri... Ulteriore movimento in una direzione totalmente nuova avviene con Nati due volte ( 2000), che si svolge come racconto in prima persona di un padre, che parla del suo rapporto con un figlio disabile. Nati due volte, appunto, coloro che vengono al mondo già colpiti dalla sorte: la prima, impreparati a esistere, la seconda vissuta come una rinascita attraverso l’amore e l’intelligenza degli altri. E in questo romanzo l’autore realizza con naturalezza un notevole coinvolgimento emotivo nel lettore.
Raffinato maestro di piena consapevolezza espressiva, Pontiggia aveva anche tenuto corsi di scrittura molto seguiti, ma in effetti tutta la sua articolata opera è davvero esemplare: per chi cerchi, appunto, di realizzare un lavoro in proprio, ma soprattutto ci arriva ampio e variegato, nella sua interna coerenza, come risorsa pressoché inesauribile per chi chieda ancora alla pagina un’alta qualità letteraria e culturale.