Il Messaggero, 31 dicembre 2022
Ritratto di Giorgio Gaber
Alcuni suoi versi sono rimasti nei nostri modi di dire, e di essere. «Quasi quasi mi faccio uno shampoo» è tra i più popolari. Poi ci sono quelle canzoni che ci piace ascoltare quando proviamo il desiderio di volare alto senza doverci necessariamente rivolgere ai poeti francesi: «Vorrei essere libero come un uomo» (La libertà). Nei giorni in cui ci sentiamo malinconici o smarriti, ci diciamo che anche a noi «fa male il mondo». In un certo senso, Giorgio Gaber non è mai morto, come tutti gli spiriti inquieti, romantici, geniali e sferzanti che la letteratura musicale (e teatrale) ci ha donato. Il suo corpo però si è chiuso su sé stesso esattamente 20 anni fa. Era il 1° gennaio del 2003. In quel preciso momento del tempo, Giorgio Gabersich (questo il suo nome di battesimo) aveva soltanto 64 anni.
L’AMICO
«Non me l’aspettavo né ero pronto» dice Paolo Dal Bon, suo storico collaboratore, oggi presidente della Fondazione Giorgio Gaber. «Per me, e non solo, è stato maestro di arte, pensiero e di vita. Insieme, abbiamo fatto più di 1500 repliche di spettacoli teatrali. Era un uomo attento e generoso. Ogni sera, dopo lo spettacolo, apriva il suo camerino a tutti, restando a parlare fino a tardi. I custodi dei teatri erano disperati». Per celebrare i vent’anni dalla scomparsa del grande artista milanese, la fondazione Gaber ha predisposto una maratona in free streaming, con l’intento di offrire «a chi lo ama ma anche ai più giovani che non lo conoscono, la possibilità di vedere, dalla mezzanotte di oggi fino alle ore 24 di domani, sul sito e sul canale YouTube della stessa fondazione, una lunga sequenza di 24 ore, senza ordine cronologico», di 30 anni di teatro-canzone con il Signor G., fino a gli spettacoli degli anni Ottanta e Novanta registrati nei più importanti teatri italiani. Speciale anche su Rai Storia domani alle 16, per la serie Italiani. «Spettacoli come Far finta di essere sani, Libertà obbligatoria, Polli d’allevamento, Per oggi non si vola, registravano e sublimavano in tempo reale gli accadimenti del presente. Gaber si è sempre interessato a quello che accadeva intorno a lui. Per me è un classico, così come lo è Dante Alighieri» continua Paolo Dal Bon.
Sandro Luporini, il suo indivisibile autore, ha dichiarato in una recente intervista di essere consapevole del fatto che «a differenza dei cinquantenni, i ragazzi di oggi non ci conoscono». Eppure il segno lasciato da quella generazione di artisti che si è formata a Milano in un’epoca in cui tutto sembrava possibile, è tangibile. Se questo Paese è ancora in grado, pur in una forma più residuale, di esercitare la critica senza scegliere la strada punitiva e moralistica, lo si deve proprio a figure come Giorgio Gaber, Dario Fo, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, Franco Battiato, amici e sperimentatori che riuscivano a dire cose anche dure in maniera lieve. Dalle illusioni del Sessantotto al rapimento Moro, Gaber ha saputo registrare, nel suo stile elegante, poetico, sorridente e insieme severo, le contraddizioni e le ipocrisie della classe politica e intellettuale italiana. «Si, è vero, è stato anche accusato di qualunquismo, ma lui non se ne preoccupava. Alla fine, tutti quanti, da destra e da sinistra, hanno ammesso che era lui ad avere ragione perché prevedeva quello che sarebbe successo» continua Paolo Dal Bon.
IL GENERE
Letteralmente inventato da Luporini e Gaber negli anni Sessanta, il teatro-canzone si impose come forma di teatro impegnato e insieme ludico, riuscendo nel difficile compito di parlare delle questioni sociali con una composizione ibrida, che fondeva monologo, canzone, un uso artistico della luce e un dialogo costante, senza censura ma sempre civile, con lo spettatore in sala. Ogni anno, grazie al lavoro della fondazione, di cui è vicepresidente Dalia Gabersick (figlia del cantautore e di Ombretta Colli), si riuniscono nuovi talenti attorno alle due manifestazioni Milano per Gaber e il Festival Gaber (in Versilia). «Però non possiamo assolutamente parlare di eredi. Gaber è ancora molto presente. È lui a dettare la linea estetica» precisa Dal Bon. Tra gli artisti che si sono avvicinati al repertorio gaberiano, Andrea Mirò (pseudonimo di Roberta Mogliotti, 55 anni, compagna di vita di Enrico Ruggeri) che nell’ultimo anno ha portato in giro per l’Italia Far finta di essere sani: «Nel passato, avevo creato uno spettacolo in cui avvicinavo Giorgio Gaber a George Brassens» racconta Mirò. «E ora, con Far finta di essere sani, affrontiamo la questione della normalità e della follia. Per scrivere quello spettacolo, Luporini e Gaber vollero incontrare Basaglia. Oggi a chi interessa la sorte di chi sta dall’altra parte del cancello?».