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 2022  dicembre 31 Sabato calendario

Pensioni pagate nel 2021: 22,7 milioni. Stipendi? 22,5 milioni

Più pensioni che stipendi. È l’Ufficio studi della Cgia di Mestre a scegliere questo titolo per fotografare lo squilibrio che sta generando il calo demografico: il numero delle pensioni erogate, pari a 22,7 milioni, ha superato quello dei lavoratori, dipendenti e autonomi, che in totale sono 22,5 milioni.
Uno scarto di 205 mila unità a livello nazionale – si legge nel rapporto – che è determinato soprattutto dal trend nel Mezzogiorno, dove gli assegni pensionistici hanno superato i lavoratori di 1,2 milioni di unità, mentre nelle altre Regioni, con eccezione della Liguria, dell’Umbria e delle Marche, la situazione è ribaltata.
Le elaborazioni della Cgia su dati Istat e Inps, tuttavia, vanno contestualizzate. Il confronto, infatti, viene fatto tra il numero delle pensioni, non dei pensionati, e quello degli occupati. Due platee,quindi, differenti perché il numero delle prestazioni pensionistiche non combacia con quello dei beneficiari: al 31 dicembre del 2021, come si legge in un report dell’Istituto di statistica, le prestazioni concesse sono state infatti pari a 22,7 milioni mentre i pensionati erano poco più di 16 milioni.
I lavoratori, dunque, sono più dei pensionati, 22,5 milioni contro 16 milioni. Ma, al di là della contestualizzazione dei dati, dall’indagine della Cgia emerge una tendenza chiara: la popolazione in età lavorativa si sta sempre più riducendo a fronte di un aumento dell’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. «Tra il 2014 e il 2022 – si legge in un passaggio dello studio – la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento)». Gli effetti di questo squilibrio sono molteplici. L’associazionedegli artigiani e delle piccole imprese si sofferma, in particolare, sul contraccolpo per alcuni settori economici: una società costituita prevalentemente da anziani «rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo». Chi, al contrario, potrebbe beneficiarne sono gli istituti di credito perché, spiega sempre il rapporto, gli anziani hanno una maggiore predisposizione al risparmio e dovrebbero quindi mettere più soldi in banca.
La grande questione è però la sostenibilità della spesa pensionistica. L’anno scorso è esplosa: 313miliardi, 1,7 punti percentuali in più rispetto al 2020. Rappresenta il 17,6% del Pil. Anche le previsioni dell’Istat mettono in luce il rischio cui sta andando incontro il sistema: nei prossimi trent’anni si passerà da un rapporto di 3 a 2 (tre in età lavorativa e due in età di non lavoro, pensionati o under 14) a uno schema 1 a 1, cioè uno in età di lavoro e uno in età di non lavoro. Sarà l’Italia del 2050, quella che anche l’Ocse ha inquadrato nella stessa prospettiva. Il rischio è ancora più preoccupante: non un rapporto 1 a 1, ma più pensionati o comunque over 50 fuori dal mondo produttivo, che lavoratori.