Corriere della Sera, 31 dicembre 2022
FdI cresce ancora: 31,7%
Lo scenario politico di fine anno fa registrare la tenuta del consenso per il governo e la premier: l’indice di gradimento dell’esecutivo flette di un solo punto (da 55 a 54), mentre quello per Giorgia Meloni rimane stabile a 58. La legge di bilancio rappresentava un importante banco di prova per il governo, tenuto conto che veniva elaborata a poche settimane dall’insediamento, con il rischio che potessero emergere dietro front rispetto alle recenti promesse elettorali e tensioni tra i partiti della maggioranza, che pure non sono mancate; ebbene, non accenna a diminuire l’apertura di credito espressa da quasi un italiano su due.
L’apprezzamento per l’operato della premier si riflette anche sugli orientamenti di voto che vedono aumentare il vantaggio di FdI, oggi stimato al 31,7%, su tutte le altre forze politiche. Il M5S, dopo aver scavalcato il Pd un mese fa, consolida il secondo posto con il 17,6%, mentre i dem fanno segnare un’ulteriore flessione (-0,9%) attestandosi al 16,3%. A seguire, la Lega con il 7,8% (+0,5%) e Azione/Italia viva (7%) che sorpassa Forza Italia (6,2%, in calo di 0,6%). Nel complesso il centrodestra ottiene il 46,8% delle preferenze e si mantiene stabile rispetto a fine novembre (+0,1%), mentre il centrosinistra subisce un ulteriore calo (-1,4%) e scende al 22,1% (-4% rispetto alle politiche).
Conte si conferma al primo posto nella graduatoria dei leader con un indice di gradimento pari a 32, seguito da Salvini (27), Berlusconi (24) e Calenda (22, in crescita di 2 punti rispetto a novembre); da segnalare il calo di Fratoianni (-3) e Bonelli (-2), raggiunti da Renzi a quota 16.
L’anno appena trascorso è stato molto denso di cambiamenti, soprattutto nell’ambito del centrosinistra dove per diversi mesi fu ipotizzata un’ampia alleanza (il cosiddetto «campo largo») che, peraltro, secondo i sondaggi risultava assai competitiva; la fine del governo Draghi ha indotto un cambio nelle strategie dei partiti: il perimetro del centrosinistra guidato dal Pd si è ridotto, l’alleanza tra Calenda e Renzi ha dato origine al Terzo polo e il M5s, rinunciando alle scelte degli anni passati, ha deciso di posizionarsi nell’area progressista. Ed è stato un anno all’insegna della volatilità delle preferenze degli elettori, basti pensare che a gennaio Pd (20%), Lega (19,7%) e FdI (19,5%) erano separati solo da 0,5%, il M5s era al 15,9% (ma a fine luglio era precipitato all’11,3%) e Forza Italia si attestava al 9,2%. Il dato più rilevante ha riguardato il centrodestra che mantenendo nel corso dei mesi un bacino elettorale sostanzialmente simile, ha registrato un significativo travaso di voti da Lega e FI a favore di FdI.
La volatilità non accenna a diminuire nemmeno dopo le elezioni del 25 settembre, infatti l’analisi dei flussi elettorali mostra significativi spostamenti nelle scelte degli elettori. Il partito guidato da Giorgia Meloni tre mesi dopo il voto può contare su l’elettorato più fedele (87,9% di chi votò FdI alle politiche oggi confermerebbe il proprio voto) e sulla più elevata capacità di attrarre nuovi elettori che provengono soprattutto dall’area dell’astensione (13,6%) e dagli alleati del centrodestra (4% da FI e 3,4% dalla Lega), e in misura minore dal Terzo polo (1,6%), dal Pd e dal M5S (1,4%). La Lega può contare sulla fedeltà del 72,1% dei propri elettori ma non riesce ad arginare il flusso verso FdI (12,4%) e l’astensione (10,5%). Inoltre, FI e Noi moderati hanno un elettorato meno fedele (65,5%) e più sensibile al richiamo di FdI (14%). Passando ai partiti dell’opposizione, le difficoltà del Pd stanno generando disorientamento e delusione in una parte dei propri elettori, un quinto dei quali (19,7%) dichiara di essere indeciso su chi votare o di volersi astenere, e gli altri elettori in uscita risultano più propensi a votare per il M5S (3,8%) o un’altra forza di sinistra (1,9%) rispetto al Terzo polo (1,5%); da notare anche il 2,4% dei dem che salta sul carro del partito vincitore. L’apprezzamento per le scelte di Conte trova conferma nell’elevato tasso di fedeltà degli elettori pentastellati (84,5%) e dall’attrazione di astensionisti (il 16,1% degli attuali elettori alle politiche si era astenuto). Quanto al Terzo polo, quasi quattro elettori su cinque (78,6%) dichiara di voler confermare il proprio voto e l’orientamento di coloro che cambierebbero la propria scelta privilegerebbe FdI (6,4%), mentre il 2% voterebbe Pd e l’1,9% Forza Italia. E tra i voti in entrata si conferma la maggiore provenienza dal Pd (4,1%) e dalle altre forze del centrosinistra (2%) rispetto ai voti provenienti dal centrodestra (nel complesso 2,2%). Da ultimo l’area del non voto che, come sappiamo, ha toccato il livello più elevato di sempre nelle elezioni legislative (39%, considerando oltre agli astensionisti anche le schede bianche e nulle): la stragrande maggioranza di costoro (81%) conferma la volontà di disertare le urne, mentre tra coloro che esprimono una preferenza le prime tre forze politiche sono, nell’ordine, FdI (6,7%), M5S (4,4%) e Ps (3,2%).
I democratici
In attesa delle primarie di febbraio il partito guidato da Letta cala ancora: 16,3%
L’attitudine degli elettori a cambiare il proprio voto complica molto la vita dei partiti che possono contare sempre meno su blocchi sociali stabili con i quali interagire e di cui rappresentare le istanze. Ad esempio gli operai e i lavoratori esecutivi, storicamente rappresentati dai partiti di sinistra, da tempo privilegiano il voto a destra ed oggi per il 39,1% dichiarano di voler votare per FdI, mentre il Pd (erede della tradizione di sinistra) si colloca al quarto posto con il 9% dei consensi; e, per rimanere nell’ambito del Pd, si è fortemente attenuata la connotazione che si era affermata negli ultimi anni, ossia quella del primo partito tra i laureati, le persone più abbienti e i residenti nei quartieri cittadini più ricchi (da cui la sarcastica definizione «partito-Ztl»): l’erosione del voto dem da parte del Terzo polo ha riguardato prevalentemente questi elettori, con il risultato di far perdere al Pd il primato tra costoro a vantaggio di FdI. Un altro esempio riguarda i ceti produttivi (imprenditori e autonomi) che insieme alle casalinghe costituivano i principali riferimenti di Forza Italia e oggi si sono trasferiti in FdI, mentre il partito di Berlusconi è retrocesso al quinto posto con il 9,1% tra gli imprenditori e i dirigenti e il 6,4% tra gli autonomi e al quarto posto tra le casalinghe con l’11,1%; oppure ancora i cattolici, spesso rincorsi dai leader di partito come se rappresentassero un gruppo sociale coeso, portatore degli stessi valori e degli stessi interessi: oggi il partito più votato dai praticanti è FdI (32% tra gli assidui e 37,4% tra i saltuari), mentre alle Europee del 2019 fu la Lega, alle Politiche del 2018 il M5S e alle Europee del 2014 il Pd, non diversamente dall’elettorato nel suo complesso, a conferma del fatto che la fede rappresenta un frammento dell’identità che convive con altri frammenti (tra cui la politica). Insomma, la questione è capire «chi rappresenta chi», ed è una questione decisiva per la definizione della proposta politica nonché delle modalità comunicative con cui entrare in relazione con il proprio elettorato attuale e potenziale.
Dunque FdI risulta il primo partito presso tutti i segmenti sociali con poche eccezioni, rappresentate dagli elettori più giovani (18-34 anni), dagli studenti, dalle persone di condizione economica bassa, dai disoccupati e dai residenti nelle regioni del Sud e isole. Presso costoro il M5S rappresenta la forza politica più votata, seguita da FdI. Il partito di Giorgia Meloni risulta quindi molto trasversale: prevale tra gli imprenditori e i lavoratori autonomi, ma anche tra gli impiegati, gli operai, le casalinghe e i pensionati, come pure tra i laureati ma anche tra coloro che hanno la licenza elementare o nessun titolo, tra i cattolici praticanti ma anche tra i non credenti.
La trasversalità rappresenta sicuramente un punto di forza, che fa di FdI un partito interclassista, ma in prospettiva può rappresentare un elemento di debolezza perché non è sempre facile trovare un punto di equilibrio tra le esigenze contrapposte che i diversi gruppi sociali esprimono, soprattutto in una congiuntura complessa come quella attuale.