Corriere della Sera, 30 dicembre 2022
Intervista a Fabio Rovazzi
Non c’è il videoclip. Non ci sono feat. Non è estate. Eppure c’è Fabio Rovazzi. Il non cantante, non rapper, non influencer, non attore-regista, non conduttore, ma ha fatto tutto questo, torna alla musica che gli ha regalato la popolarità nel 2016 con «Andiamo a comandare». Da Capodanno sarà in radio il nuovo singolo «Niente è per sempre» (sulle piattaforme dal 3), brano dove la dance da tormentone lascia spazio a un pop melodico accompagnato da un testo che legge con ironia i tic della contemporaneità.
Ha sempre detto che le canzoni erano scuse per fare la regia dei video e questa volta niente immagini...
«Vorrei fosse un brano solo da ascoltare. Non ci sarebbe un valore aggiunto nello spiegare con immagini quello che raccontano le parole. E poi i video non vanno più. Anche se uno lo avevo in mente...»
Ce lo racconta?
«Nell’intro c’è l’inquadratura di un vinile che gira, la telecamera va su di me e sulla prima frase vengo investito da un auto. Da lì in poi camera fissa sull’asfalto e il testo che scorre come un lyric video».
Un Rovazzi invernale?
«È un brano con un testo conscious, che si pone delle domande: non sarebbe adatto all’estate. Il testo è una cartolina del momento. Viviamo una fase storica incredibile e sono stupito dal fatto che nelle canzoni di oggi nessuno racconti di nulla. E allora lo faccio io».
«Il panino ha troppa salsa/ Chissà come si sta in Ucraina». Sono i social, la foto al ristorante e subito dopo quella della bandiera della pace?
«Sono stato in Moldavia con l’Unicef. Ho visto code di profughi in auto che potrebbero essere le nostre. È gente che ha perso tutto. Tornato a casa mi sembrava che i problemi di cui mi parlavano gli altri, tipo “sai cosa mi è successo oggi sul lavoro” fossero nulla. Le priorità sono altre».
«C’è qualcuno che si ammazza/ Ho la soluzione in tasca/ Non chiamo l’ambulanza, filmo». L’omicidio di Civitanova l’ha colpita?
«Quello come quello di George Floyd in America, come lo stupro di Piacenza ripostato da Meloni... Chi filma pensa di denunciare, ma in realtà non sta facendo nulla».
«Dell’elmo di Scipio nessuno sa niente». Patriottico?
«Questa mi è venuta in mente sentendo l’inno di Mameli a un moto Gp. Ho iniziato a chiedere a tutti quale fosse il significato e nessuno lo sapeva. E allora sulla copertina ho messo l’elmo in un prato, abbandonato».
Lei conosce il significato?
«Simboleggia l’Italia che torna a combattere. Il senso che voglio dargli è quello della perdita delle nostre origini, di quello per cui siamo famosi nel mondo».
Scivola a destra?
«Non mi schiero. Dobbiamo riscoprire ciò per cui siamo diventati forti. Al di là di qualche auto, il made in Italy non è più oggetto di desiderio, si sta estinguendo. Dall’eleganza che ci distingueva siamo passati ai bomber».
Indossa una felpa e un cappellino di brand streetwear...
«Non punto il dito, sono il primo».
Tra le altre cose che non durano per sempre cita Achille Lauro e Boss Doms.
«Ci hanno accompagnato in questi anni come stelle lucenti e vedere un Sanremo senza loro farà effetto. Ma avrei potuto mettere i Thegiornalisti o altri».
Anche Rovazzi e Fedez?
«Al concerto di Salmo a San Siro ci siamo dati un bacino. Un piccolo ma grande passo. Per il futuro vedremo».
Tornando a Sanremo, ha mandato il brano ad Amadeus che l’aveva voluta come conduttore dalla nave?
«Ne abbiamo parlato, ma la mia carriera è iniziata con un “non sono un cantante” e mi sembrerebbe strano andare al festival della canzone. Poi non amo i live anche se prima o poi ci dovrò pensare... Ho bisogno di imparare veramente a cantare. In studio ho rifatto tutto mille volte, ripetendomi quanto facesse schifo la mia voce. Alla fine però mi sono trovato a mio agio con me stesso e con la voce e non ho sentito bisogno di un feat. Volevo essere proprietario delle parole al 100%. Con questa canzone ho ritrovato soddisfazione nel fare musica. Mi ha dato tutto e me ne stavo dimenticando. Voglio fare più musica rispetto al passato».
Cosa non è per sempre nella sua vita?
«A parte le persone che non ci sono più e di cui ho parlato in passato (il papà e i nonni, ndr), i momenti spensierati dell’infanzia, quelli in cui non ti rendi nemmeno conto di essere felice. Lo capisco rivedendo i video dei giocattoli che desideravo allora».