La Stampa, 29 dicembre 2022
Intervista a Nino Frassica, ingabbiato dal Covid
È a casa, ingabbiato dal Covid. «Poca voce e un po’ di febbre». Dove altri avrebbero approfittato per fare gli ammalati, Nino Frassica rimpiange di non essere a teatro. E nel mentre scrive nuovi articoli per «Novella Bella». «Il virus non mi ha bloccato». Il rimpianto maggiore è essersi perso Maledetti amici miei. Il ritorno, spettacolo con Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Giovanni Veronesi, che è in scena all’Ambra Jovinelli. «Tre repliche, poi a Natale mi sono scoperto positivo». Il format è ispirato all’omonimo programma tv. «In scena siamo noi stessi, amici di vecchia data che non smettono di essere dei ragazzi, malgrado l’età. Con molta autoironia chiacchieriamo a ruota libera di noi e del nostro mondo». A sostituire Frassica, ora c’è Beppe Fiorello. «Mi salta anche il Capodanno in tv con Amadeus...». Guarirà giusto in tempo (spera) per qualche data in Sicilia e tornare a «Che tempo che fa» il 15 con le nuove cose che sta scrivendo per la pseudorivista di pettegolezzi che è rubrica fissa al tavolone di Fazio. «Novella Bella» ha avuto un tale successo da avere generato un libro. «Tutti quelli che ho scritto sono ispirati a ciò che faccio in tv». Non l’ultimo, uscito da poche settimane: Paola. Una storia vera (Mondadori Electa) è un romanzo. «Ne è protagonista una donna – la cui foto di copertina tanto mi assomiglia, ma solo per caso – e le persone della sua vita. La vera novità non è tanto nella struttura, quanto nel fatto che per la prima volta non riprendo situazioni o cose della tv. Lo stile però è sempre il mio. Non mi pongo il problema di quale messaggio trasmetterò alla nazione. I mio obiettivo è solo strappare la risata». Malgrado l’assenza di riferimenti al Nino Frassica attore, nel libro si possono trovare citazioni e omaggi. Su tutti quello a Totò e Peppino e la... malafemmina: «Noio volevam savuar...». «Totò è il faro di tutti i comici – spiega –. Tutti ne siamo innamorati. Non sarei il comico che sono se non lo avessi studiato fin da ragazzo». Ne ha ricevuto come un imprinting secondo solo a quello della famiglia. «Tutti hanno questo dono in casa: spiccato senso dell’umorismo e visione ironica delle cose. Mio padre, gli zii, mio fratello. L’unica differenza è che, mentre per loro era un optional e si sono accontentati di quel palcoscenico che è il bar del paese, io da lì sono partito per andare a studiare le radici della comicità lontano da casa».La svolta nella sua vita, si sa, arrivò con Renzo Arbore che gli diede una prima particina in FF.SS.. Tutta la banda di quel film si sarebbe ritrovata a Quelli della notte: Frassica, quasi una new entry, avrebbe sfondato con frate Antonino da Scasazza dal «cuore toro» e dal linguaggio improbabile e infarcito di strafalcioni.Altro incontro fondamentale per Frassica è stato quello con Don Matteo, di cui è una delle colonne. La quattordicesima stagione verrà registrata a maggio: è la prima senza Terence Hill. «Il pubblico ha assorbito bene il terremoto del cambio con Bova. Io un po’ meno: dopo tanti anni Terence Hill è diventato qualcosa di più di un semplice compagno di lavoro. Ne sentirò la mancanza». Amici più recenti sono il Mago Forest, Valerio Lundini e Maccio Capatonda. «Parliamo la stessa lingua, proveniamo dallo stesso pianeta».Oltre a 260 episodi di Don Matteo, l’attore siciliano ha un curriculum di centinaia di titoli. L’alto e il basso non lo hanno mai fermato: ha fatto Baaria di Tornatore e dimenticabili cinepanettoni, film a episodi, serie e miniserie. «Se mi pento di quello che ho fatto? Di parecchi, a distanza di tempo. Ma ciascuno al momento aveva un suo perché. In genere economico. Più un film era brutto e più mi facevo pagare. Per un film che so bello bello, sono disposto a lavorare gratis: sono le soddisfazioni che ti ripagheranno. Tra le categorie del cinema: il brutto con tanti soldi, si può fare; il brutto con pochi, no di sicuro. I miei colleghi che negano questo paradigma, o mentono o si mangiano le mani. E poi, anche se li faccio, che male c’è? Anche i film brutti hanno i loro estimatori. La mia carriera ne potrebbe essere danneggiata? E chi non fa errori?».Un’ultima riflessione la dedica al tempo che passa (è nato l’11 dicembre 1950). «Già quando ho compiuto i 70, ho detto che non me li sentivo, e molto mi seccava che me li ricordassero. Ora, due anni dopo, non mi riesce proprio di capirli ’sti anni che passano. Mi sento rimasto a 35 e 4 mesi, quelli che avevo ai tempi di Quelli della notte. Una stagione inarrivabile. Arbore ha rivoluzionato radio e tv e aperto la strada a tanti, creando un genere. Molti si sono mossi nella sua scia: Mai dire gol è figlia dell’Altra domenica, la Gialappa, Bisio e Teocoli di Arbore, Benigni e Marenco». —