La Stampa, 29 dicembre 2022
Intervista a Laura Morante
Un affare di donne, in cui gli uomini si illudono di scegliere e, in realtà, sono scelti, in cui pensano di poter manipolare e, alla fine, capiscono di essere solo strumenti nelle mani sapienti di alcune signore invincibili. Le esperienze d’amore, anche quelle che, all’epoca, hanno provocato sofferenza, tornano sempre utili e Laura Morante, che nel film di Nicolas Bedos Masquerade Ladri d’amore (nei cinema con Lucky Red), è Giulia, proprietaria di un ristorante sulla Costa Azzurra capace di consigliare ai suoi dipendenti, davanti a mance troppo esigue, di «sputare sulle patatine», lo sa bene: «Interpreto una donna cui gli uomini non hanno reso un buon servizio e che, per questo, cerca la sua rivalsa. La troverà nella complicità con una ragazza molto giovane, grazie al loro patto raggiungerà la completa indipendenza dal mondo maschile». Nel film, sotto il sole della Costa Azzurra, recitano, con Morante, che parla mescolando italiano e francese, Pierre Niney nei panni del gigolò e ballerino mancato Adrien, Marine Vatch in quelli dell’irresistibile truffatrice Margot, Isabelle Adjani nelle tenute appariscenti di Martha, stella offuscata del cinema che fu: «A differenza di quello che faccio in Masquerade – rivela Morante – nella vita non sono affatto brava a portare maschere. Nella realtà le usiamo per nasconderci, per non mostrare chi siamo veramente, mentre in scena, per un attore, le maschere servono a svelarsi di più».
Che cosa le è piaciuto del personaggio di Giulia?
«Più che altro mi ha attirato il regista, Bedos, una persona totalmente fuori dal coro, un autore con una visione e con riferimenti cinematografici non scontati, lontani da quelli che vengono in genere attribuiti alla categoria degli autori. I suoi film non sono naturalistici, realistici, non parlano di disagi sociali. Bedos ha una scrittura divertente, è uno straordinario direttore di attori e infatti adesso sto lavorando di nuovo con lui».
In un film?
«No, in una serie tv che si chiama Alphonse e di cui sono stati già acquistati i diritti per l’Italia. Recito con Jean Dujardin e anche stavolta devo indossare una parrucca che mi invecchia perché interpreto sua madre, una mamma che lui non ha mai conosciuto».
Non è la prima volta che i registi le chiedono di dimostrare più anni, che effetto le fa?
«Non mi turba per niente, anzi la trovo una cosa buffa, anche se, certo, l’ideale sarebbe fare entrambi, personaggi della mia età e altri più adulti. E comunque travestirmi, interpretare storie in costume, mi diverte molto, è un modo per vincere la timidezza, per accentuare l’elemento ludico del mestiere. Recitare diventa ancora di più un gioco, il distacco dalla realtà è più marcato».
È attrice, ma anche regista affermata. Quando tornerà dietro la macchina da presa?
«Posso dirlo chiaramente. Tornerò a fare la regista quando mi daranno i soldi per riuscire a dirigere il mio terzo film che è già scritto, pronto per essere girato. È una commedia amorosa, non posso svelare il titolo, però, sulla trama, posso anticipare che è ispirata in parte a uno dei racconti del mio libro “Brividi immorali"».
Che cosa cerca in questo momento dal suo lavoro?
«Forse, più spesso di quando ho iniziato, mi capita di essere all’origine dei progetti. Per molti anni venivo sollecitata dai registi, non avevo spazio per affermare il mio punto di vista. Da un certo momento in poi mi sono divertita a inventarmi delle cose. Ho scritto sceneggiature e un testo teatrale che interpretato, mi diverto nell’essere un po’più padrona del mio destino professionale».
Le donne sono sempre più nel mirino, basta pensare a quello che sta succedendo in Iran, ma anche, per esempio, alle sentenze americane in tema di aborto. Che cosa ne pensa?
«Come potrei non essere al fianco delle donne iraniane che combattono contro le violenze del regime del loro Paese? È chiaro che lo sono. Quanto alle sentenze degli Stati Uniti, la risposta è ovvia, penso che l’aborto debba continuare a essere libero. Tra l’altro, in generale, sono sempre stata molto insofferente nei confronti di qualunque tipo di obbligo, costrizione o divieto che non sia giustificato dal rispetto verso il prossimo».
È nella seconda stagione della serie “A casa tutti bene”, regia di Gabriele Muccino. Un intreccio di segreti, tragedie, tensioni familiari all’ennesima potenza. Le famiglie possono essere così letali?
«Una volta mi hanno chiesto che cosa penso delle famiglie arcobaleno. Sa che cosa ho risposto? La famiglia tradizionale è stata un tale disastro che peggio di così non potrà andare...penso che quelle arcobaleno saranno sempre meglio». —