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 2022  dicembre 29 Giovedì calendario

Una notte in clausura (con un tg flash fatto da una suora)

ISOLA DI SAN GIULIO (Novara) – All’ingresso, superato lo scalone di pietra, sulla mappa di Gerusalemme un paio di calzari lillipuziani accoglie i pellegrini con una citazione dall’Esodo: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una Terra Santa». È un invito al rispetto del monastero che mi ospiterà per 24 ore, l’Abbazia Mater Ecclesiae fondata nel 1973 da Madre Anna Maria Cànopi e da sei sorelle sull’Isola di San Giulio, quando non c’era acqua potabile, corrente elettrica, riscaldamento o telefono. Un tuffo, non solo figurato, nel lago d’Orta, alla fonte di quell’amore di Cristo che queste monache benedettine rinnovano ogni giorno attraverso la preghiera, il lavoro e l’obbedienza alla Regola dettata da San Benedetto da Norcia nel 534.

Preparare la cella
La cella dove dormirò mi sembra fredda. Non quanto i corridoi e la cappella. Ma non è nulla cui non si possa rimediare aggiungendo un paio di calze, indossando una maglia termica sotto il maglione e tenendo sempre il piumino addosso (di notte le coperte sono sufficienti e comunque si può accendere un calorifero). Il primo rito è farmi il letto con le lenzuola portate da casa, così pure gli asciugamani. Le monache si erano rese disponibili a fornirmi la biancheria, ma non volevo approfittare dell’ospitalità nella loro foresteria, che si regge solo sulle offerte libere degli ospiti. La cella guarda sul Mottarone, il monte della tragedia in funivia che adesso è già imbiancato sulla cima. Ultimo piano, un armadio a muro, una sdraio, un lavandino e una piccola scrivania, sulla quale c’è una rosa appena colta dal giardino e un rametto di foglie verdissime con le bacche rosse. Poi un foglio color senape, con gli orari da rispettare per entrare nello spirito della vita comunitaria. Lo sguardo mi cade sul «Mattutino», la preghiera dei salmi, fissata alle 4.50. Dovrò puntare la sveglia alle 4.20, come le monache.
«Siamo 68, la più giovane ha 27 anni, la più anziana 90. Adesso l’età media della scelta è intorno ai 35 anni. Ormai la maggior parte è laureata: abbiamo insegnanti, presidi, economiste, avvocati, architetti, medici e infermiere», mi racconta la badessa, Madre Maria Grazia Girolimetto, 59 anni, qui da 33, eletta alla guida del monastero nel novembre del 2018, quattro mesi prima che Anna Maria Cànopi completasse il suo viaggio terreno, il 21 marzo 2019, proprio il giorno del transito di San Benedetto. «È mancata circondata da tutta la comunità raccolta in preghiera, cantando e rinnovando la promessa. Dopo, erano le 10 del mattino, abbiamo suonato le campane a festa come fosse Pasqua». Tutte le sorelle indossano il velo nero, sette lo hanno bianco. Sono le novizie, che non hanno ancora professato i voti solennemente. «Il cammino dura 9 anni, c’è spazio per il discernimento. Le sorelle vengono introdotte alla comunità, ma anche alla Regola di San Benedetto, alla vita monastica, alla sacra scrittura. Il giorno della professione solenne, il rito della vestizione avviene privatamente: la sorella si toglie gli abiti secolari e veste l’abito monastico, le vengono tagliati i capelli e la madre superiora le consegna un sassolino bianco con scritto il suo nuovo nome, scelto sotto la guida dello Spirito Santo. È quello che festeggeremo all’onomastico, con i fiori in tavola e tanti biglietti privati, deposti in una cassetta di legno».
I pellegrini
Non c’è la tivù, non c’è la radio, nessuna può avere il cellulare. I giornali, i settimanali cattolici o il quotidiano Avvenire, arrivano per posta. Di sera una sorella prende l’impegno di fare una sorta di tg flash con i fatti del giorno sui quali concentrare le proprie preghiere. L’accesso a Internet è limitato alle cose essenziali, come per esempio gestire le richieste di ospitalità dei pellegrini. Li incontrerò a tavola. Ci sono i genitori del giovane cappellano, arrivati per trascorrere qualche giorno con lui, e tre donne in discernimento vocazionale: hanno 25, trentasei e cinquantasette anni, arrivano dalla Pianura Padana, dalle colline pavesi e dalla Sicilia. Non tutti i familiari sanno di questo percorso. La più grande mi racconta la sua chiamata, nel 2017: «Stavo rientrando dal lavoro quando ho sentito questa attrazione fortissima in chiesa e ne sono uscita con i testa solo la clausura. Ne ho parlato solo con il mio parroco, che due anni fa mi ha proposto di venire qui». Indossa una gonna lunga e nera, come il maglione. Spiega: «A casa ho tante cose colorate, ma tutta quella roba è un peso. Noi donne abbiamo gli armadi pieni e poi diciamo che non abbiamo niente. Io ho scelto di vestirmi di Gesù».
Le oblate
Con noi c’è anche Stefania, 65 anni. È in pensione da tre. Avvocato, lavorava nell’ufficio legale di una banca a Novara. È sposata, ha un figlio affidatario di 26 anni e un nipotino che ha compiuto quattro mesi mentre lei era qui. Due settimane fa ha fatto l’oblazione, la promessa a seguire le regole del monastero nella sua vita quotidiana, pur restando laica. Racconta: «Era stata la madre di un compagno di mio figlio a parlarmi di questa Abbazia, in un momento di disperazione personale. C’era ancora Madre Cànopi. Ho parlato con lei e mi ha dato un po’ di luce». Suo marito la lascia fare. Alla cerimonia, però, era presente assieme al figlio, alla compagna e al nipotino.
Ora et labora
Il cibo è semplice, gustoso e abbondante. Dall’interfono arriva la voce di una sorella che legge stralci delle vite dei santi. I pellegrini possono rendersi utili in piccoli servizi, negli orari in cui anche le monache si dedicano al lavoro, dopo la colazione e dopo pranzo, ma sarebbe meglio dire dopo la Messa e il salmo di «Terza» e dopo la «Nona», perché l’architettura di ogni giornata monacale è segnata dalle preghiere: il «Mattutino» con le Lodi, alle 4.50, la messa e il salmo di «terza», alle 7.30, la «Sesta» alle 12.30, la «Nona» alle 14.45, i «Vespri» alle 17 e la «Compieta» alle 20.45, prima di andare a dormire. E così, mentre le monache si impegnano ciascuna nel suo lavoro – sull’isola ci sono un bellissimo laboratorio di restauro tessili antichi, un laboratorio di iconografia, uno di tessitura, uno di ricamo dei paramenti sacri e una piccola stamperia – gli ospiti possono pulire il giardino, spolverare, svuotare armadi, preparare sacchetti di biscotti o fare altri semplici lavori manuali. Non tutti i pellegrini sono credenti, molti vengono qui spinti dalla curiosità, dalla ricerca del silenzio, dal bisogno di conforto.
La preghiera
Ma il cuore di questa esperienza è la preghiera nella cappella, dove ci si raccoglie assieme alle monache, separati da un divisorio di legno che si apre soltanto durante la messa. Le sorelle si dispongono nel coro in ordine di anzianità monastica. I canti sono accompagnati dal suono del salterio. Sui banchi dei pellegrini, un cartoncino indica il nome di ciascuno in corsivo: nel mio la E è rossa, il resto è scritto con la penna blu. Non riesco a non chiedere alla badessa perché Dio, che può tutto, non interviene per fermare le guerre. E lei risponde: «Certo, anche a noi viene da pensare. Ma il Signore ci lascia sempre la libertà, e il male tante volte è frutto del nostro peccato. Noi possiamo associarci alla sua croce nei momenti di dolore e di buio». Ma io insisto: ha senso oggi chiudersi in un monastero, con tutte le cose che si potrebbero fare nel mondo? «C’è chi dice che la nostra vita sia sprecata, quando ci sarebbe bisogno di andare sui fronti dove imperversa la battaglia della povertà. La nostra è anzitutto una chiamata missionaria. Ma è una chiamata alla sorgente del cuore di Dio, per essere interconnesse agli altri attraverso il dono della preghiera». Oso ancora di più e chiedo se esista un tema di omosessualità femminile in convento. «Qui dentro direi di no. Ci sono state persone che si sono avvicinate cercando altro. Ma il discernimento serve a scoprire la vera vocazione, la luce che porta a una scelta per tutta la vita, senza più ripensamenti, con la consapevolezza che la comunità monastica ti sarà accanto e ti sorreggerà nel cammino. Questo per noi non è un ripiego, non è un rifugio, è una scelta di vita».
È l’ora di andare. Non ho mai acceso il cellulare, salvo prima di dormire, per rassicurare mia madre che non resterò in convento. Però sulla via del ritorno terrò spenta la radio. Per restare ancora in compagnia del silenzio che ha ristorato il mio cuore.