il Fatto Quotidiano, 29 dicembre 2022
Suore hot, piromani e prostitute. Trasgressioni nei conventi
Sotto il cielo della Lombardia, così grigio quand’è grigio, i popolani che abitavano vicino a Santa Maria degli Angeli a Pavia videro allontanarsi dall’ingresso del convento una suora e una novizia mano nella mano, Angela Aurelia Mogna e Giovanna Balcona, accompagnate dal fratello di quest’ultima. Siamo in una fredda giornata dell’autunno 1651. La Balcona era più giovane, non aveva ancora preso i voti e sotto il diluvio invernale cercò di proteggere la superiora, donna più avanti con gli anni, malinconica e malaticcia. Ma tenersi per la mano era comportamento esecrabile tanto che mille anni prima Donato da Besançon prescriveva nella sua regola monastica: “È proibito prendere la mano di un’altra per affetto, sia quando si è ferme, sia quando si siede o si cammina insieme. Colei che lo fa verrà corretta con dodici colpi”. La Mogna e la Balcona cercarono rifugio in un altro convento, spiegando in seguito di essere fuggite perché la suora era perseguitata e minacciata di morte da altre monache. Come risulterà dagli atti processuali, il conflitto era scaturito dalla pretesa della Mogna di ospitare in convento anche le nipotine della Balcona. Benché gli atti processuali siano da prendere con cautela, a causa delle condizioni del tutto sfavorevoli in cui si trovavano le imputate, pare certo che la Mogna fosse incline a perdere la testa per le novizie e dormisse da tempo nello stesso letto con la Balcona, della quale era “innamorata pazza”.
A qualche lettore italiano, cresciuto a pane e Promessi sposi, abituato a efferatezze e perversioni conventuali di alto livello criminale, le vicende raccontate da Craig A. Monson in Suore che si comportano male: storie di magia, sesso e incendi nei conventi medievali potrebbero sembrare un tradimento delle premesse contenute nel titolo e nella copertina, simile a quelle dei tabloid o di Cronaca Vera. L’autore, professore emerito di musicologia, ricostruisce e racconta cinque storie vere, che si svolgono in altrettanti conventi a Bologna, Reggio Calabria e appunto a Pavia, tra il Cinque e il Settecento, con una vivacità narrativa e una accuratezza filologica che lo rendono più simile a un Camporesi o a un Ginzburg che a un Carlo Lucarelli degli archivi vaticani.
Quello che emerge dalle sue ricerche – vite di monache emerse per caso dalla polvere mentre cercava altro – è lo spaccato di un mondo ormai estinto, dove molte donne nate in famiglie abbienti venivano allettate, convinte o costrette a prendere i voti per l’impossibilità di garantire loro una dote adeguata a un buon matrimonio. Non stupisce quindi che una volta abbandonato il mondo secolare, queste giovani cresciute tra gli agi, o comunque in una condizione privilegiata, cercassero svaghi più o meno leciti come la musica o proibiti come la seduzione delle novizie. Il sospetto saffico in particolare aleggiava intorno a loro e un ispettore in visita a un convento, appreso che una suora si chiamava Lesbia Ildebranda, le aveva cambiato immediatamente nome in un meno insidioso Maria Teresa.
Il contatto con le novizie, alle quali era vietato dormire insieme alle suore cui erano affidate, era un terreno minato anche se a volte si creavano situazioni di promiscuità assoluta. Come quella che si trovò di fronte un vescovo al convento-orfanotrofio di San Domenico in Conversano: “Per mancanza di un dormitorio separato, fanciulline vergini dormivano in promiscuità, almeno in due per letto, fra le monache adulte. Perciò il vescovo ordinò alle monache di costruire un dormitorio separato per le fanciulle: altrimenti le avrebbe mandate tutte a casa. La misura parve probabilmente più che giustificata al sacerdote, poiché per la maggior parte le monache professe di San Domenico erano convertite, cioè prostitute riformate”.
A Venezia il convento delle Convertite, che comprende la chiesa di Santa Maria Maddalena sull’isola della Giudecca, arrivò a contenere circa quattrocento “peccatrici” nel 1620. E tutte bellissime perché la loro avvenenza le rendeva più esposte al rischio di “ricadute”. Oggi, a testimonianza di una realtà ben più triste rispetto alla leggenda storica, l’edificio è un carcere femminile. In particolare dopo il Concilio di Trento il destino femminile poteva risolversi in un terribile bivio: “Il matrimonio o il muro”, come si diceva, cioè il convento. Tra le cappelle e i chiostri, le preghiere, il lavoro e trasgressioni che oggi appaiono innocenti, ma venivano punite in modo severissimo, si è spenta la vita di milioni di giovani donne come una candela. In alcuni casi questa invisibile fiamma non ha accettato di consumarsi tra quattro mura, ma ha bruciato l’intero convento con un incendio doloso visto come unica possibilità di tornare in famiglia. Monson ricostruisce la storia di un convento di Reggio Calabria, fondato da Diego Strozzi, un ricco signore di origine toscana, che non avendo discendenza maschile vi aveva rinchiuso quella femminile, nel senso più allargato del concetto parentale. Più innocua, ma nondimeno punita, l’evasione di Cristina Cavazza, una suora di un convento bolognese che nel 1708 fuggì quattro volte nottetempo, travestita da abate, con la compagnia e la complicità di un prete, don Antonio Giacomelli. Per assistere all’opera.